Autore: Eva Hornung
Editore: Piemme
ISBN: 9788856609875
Numero pagine: 308
Prezzo: € 16,50
Voto:
Trama:
Romočka è seduto sul letto e fissa la porta dell’appartamento con la speranza di vedere comparire qualcuno. Ha solo quattro anni e sua madre è sparita da una settimana, lasciandolo solo in quella casa lurida e vuota alla periferia di Mosca. Non c’è anima viva in tutto il palazzo, il freddo è pungente e la luce che filtra dalle finestre traccia spietatamente i contorni di quella desolazione. Dopo aver resistito tre giorni mangiando quel poco che trova, Romočka decide di uscire per strada, in testa ancora gli ammonimenti della mamma: non parlare con gli sconosciuti, non accettare cibo, non toccare i cani che portano malattie. Ma ora, lo sa bene, si tratta di sopravvivere. Così, quando vede una cagna sul marciapiede di fronte, non esita a seguirla. I cani, si dice, sono caldi. Da quel momento viene accolto all’interno di un piccolo branco di randagi, e la loro tana diventa la sua casa. A poco a poco, da cucciolo spaurito e indifeso, diventa uno di loro: si nutre del latte della cagna, impara a cacciare, affina l’olfatto. Lasciandosi alle spalle la vita precedente, conosce un’esistenza scandita dai bisogni primari ma in cui scopre l’amore e l’amicizia nelle loro forme più pure. Finché il mondo degli uomini – spesso più violento e brutale di quello animale – non tornerà a reclamarlo, costringendolo a scelte dolorose. Una storia dura e commovente che fa riflettere sulla condizione umana. Svelando che, a volte, è nella natura più selvaggia che si ritrovano i sentimenti più autentici.
Recensione:
Questo è stato uno dei pochissimi libri da cui non sono riuscito a staccarmi una volta cominciato. E dire che ero partito con molta cautela e una buona dose di pregiudizi, aspettandomi o un moderno rifacimento di testi come Il libro della giungla o una storia strappalacrime dalla scarsa veridicità. Ho trovato il suggerimento di lettura tra le pagine di un giornale che ho trovato abbandonato in stazione, e solo quando l’ho rimesso sulla panchina mi sono accorto di aver sfogliato Famiglia Cristiana. Forse anche questo mi ha un po’ suggestionato, ma dal momento che sono riuscito a mettere le mani sul libro consigliato proprio nel momento in cui non avevo altre letture in cantiere ho deciso di rischiare. E non me ne sono pentito, anzi, mi è dispiaciuto quando sono arrivato all’ultima pagina.
Romočka è uno dei migliori personaggi che mi sia mai capitato di incontrare tra le pagine di un libro. Fisicamente e caratterialmente è descritto così bene che il lettore non può prendere le distanze dalla storia ed è costretto a seguirlo: nella periferia russa più degradata, nella tana putrida dei cani randagi, nelle metropolitane affollate dai più derelitti rifiuti della società, tra le montagne di rifiuti della discarica e fino all’ultima stanza che segna il passaggio a un’altra vita e la conclusione amara della storia.
Mancano totalmente le pecche peggiori che potrebbero affiorare in un tema così delicato: non c’è autocompiacimento nel racconto, né il desiderio di impietosire chi legge, né una saccente esposizione dell’ideologia di branco dei cani randagi. È un romanzo puro e semplice in una delle sue forme più accattivanti, così ben impostato da meritare un buon posto nella mia personale classifica con tre soli autori impossibili da scalzare.
L’unico momento in cui ho dubitato della buona riuscita di questo libro è stato nei lunghi capitoli di passaggio, a mio parere troppo estesi e pedanti, in cui due psichiatri riflettono sul caso di Romočka e dell’altro bambino che si aggiunge al branco, Marko alias Cucciolo, da loro preso in cura. I due dottori prendono improvvisamente possesso della scena lasciando tutto il resto in secondo piano a favore di un’infinita dissertazione sui disturbi che possono insorgere in bambini cresciuti come animali, dalle varie forme di autismo a un cronico disadattamento. Argomenti senza dubbio interessanti, ma che forse si sarebbero potuti diluire nel corso dell’opera o limitare nella loro esposizione.
Nemmeno questa parentesi di tono minore ha tuttavia influenzato la mia opinione su quanto ho letto. Una volta cominciato, questo libro non si lascia riporre tanto facilmente: la curiosità e la solidarietà con il branco di cani e i bambini-cane è tale che con fatica si mette il segnalibro tra le pagine. Una lettura consigliatissima, senza esitazioni, purché non si sia eccessivamente sensibili: ci sono anche alcune scene cruente e a tratti violente, disgustose o angoscianti, che tuttavia rendono il risultato perfettamente verosimile e coinvolgente. Un romanzo che non può mancare in una collezione.