Magazine Cultura
Titolo: Il bambino con il pigiama a righe
Autore: Boyne John
Pagine: 211
Prezzo: 10 euro
Editore: BUR
Trama
Leggere questo libro significa fare un viaggio. Prendere per mano, o meglio farsi prendere per mano da Bruno, un bambino di nove anni, e cominciare a camminare. Presto o tardi si arriverà davanti a un recinto. Uno di quei recinti che esistono in tutto il mondo, uno di quelli che ci si augura di non dover mai varcare. Siamo nel 1942 e il padre di Bruno è il comandante di un campo di sterminio. Non sarà dunque difficile comprendere che cosa sia questo recinto di rete metallica, oltre il quale si vede una costruzione in mattoni rossi sormontata da un altissimo camino. Ma sarà amaro e doloroso, com'è doloroso e necessario accompagnare Bruno fino a quel recinto, fino alla sua amicizia con Shmuel, un bambino polacco che sta dall'altro lato della rete, nel recinto, prigioniero. John Boyne ci consegna una storia che dimostra meglio di qualsiasi spiegazione teorica come in una guerra tutti sono vittime, e tra loro quelli a cui viene sempre negata la parola sono proprio i bambini.
“Il bambino con il pigiama a righe” da cui è tratto l‘omonimo film, è stata una lettura bella e tragica insieme. Avendo già visto il film sapevo già dove tutta la storia narrata andasse a parare e quindi avevo preparato i fazzolettini; nonostante questo ho voluto comunque leggerlo, sia perché è presente da più di un anno nella libreria (di mia madre), sia perché il punto di vista del romanzo lo rende delicato ma efficace.
Il protagonista del romanzo è un bambino di nove anni che vive a Berlino negli anni della seconda guerra mondiale. Un giorno lui e la sua famiglia sono costretti a trasferirsi lontano dalla bella città tedesca perché il padre ha avuto una promozione: è diventato il comandante di presidio ad Auschwitz. Bruno non sa come si pronunci la parola e non sa cosa sia quell’enorme recinto con tante persone dentro, sa solo che deve starci molto lontano. Cosa che puntualmente non fa…
Ciò che mi ha fatto apprezzare il libro è sicuramente la scelta del punto di vista: nonostante io abbia visto almeno un paio di volte il film, ho comunque apprezzato il libro proprio per Bruno e il suo desiderio di esplorare. Tutto il romanzo è narrato in prima persona proprio dal bambino che, ignaro di ciò che sta succedendo agli ebrei, dopo averi incontrato “Il Furio”, che ho capito solo a metà libro chi fosse, viene sbattuto in Polonia a vivere accanto al recinto di Auschwitz. Per lui tutta la situazione è strana e confusa e quindi crea nella sua mente infantile e pura, una storia plausibile ai suoi occhi per spiegare la presenza di tutte quelle persone che vestono sempre con il pigiama. Lì ci sono tanti bambini mentre Bruno è sempre da solo con la sua famiglia, questa “ingiustizia” viene parzialmente supplita dal nuovo amico con il pigiama che il bambino conosce in una delle sue peregrinazioni assolutamente proibite. I ragionamenti “distorti” che fa e le azioni conseguenti sono la causa del finale della storia. Come ho già detto, di per se la storia narrata è semplice ma il punta di vista scelto e i temi trattati rendono il tutto molto più incisivo e insieme delicato: la sofferenza del popolo ebreo visto dagli occhi di un bambino viziato che non comprende la violenza e l’isolamento che queste persone subiscono sotto i suoi occhi. Fazzoletti a parte, nonostante il film sia fedele e “bello”, il libro lo è ancora di più perché contrappone l’innocenza di entrambi i bambini protagonisti e la bruttura di ciò che è accaduto meno di cento anni fa. Per i bambini non ci sono neri o bianchi, non ci sono ebrei o ariani, ci sono giochi e scherzi (belli e brutti), c’è la famiglia, l’amore e l’educazione. In questo testo, sicuramente adatto anche ai più piccoli poiché tratta temi complissi con una sensibilità tutta particolare, ci sono numerosi elementi apprezzabili che colpiscono il cuore. Assegno tre stelline e lo consiglio a piccoli e grandi che cercano libri in tema “giorno della memoria” senza “l’ovvia” violenza di ciò che è purtroppo accaduto.
Lya
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