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Recensione: Il nome del figlio

Creato il 24 gennaio 2015 da Justnewsitpietro

Recensione: Il nome del figlio
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Il nome del figlio” di Francesco Archibugi è un film tanto prevedibile quanto indispensabile poiché dipinge con nervose e violente pennellate tragicomiche la tragicomica situazione sociale in cui riversa il nostro paese, dilaniato da mine ricoperte da un opaco velo di ipocrisia e pronte a esplodere non appena qualcuno le calpesti, volente o nolente.

Il film è il remake della pellicola transalpina “Cena tra amici”, basata a sua volta sulla piéce teatrale “Le Prénom”, scritta da Alexandre de La Patelliére e Mathieu Delaporte, registi peraltro della succitata versione francese.

A una cena tra vecchi amici, Paolo Pontecorvo, agente immobiliare con la battuta e lo scherzo facili, si prende gioco di loro (professori e musicisti sinistrorsi) rivelando il presunto nome che lui assieme alla sua compagna Stefania avrebbero deciso per il figlio in via di nascita. Il nome, che richiama a una figura politica e storica inquadrata a destra e a suo tempo nociva e aborrente per la nostra nazione, è il pungolo che fa scoppiare una tragica lite tra i convitati, che porterà alla rivelazione di segreti che potrebbero compromettere la loro prisca fratellanza.

recensione il nome del figlio

Rispetto alla trasposizione transalpina, quest’ultima nostrana segna non solo il prepotente ritorno della Archibugi, inattiva dal 2009 (“Questioni di cuore”), ma anche la svolta nella vita della bella e brava Micaela Ramazzotti (interprete di Stefania), moglie di Paolo Virzì, stretto collaboratore e amico della regista nonché produttore esecutivo del film. Questo non sorprende dal momento che è proprio Micaela la vera anima di questo film, madre naturale della figlia (ops… spoiler!) al centro della vicenda. Le riprese finali non fanno più parte del mondo della recitazione, ma della vita reale.

Dunque, “Il nome del figlio“, o meglio “Il nome della figlia”, si esplica sia in una profonda riflessione panoramica sull’Italia di oggi relazionata a quella solare dei primi anni ’70 sia in una morale sull’amore, unico essere divino in grado di unire e riunire le persone disgiunte. Tuttavia, sapendo che il film è stato prodotto da Virzì, si avverte anche un fastidioso tentativo da parte sua (toscano Doc) e della sua compagna (nata nei sobborghi di Roma, la città eterna un tempo imperatrice) di accettazione nell’elitario e aristocratico mondo del cinema italiano di oggi.

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