Recensione: Il miniaturista, di Jessie Burton
Creato il 22 aprile 2015 da Mik_94
Pensavi
di essere una scatola chiusa in una scatola, si dice Nella. Ma il
miniaturista ti vede. Ci vede.
Titolo:
Il miniaturista
Autrice:
Jessie Burton
Editore:
Bompiani
Numero
di pagine: 440
Prezzo:
€ 18,00
Sinossi:
In
un giorno d'autunno del 1686, la diciottenne Petronella Oortman
Nella-fra-le-nuvole è il soprannome datole da sua mamma - bussa alla
porta di una casa nel quartiere più benestante di Amsterdam. È
arrivata dalla campagna con il suo pappagallo Peebo, per iniziare una
nuova vita come moglie dell'illustre mercante Johannes Brandt. Ma
l'accoglienza è tutt'altra da quella che Nella si attendeva: invece
del consorte trova la sua indisponente sorella, Marin Brandt; nella
camera di Marin, Nella scopre appassionati messaggi nascosti tra le
pagine di libri esotici; e anche quando Johannes torna da uno dei
suoi viaggi, evita accuratamente di dormire con Nella, e anche solo
di sfiorarla. Anzi, quando Nella gli si avvicina, seduttiva, memore
dell'insegnamento della mamma ("Il tuo corpo è la chiave,
tesoro mio"), lui la respinge. L'unica attenzione che Johannes
riserva a Nella è uno strano dono, la miniatura della loro casa e
l'invito ad arredarla. Sembra una beffa. Eppure Nella, che si sente
ospite in casa propria, non si perde d'animo e si rivolge all'unico
miniaturista che trova ad Amsterdam. Nella rimane affascinata da
questa enigmatica figura che sembra sfuggirle continuamente, anche se
tra loro si mantiene un dialogo sempre più fitto, senza parole, ma
attraverso piccoli, straordinari manufatti che raccontano i misteri
di casa Brandt. Amore e tradimento, rancori e ossessioni, sesso e
sete di ricchezza s'incontrano tra i canali di Amsterdam...
La recensione
Benché
ci viva immerso, non amo la storia. Ieri era storia, oggi è storia,
domani sarà storia. Si fa attorno a noi, continuamente; si crea dai
meeting strategici dei politici e dai nostri troppi sbagli. Ho però
la testarda convinzione che tutto ciò che ci abbia a che fare –
dagli sceneggiati in tivù ai seminari all'università, dai romanzi
di genere alle parate in costume nei paesini dell'entroterra – sia
di per sé noiosissimo. Provando a convincermi del contrario,
buttereste via il fiato. Ho un'alta soglia di sopportazione, non
lascio le cose a metà, ma guardandomi alle spalle vedo Maria Stuarda
e Francesco II – belli come solo in casa The CW capita – e non
saprò mai se avranno eredi e se vivranno in pace, ma Wikipedia mi
assicura in anticipo di no; Enrico VIII e le sue numerose mogli,
anche se al tempo dei Tudors mi sono fermato alla
Anna Bolena con il viso di Natalie Dormer e non ho avuto voglia di
conoscere altre infelici consorti; Marco Polo che è arrivato in Cina
ma non è tornato, e un Cristoforo Colombo che non ha scoperto
l'America nella prossima puntata, sarà che non ho voluto guardarla
io. Insomma: una parata di sete e broccati, un ballo in maschera di
accenti diversi e intrighi dinastici, e io che mi accontento di
conoscere chi sarà re e chi sarà regina, chi sarà ricordato e chi
sarà dimenticato, chi vivrà e vedrà coi pratici riassunti della
Rete. Imbrogliando. Il miniaturista è stato letto –
e apprezzato – da una persona che non ama il genere, pensava
sinceramente di annoiarsi per gran parte del tempo, ma non poteva
rinunciare – proprio no -, per la sua tipica voglia di possesso, a
sfoggiare quella splendida copertina sui ripiani più alti della sua
libreria. E' una specie di quadro nel quadro, e
l'autrice sceglie di riempirlo, di disegnare figure negli spazi
bianchi; una città straniera in cui tutto ha un prezzo fa da
fondale incantato alle vicende di Nella, sposa vergine, e a quelle di
chi vivrà con lei i primi – e unici – mesi di un matrimonio
complesso: Johanness, il marito mercante che le compra regali costosi
e non la sfiora neanche con un fiore; Otto, servitore dalla pelle d'ebano che il padrone
di casa ha portato con sé dai suoi viaggi esotici; Cordelia, vispa domestica
con cui è impensato che un segreto rimanga tale; Marin, cognata altera
e amareggiata che ha la forza – e la limitatezza – di ogni donna
del suo controverso tempo.
