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Recensione Il pianeta delle scimmie

Creato il 27 novembre 2015 da Lightman
    Recensione Il pianeta delle scimmie

Torino 2015

Charlton Heston è un astronauta atterrato su un pianeta sconosciuto alla ricerca di nuovi mondi abitabili in Il pianeta delle scimmie, leggendario cult di fantascienza diretto nel 1968 da Franklin J. Schaffner.

Recensione Il pianeta delle scimmie

Nel 1968 esce uno dei film più importanti del cinema di fantascienza, che ha dato luogo in seguito a quattro sequel, due serie televisive (una animata) ed albi a fumetti fino ai più recenti remake (firmato nel 2001 da Tim Burton) e prequel (il dittico, annunciata trilogia, di Matt Reeves). Stiamo naturalmente parlando de Il pianeta delle scimmie, cult immortale che è entrato nella memoria collettiva del grande pubblico, con almeno una sequenza (quella finale) annoverabile tra le più potenti dell'intera Settima Arte. Un'uscita nelle sale non del tutto scollegata dalla realtà, visti gli ideali politici e studenteschi che ai tempi agitavano il mondo intero: la sceneggiatura di Michael Wilson e Rod Serling, liberamente basata sul romanzo omonimo di Pierre Boulle, è infatti intrisa di metafore filosofiche che conducono infine all'evidente stupidità dell'essere umano, sempre pronto a farsi la guerra e a pensare di essere l'unico dominatore del pianeta.

Un nuovo mondo?

Recensione Il pianeta delle scimmie

L'astronauta George Taylor e i suoi colleghi Landon, Dodge e la signorina Stewart sono in viaggio su una navicella spaziale diretti verso un possibile nuovo mondo abitabile. Durante il sonno criogenico l'astronave viene risucchiata nell'orbita di un pianeta e precipita in un lago. Risvegliatisi dal "letargo" gli esploratori dello spazio scoprono con orrore che la loro collega è morta per un guasto della cabina e di essere finiti nell'anno 3978. Costretti ad abbandonare la navicella, sprofondata nelle acque, gli uomini si mettono alla ricerca di possibili forme di vita e di viveri, visto che le loro scorte non dureranno per più di tre giorni: dopo aver trovato della piante e una cascata, i tre vengono derubati dei loro vestiti da un gruppo di indigeni, assomiglianti in tutto e per tutto a degli esseri umani. Ma Taylor scoprirà ben presto a sue spese come i suoi simili non siano gli unici abitanti del pianeta...

Planet of the apes

Recensione Il pianeta delle scimmie

Il senso di avventura e di mistero che permea tutta la prima parte è la miglior introduzione possibile ad una storia di paradossi, temporali e non, che nasconde al suo interno una miriade di significati morali, pacifisti ed ecologisti, che rendono l'uomo nella sua globalità al contempo vittima e carnefice del proprio destino. Il pianeta deserto e, apparentemente desolato, sul quale i tre astronauti sopravvissuti si muovono a percorrere i primi passi vive di vita propria grazie al fascino del paesaggio magnificamente fotografato e l'atmosfera non è neanche priva di una fervida ironia satirica come quando il personaggio di Landon pone sul suolo alieno una bandiera americana, provocando l'esasperata e divertita risata di Taylor (diventata virale anche sui forum). Il tutto assume però ben presto toni maggiormente seri quando viene allo scoperta l'attuale razza dominante del posto, con le scimmie ormai assolute padrone di quel mondo e gli uomini utilizzati come cavie da laboratorio: una sorta di beffarda legge del contrappasso che trasforma i dominatori in schiavi e che ha un preciso messaggio al suo interno. Il regista Franklin J. Schaffner (al suo primo film di successo) è abile nel gestire i risvolti introspettivi e gli ardui tentativi di comunicazione tra il protagonista e i primati con abili espedienti narrativi e dimostra un dinamismo d'impatto nelle efficaci sequenze action oriented, favorite dalla rabbiosa fisicità di un iconico Charlton Heston, vero e proprio valore aggiunto della visione. Un altro dei grandi artefici della riuscita dell'opera è sicuramente da rintracciare in John Chambers, autore del mirabile make-up prostetico per il quale è stato premiato per l'occasione con un Oscar speciale. Il resto è storia, a cominciare (o meglio a concludere) dal geniale e potente colpo di scena finale (vera e propria trovata degli sceneggiatori, che hanno cambiato e non poco del romanzo originario) pregno di una possente amarezza che colpisce al cuore e alla mente.

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