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Recensione: Il clan dei miserabili

Creato il 13 maggio 2014 da Visionnaire @escrivere

Titolo: Il Clan dei Miserabili
Autore: Umberto Lenzi
Editore: Cordero Editore
Numero di pagine: 168
Prezzo: 14,00 €
Formato: cartaceo

Trama (dalla quarta di copertina): Roma, primavera del 1947. Negli studi di Cinecittà sono in corso le riprese del film “I Miserabili”, diretto da Riccardo Freda e interpretato da attori del calibro di Gino Cervi e Valentina Cortese. Qualcosa, però, non va come dovrebbe. Sul set viene ritrovato il cadavere di Tiberio De Santis, un individuo equivoco, già sentimentalmente legato a una funzionaria della società cinematografica “Lux Film”. È un omicidio passionale come crede la polizia? Oppure c’è in ballo qualcosa di più grosso? Per risolvere il mistero, il produttore del film si affida al detective privato Bruno Astolfi, un ex pugile ed ex commissario di polizia radiato ai tempi del fascismo per la sua ostilità al regime. Tra labili indizi e false piste, l’investigatore si muove nel sordido sottobosco della malavita romana, senza trascurare il mondo patinato della cinematografia. Quando, però, vengono compiuti nuovi efferati omicidi, Astolfi comprende che l’inchiesta sarà molto più complessa del previsto. Una caccia caparbia e mozzafiato lo porterà finalmente sulle tracce del misterioso assassino e delle sorprendenti verità celate dai delitti. Sarà una partita molto rischiosa, però, per la quale il “detective dei divi” arriverà a mettere in gioco la stessa vita.
Dalla penna elegante di un regista cult apprezzato in tutto il mondo, la sesta imperdibile avventura del fortunatissimo ciclo di Bruno Astolfi: un thriller graffiante che fotografa l’anima più “nera” del dopoguerra italiano.

Recensione: Il Clan dei Miserabili è il sesto capitolo della lunga serie di gialli che hanno come protagonista Bruno Astolfi, detective privato specializzato nella risoluzione di delitti avvenuti nel mondo del cinema. Stavolta lo scenario dell’omicidio è il set del film “I Miserabili”, tratto dal romanzo di Hugo. Se però ci si aspetta di ripercorrere i passi di Jean Valjean per venire a capo del mistero o di muoversi tra cineprese, comparse e copioni, si rimane presto delusi perché le indagini non entrano mai veramente in contatto con gli spunti letterari o cinematografici che pure abbondano. Sono tante, infatti, le personalità di spicco che Bruno Astolfi incontra nel corso della sua indagine (Alberto Moravia, Elsa Morante, Vittorio De Sica, Totò…), ma in nessun caso entrano nel vivo della trama, finendo per essere incursioni di poco conto. A volte, come nell’incontro fortuito con Moravia e Morante, diventano addirittura fastidiose, dando la sensazione di essere state inserite solo allo scopo di sfruttare la luce riflessa di nomi importanti per brillare un po’. Anche se in modo opposto, è la stessa tecnica che viene usata per mettere in risalto il protagonista: il suo diretto rivale per la risoluzione del caso, il commissario Patané, viene infatti descritto come un ottuso e un incapace, in modo anche fin troppo ripetitivo e assolutista. Anche dal punto di vista più strettamente stilistico, la ripetizione costante dello stesso appellativo risulta pesante e finisce per stancare: nel caso specifico, Patané viene spesso chiamato “l’ottuso commissario”, trasformando in epiteto questa sua caratteristica, peraltro non ben mostrata attraverso azioni che avrebbero francamente palesato uno scarso acume da parte del commissario. Basandosi sui fatti più che sulle parole, è invece Astolfi che mostra qualche lacuna di troppo, nonostante venga presentato quasi come un mix italiano tra il tenente Colombo e James Bond. Ci mette mezzo libro a chiedersi perché la vittima è stata uccisa proprio in quel luogo. Ci vuole il suggerimento di un carrozziere perché si attivi per rintracciare il mezzo della nettezza urbana con cui il malvivente cerca di ucciderlo, tamponandolo con tanta violenza da distruggergli la macchina. Scopre casualmente, facendo un cruciverba (in un altro scenario si chiama deus ex machina, qui intuizione…), che la parola chiave attorno alla quale ruotano le sue indagini può essere interpretata in altro modo. Anche la strada giusta viene imboccata per pura fortuna, dopo il ritrovamento di alcune agendine (di cui nessuno sospettava l’esistenza) sulle quali c’è praticamente la soluzione del caso, con tanto di nomi, soprannomi e movente. Insomma, questo Astolfi sarà anche un aitante ex pugile che fa innamorare tutte le donne, beve solo Fernet e centellina le sue preziose Camel, ma non brilla per lucidità. È però un personaggio molto ben caratterizzato, nei suoi pregi e nei suoi difetti, complice una narrazione in prima persona che l’autore tiene saldamente sotto controllo dall’inizio alla fine, proprio come fosse il riflettore con cui illuminare le scene. L’estrazione cinematografica dello scrittore si nota: la mano del regista muove sapientemente i personaggi, conosce i tempi giusti, sa gestire il ritmo e “inquadrare” gli eventi sempre da un’angolazione perfetta. È forse questo ciò che ho maggiormente apprezzato del romanzo, accanto agli scorci di una Roma affascinante e malinconica, che, per una come me che è nata e cresciuta in questa città, sono pennellate di bellezza su uno sfondo storico che non ho vissuto ma che finalmente ho potuto conoscere.

Voto:

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25Stellina-nuova1

Autore recensione:

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    ariendil

    Chi sonoMi sarebbe piaciuto essere una cantastorie nei tempi in cui le storie si raccontavano in piazza o accanto al focolare. Ma non mi dispiace essere ciò che sono: una ragazza con la passione per la scrittura e la lettura (fantasy e non solo) che per lavoro si occupa di cuori… Alla fine, si tratta sempre di raccontare una storia.

Product
Il clan dei miserabili
Version
Cartaceo
Type
Libro
Product Author
Umberto Lenzi
Reviewed by
Ariendil
on 13 maggio 2014
Rating
Recensione: Il clan dei miserabili
Price
12.60
Summary L’estrazione cinematografica dello scrittore si nota: la mano del regista muove sapientemente i personaggi, conosce i tempi giusti, sa gestire il ritmo e “inquadrare” gli eventi sempre da un’angolazione perfetta. È forse questo ciò che ho maggiormente apprezzato del romanzo, accanto agli scorci di una Roma affascinante e malinconica

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