Recensione Il club dei ricordi perduti di Ann Hood

Creato il 04 ottobre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Pubblicato da Gabriella Parisi Cari lettori,
parliamo oggi di un libro fresco di stampa Il club dei ricordi perduti edito da Tre60, in libreria dal 4 ottobre. Si tratta di un romanzo di ispirazione autobiografica scaturito dal dolore della scrittrice Ann Hood che nel 2002 perdeva, a causa di una violentissima infezione, la figlioletta Grace di 5 anni. Niente riusciva a portarle conforto, tranne il movimento meccanico di annodare fili di lana nei punti del lavoro a maglia. All’impegno nel lavoro di tricot la scrittrice deve la sua «riabilitazione» alla vita. Per questo lo esalta in questo romanzo, in cui sembra avere un grande potere terapeutico.
Autore: Ann Hood
Titolo: Il club dei ricordi perduti
Titolo Originale: The Knitting Circle
Traduzione di Francesca Frulla
Casa Editrice: Tre60
pagine 352
prezzo: € 9,90
Data Pubblicazione: 4 ottobre 2012
Trama: Senza nessuno cui dedicarle, le parole sono vuote e inutili. Come vuota e inutile è ormai la vita di Mary Baxter, una brillante giornalista che ha visto il filo della sua esistenza spezzarsi un maledetto giorno di primavera. Tuttavia, con un matrimonio sull’orlo del fallimento e un lavoro che ha perso ogni significato, Mary sorprende per prima se stessa quando decide di seguire l’unico consiglio che le ha dato la madre per superare il dolore: iscriversi a un corso di lavoro a maglia. Scettica ma allo stesso tempo incuriosita, Mary inizia quindi a frequentare la merceria di Alice – una premurosa e saggia vecchietta – dove cinque donne si ritrovano ogni mercoledì sera per creare sciarpe, maglioni, cappellini e calzini. Così, col passare delle settimane, si instaura un profondo rapporto di intimità e amicizia tra Mary e le componenti del «club», che durante le sedute le raccontano il proprio passato. Come Scarlet, che ha deciso di aprire una panetteria dopo aver perso l’amore; o Beth, madre di quattro figli, che si porta dietro un grande rimpianto; e poi Lulu, Ellen, Harriet, ognuna con la sua storia e i suoi segreti, le gioie e le delusioni, i successi e i fallimenti… E saranno proprio quelle donne e la serenità trasmessa dal lavoro a maglia ad aiutare Mary a capire che è sempre possibile uscire dal guscio in cui ci rinchiudiamo, per aprirci di nuovo alla vita e all’amore.
Anteprima del libro 
RECENSIONE

Figlia mia,è da molto tempo che voglio raccontarti una storia. Ma non è come quelle che ti piaceva ascoltare, di Babar o di Pippi Calzelughe. Non è nemmeno divertente. È soltanto vera, ed è la mia storia. Eppure non riesco a trovare le parole per raccontartela, allora prendo i ferri e lavoro a maglia. Ogni punto è una lettera, e in ogni giro io scrivo: «Ti voglio bene». Scrivo sempre la stessa frase in ogni mio lavoro. Poi, come una preghiera o un augurio, la rivolgo a te. Con la speranza, cara figlia mia, che la storia che sto componendo riesca ad arrivarti, insieme con tutto il mio amore.

Perdere un figlio è un dolore inimmaginabile. È contro natura: dovrebbero morire prima i genitori e poi i figli. Perdere una bambina dolcissima di cinque anni come era Stella per Mary a causa di un violento attacco di meningite è impensabile. Eppure capita, purtroppo. Ann Hood, l’autrice di questo romanzo, ha subito questa perdita e nelle sue pagine si percepisce un’angoscia vera, palpabile.
Ma Ann Hood è riuscita a riemergere dalla sofferenza — non totalmente, va da sé, la morte di un figlio distrugge per sempre una parte di te — grazie al lavoro a maglia e a un circolo di persone che, sferruzzando, dando alla loro vita il ritmo meccanico di un ferro contro un altro, in una combinazione di diritti, rovesci, aumenti e diminuzioni, intessono una trama che si fa via via più sostenibile.
Il lavoro a maglia è una distrazione: impegna una parte del cervello richiedendo l’attenzione per realizzare i punti ma contemporaneamente — ammesso che non si tratti di un motivo molto complicato — ne lascia libera un’altra, che può pensare, chiacchierare, condividere idee con gli altri. Il ritmo dei ferri è calmante, rassicurante. La morbidezza del filo di lana che scorre fra le dita, veder nascere un tessuto da un semplice filo che si annoda con due ferri più o meno grandi è una gratificazione.

«C’è qualcosa di speciale nel lavoro a maglia: ti devi concentrare, ma non troppo; le tue mani continuano a muoversi, ma i pensieri si calmano»

Così, Mary Baxter — la protagonista di Il club dei ricordi perduti —, su suggerimento della madre, va da Alice al Sit and Knit qualche mese dopo la morte di Stella e impara i primi punti, realizzando dapprima semplici sciarpe a punto legaccio, poi lavori più elaborati. La morte di un figlio, dicevamo, è sempre un dolore intollerabile ma per Mary lo è forse maggiormente: decisa a costruire un rapporto solido con la figlia, viveva in simbiosi con Stella, lasciandola libera di esprimersi, come sua madre non ha mai fatto con lei. Mary, infatti, ha trascorso l’infanzia vedendosi negare l’affetto dalla madre Mamie, quasi sempre rintanata nell’oblio dell’alcol.
Ogni mercoledì Mary va da Alice e incontra gli altri membri del Club della maglia. In un primo momento crede di essere l’unica a soffrire, è quasi irritata da quelle persone che non conosce e la cui pena non è percepibile. Poi, per caso o per forza, entra in contatto con loro e viene a conoscenza di altre storie di dolore, di angosce nuove o antiche e si lega a loro nella condivisione della sofferenza e del ritmico lavoro lenitivo.

Ogni parte del libro — sono dieci e si aprono con brani tratti da libri tecnici di tricot che si potrebbero riferire anche alla vita reale — è dedicata a uno dei membri del Club della maglia, che si racconta, e al rapporto che si viene a creare con Mary, mentre le stagioni si susseguono, srotolandosi come un gomitolo. Scarlet, Lulu, Roger, Ellen, Harriet, Alice: ciascun membro ha le sue pene, eppure continua la sua vita. Persino la perfetta Beth, con i suoi quattro bellissimi figli a cui confeziona in brevissimo tempo maglioncini uguali, nasconde il suo tormento.
Questo romanzo è una forma di elaborazione del lutto per la stessa Ann Hood, che ha sperimentato le stesse vicissitudini della sua protagonista, e contemporaneamente costituisce una sorta di celebrazione delle capacità calmanti del lavoro a maglia e un ringraziamento a chi l’ha iniziata e ha condiviso con lei questa attività. Proprio per la sua natura autobiografica, la Hood riesce a far trapelare da ogni sua pagina la sofferenza e il disorientamento di una vita che ha perso il suo scopo principale. Ma la vita va avanti, nonostante tutto.

Non appena Mary prese i ferri e cominciò a lavorare, la sua rabbia svanì. Il movimento di far scivolare un ferro attraverso una maglia e tirare il filato sull’altro la calmarono, insieme con la sensazione della lana tra le dita e il rumore che i ferri delle altre facevano, sbattendo insieme.

Il club dei ricordi perduti diventerà presto un film per la HBO, in cui il ruolo di Mary Baxter sarà interpretato da Katherine Heigl (Grey’s Anatomy). Presto sui nostri schermi una video-intervista all'autrice.

L'AUTRICE
Ann Hood è nata a Rhode Island ed è cresciuta ascoltando i racconti del padre, ufficiale della Marina, sui suoi oltre vent’anni passati in giro per il mondo. Queste storie l’hanno sempre affascinata, spingendola a diventare assistente di volo. Dopo essersi trasferita a New York, ha conseguito una specializzazione in Letteratura americana e ha cominciato a collaborare con importanti quotidiani e settimanali, come The Washington Post, Glamour e Paris Review.
Sito Autrice 


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