Quest'ultima, anche se tra ruoli e
comparse frequenti è difficile scegliere, è il personaggio più
interessante: ancora più di Nella, troppo ingenua e infantile per la
vita. Crescerà, capirà. Marin, adulta, già ha capito, e quel suo
misto di rigore e discrezione – con una stanza da letto che è un
scrigno di desideri proibiti, una lettera d'amore che prende polvere
tra le pagine, tutti i Paesi che cerca sulle carte geografiche e non
vedrà, per forza di cose, mai – devasta e conquista. Il
regalo di nozze di Nella è una miniatura perfetta della casa in cui
vivrà come ospite e non come padrona, e a compromettere
l'immobilismo di quel museo di silenzi un burattinaio che legge tra
le righe, preannuncia nuove nascite, anticipa tragiche morti. Le sue
creazioni – copie in scala dei Brandt – portano i segni di ciò
che sarà. Il miniaturista è uno spaccato di storia
vera che corre sui binari del mistery e sul filo del brivido; ma
anche una girandola di amori contrastati, un thriller giudiziario, un
ritratto coinvolgente della condizione femminile e la denuncia
originale di diversità che venivano punite con la pena di morte. Tutto ha il
giusto spazio in quello stipetto; non si sta stretti. La Burton non
annoia, non confonde e intesse una trama arzigogolata di cui viene a
capo come per magia, solo lei sa come. Nervi d'acciaio, polso fermo, pazienza.
Il miniaturista è tante cose,
troppe, ma non si rivela una lettura pesante. Ricchissimo,
poteva conservare un colpo di scena o una tematica superflua per
un'altra storia; la successiva. Sarebbe stato ugualmente bello, se
fosse stato più semplice. Ma il barocco horror vacui della Burton non è, per fortuna, di quelli nocivi. L'ho letto all'inizio stando un po' sulle mie, con un
piede dentro e un piede fuori dall'uscio di casa Brandt, e poi ci
sono caduto dentro a capofitto, come nella tana senza fondo del
Bianconiglio. Tutt'intorno, mentre cadevo e cadevo e cadevo, elisir e
spezie, tazzine fragili che stanno sulla punta di un dito, montagne
di zucchero che valgono oro. Davanti a me, sul fondo buio,
infinite porte, sentieri di mele avvelenate, la possibilità di scegliere. Ho scelto di
dare un morso al biscotto sbagliato e di farmi minuscolo, a misura di
lillipuziano. Il mio movente, lo stesso della protagonista: una
disgraziata curiosità. Come rinunciare al potere della suggestione,
al mistero, al richiamo delle cose belle? Come camminare in un tempio
e non guardare in alto, verso le volte, i colonnati, le colombre
prigioniere; come non spiare dalla serratura i loschi e passionali
inquilini di una casa di bambole? Si cede perciò al compromesso. Ci
si fa piccini, nelle mani esperte del Miniaturista, e
quella Amsterdam seicentesca magistralmente rievocata sembra ancora
più tentacolare, vera e grande: basta fidarsi di un'esordiente che
non sembra un'esordiente; di un mago che non risponde se bussi alla
sua porta sotto il segno del Sole e che, quando tutto sarà finito,
saprà riportarti alle dimensioni normali, sempre che tu lo voglia;
di un sontuoso gioco di prestigio che maschera la storia da farsa e
la farsa da storia, rendendo l'antichità più appetibile e la
finzione più nobile. Trucco semplice, se si ha una prosa che è
una favola e la fantasia per costuire, mattone dopo mattone,
un'architettura modernissima che mira al cielo e ogni tanto barcolla,
ma, tranquilli, non crolla. Jessie Burton è la straordinaria artefice di un quadro
poliforme, e la sua personalità sta nella dipintura dei chiaroscuri
dei cuori e delle menti e in dialoghi ritmati che si
inseriscono credibilmente nel contesto storico in cui ci muoviamo; ma
soprattutto di una raffinata cornice che non si scorda. Anche così, strappata
la tela, agganciata a un chiodo nudo, sarebbe un oggetto prezioso da appendere alla parete della
vostra stanza più luminosa.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Birdy - Shelter
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