Magazine Cinema

Recensione. IL PRETORE: ottimo Piero Chiara, il film no

Creato il 09 aprile 2014 da Luigilocatelli

1966175_1436457546596651_171732442_oIl pretore, un film di Giulio Base. Tratto da Il pretore di Cuvio di Piero Chiara (mondadori). Con Francesco Pannofino, Sarah Maestri, Eliana Miglio, Mattia Zaccaro Garau, Deborah Caprioglio, Max Cavallari, Donatella Bartoli.
1097266_1436404973268575_561161879_oMa può trovare oggi un pubblico un film come questo, ambientato al tempo del fascismo, in una stagione della nostra storia che molti, moltissimi ormai non sanno nemmeno collocare? (ma sarà prima o dopo le guerre napoleoniche? prima o dopo Garibaldi? o dalle parti delle guerre puniche?). E non aiuta la messinscena, corretta e diligente, ma inesorabilmente piatta secondo il modello della media fiction tv. Per fortuna che alla base c’è un romanzo di Piero Chiara, uno che sapeva raccontare e costruite storie come pochi. Ed è lui, Chiara, a salvarsi in questo film. Voto 5+
10014748_1436637263245346_1044617743_oInnanzi tutto, massimo rispetto per Piero Chiara, la cui abilità somma di storyteller è evidente anche in questo non travolgente film tratto dal suo Il pretore di Cuvio, anno 1973. Resiste a tutto, Chiara, alla messa in scena volonterosa ma qua e là approssimativa e inesorabilmente da fiction media di Rai Uno, resiste all’evidente estraneità degli autori ai climi e agli ambienti lacustri della storia, a un cast quasi sempre inadeguato (però il protagonista Francesco Pannofino è bravo, per quanto debordante e lasciato a se stesso). Se noi, nonostante tutto, seguiamo il film con un minimo di interesse e partecipazione, il merito è suo. Siamo a Luino, estremo Lago Maggiore, sponda lombarda ai bordi della Svizzera, in un anno imprecisato dell’era fascista, direi inizio anni Trenta, mussolinismo trionfante e paese sottomesso al regime, quando non si avvertono ancora le guerre che verranno (Spagna, Etiopia, WW2). Il pretore Augusto Vanghetta domina sul suo piccolo regno e territorio di competenza come un ras, usando e abusando del proprio potere per i suoi intrallazzi, e intanto si dedica alla passione per le donne, una dopo l’altra, una via l’altra, mentre la moglie cornutissima e frustrata appassisce nella depressione, con conseguenze letali sul talamo coniugale. Arriva un timido giovanotto da lontano, assai diligente e competente, subito arruolato dal pretore come aiuto e braccio destro. Dimostrerà di saperci fare, conquisterà la fiducia del suo capo che lo inviterà a vivere in casa sua (anche perché non lo teme quale potenziale rivale d’alcova, credendolo impotente, se non addirittura omosessuale, dopo fallimentare visita alla locale casa di tolleranza). Mossa fatale, moglie e ospite diventeranno difatti amanti, e sarà triangolo. Con sviluppi e risvolti tra il farsesco e il grottesco organizzati  e orchestrati da Chiara in maniera ireesistibile, semplicemente. Con la precisione metronomica di certe pochade d’epoca dove l’ingranaggio era perfetto, anzi il plot era ridotto all’ingranaggio, all’essenzialità e massima funzionalità narrativa, senza superfluità a rallentarne o, peggio, rivinarne il meccanismo. Non si può non pensare, vedendo questo film di Giulio Base, a quello che cavarono nei primi anni Settanta da romanzi di Piero Chiara prima Alberto Lattuada con il meraviglioso Venga a prendere il caffè da noi e poi Dino Risi con La stanza del vescovo, tutti e due con Ugo Tognazzi. A quello che ne avrebbero potuto cavare oggi quegli autori, quel cinema italiano. E il confronto è impietoso. Non che Il pretore sia così brutto. Ha una sua dignità, si mantiene fedele al testo senza virarlo sul troppo corrivo e macchiettoso, ha una sua misura, e bisogna riconoscere al team tutto il coraggio di cimentarsi – oggi! con i costi di oggi! – con un period movie, che vuol dire costumi d’epoca, arredi, impegno a rievocare un mondo, un modo, un’era. Una stagione della storia nostra, il fascismo, che qui ormai, al di sotto dei 50 anni, nessuno sa più cosa sia con precisione (tranne i soliti pochi, intendiamoci), e vorrei vedere se si chiedesse a un venti-trentenne medio di collocare il fascismo in un punto della storia dove lo ficcherebbe, forse tra le guerre napoleoniche e le puniche, chissà, o dalle parti di Garibaldi. Tutto questo per dire: ma oggi, c’è ancora un pubblico per un film così? Temo fortissimamente di no, e i risultati, pessimi, al box office del primo weekend lo confermano. Certo, il film ci mette pure del suo. Lo stile e lo soave crudeltà di Venga a prendere il caffè da noi di Lattuada questo Il pretore se li sogna, si va avanti con un certo impegno e diligenza, ma senza un’idea di messinscena che non sia quella dell’illustrazione tutt’al più corretta, sempre dal segno debole ed evanescente, come di un compito eseguito senza metterci passione e voglia di ricerca. Mai un azzardo, e l’adeguamento rinunciatario a un modello narrativo ed estetico che resta, come si diceva, quello delle medie fiction di Rai Uno della domenica sera. Un altro guaio sono gli attori, che nella maggior parte son quelo che sono e, ho l’impressione, sono pure  abbandonati a loro stessi. Anche se il protagonista Francesco Pannofino è bravo davvero e, come quegli attori là di una volta, i Tognazzi, i Gassman, sa fare da baricentro al film dandogli nei momenti migliori una stabilità che di suo non raggiungerebbe mai. Però – si vede – pure lui si arrangia, sembra qusi improvvisare, come se navigasse a vista in un contesto di messinscena e direzione non definito. Mentre Il pretore mi scorreva davanti, mi son trovato a rifletere su come ormai sia pressochè impossibile rievocare quel tempo, quel clima, ricostruirlo adeguatamente e credibilmente. Del fascismo non c’è più il ricordo, non ci sono quasi più testimoni, non c’è più una conoscenza diffusa e naturale (tutte cose che c’erano invece quando Chiara scriveva i suoi libri, e Lattuada e Risi li mettevano in film), quest’Italia sembra sideralmente lontana da quell’Italia. Son cambiate perfino le fisionomie e le fisiognomiche, oggi i corpi italiani, il corpo italiano, non ha più niente di quelli del fascismo, sono strutturati e costruiti attraverso le buone e cattive armi armi della medicina e del fitness fino a cancellare e piallare via ogni differenza, ogni imperfezione caratterizzante. La scena della casa di tolleranza del Pretore lo dimostra in maniera lampante. Quelle ragazze magre e ossute, e non magre da macilenza e fame, sembran modelle venute fuori dai book delle agenzie e non c’entrano niente con la fisicità e la carnalità degli anni Venti-Trenta. Sono inesorabilmente finte e inattendibili, che è poi quanto ci trasmette, alla fine, lo stesso film.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :