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Recensione. IL RICATTO: concerto per piano e assassino

Creato il 24 marzo 2014 da Luigilocatelli

_MG_1216Il ricatto (Grand Piano), un film di Eugenio Mira. Sceneggiatura di Damien Chazelle. Con Elijah Wood, John Cusack, Allen Leech, Kerry Bishe.
_MG_2560_MG_8951Un pianista torna dopo cinque anni a suonare, troverà sullo spartito una scritta: “Se sbagli una nota morirai”. Chi ce l’ha con lui? e perché? Thrillerone sul palcoscenico che cita apertamente L’uomo che sapeva troppo di Hitchcock. Girato convulsamente in uno stile barocco e baracconesco, con qualche deriva camp. Fino a un certo punto, tutto bene. Ma nella seconda parte Il ricatto precipita nell’implausibilità e nel ridicolo. Voto 5+.
G.P.32Presentato al Torino Festival lo scorso novembre, ma arrivato solo adesso in sala, questo Il ricatto (meglio il titolo originale Grand Piano), è un thrillerone molto anni Settanta e Ottanta dello spagnolo Eugenio Mira, però produzione assai international, con screenplay dell’americano Damien Chazelle, recente vincitore di un premio al Sundance per il suo Whiplash. Dunque, ottime credenziali, e critici anglofoni che parlando e a volte straparlando di Grand Piano hanno citato l’Hitchcock di L’uomo che sapeva troppo e Brian De Palma e il Dario Argento dei tempi belli. Mah, troppa grazia, temo. Il regista Mira non si risparmia e non si ferma davanti a nulla, e monta uno spettacolone esagitato, baroccheggiante e pure baracconesco, muovendo freneticamente la macchina da presa e sfruttando ogni chance visiva offerte dalla quasi unica location, che è un teatro di quelli classici con ampi tendaggi di velluto rosso e fregi dorati, e broccati, e tutti in smoking sul palco e nella buca dell’orchestra e abito da sera giù in platea. In un’accelerazione convulsa e impazzita da disaster movie, però in versione bonsai e tutto in un interno. Tanto agitarsi, tanto ingegnarsi da parte di chi sta dietro la maccchina da presa per un risultato alla fine ampiamente deludente, per non dire ridicolo e imbarazzante. Peccato, perché il progetto di un iperconsapevole B-movie d’autore denso di citazioni e clins-d’oeil non era male.
Tom Selznick (Elijah Wood) è un giovane pianista con già una carriera importante alle spalle. Da quando, e son passati cinque anni, ha steccato eseguendo un pezzo impossibile, La Cinquette, ha deciso di smettere, basta, il palcoscenico mi fa paura ecc. ecc. Tutto secondo il cliché dell’artista sensibile e un po’ pazzo. Ma adesso per amore della moglie attrice ha deciso di tornare a suonare in pubblico, e il luogo del gran ritorno è Chicago. Lui nervoso, l’attesa è spasmodica, eccolo trafficare con il piano del suo grande maestro, eccolo finalmente sul palco, ed ecco che sullo spartito trova scritto “se sbagli una nota, sei morto”. Che non sia uno scherzo Tom se ne rende conto presto. Gli arrivan messaggi sul cellulare dal suo misterioso nemico, e intanto qualcuno comincia a morire orribilmente, lì negli anfratti più nascosti del teatro. Gli viene intimato di eseguire proprio La Cinquette, quel pezzo impossibile, quel pezzo che l’ha traumatizzato, e immaginate i sudori freddi del povero Tom, gli attacchi di panico. Scoprirà, scopriremo, che c’è un cecchino appostato lassù, con la faccia e i capelli tintissimi di John Cusak e il ghigno che si vorrebbe mefistofelico del peggior John Cusack (quello, per intenderci, di film come The Raven). Fin qui non va male, solo che il film precipiti abbastanza presto nell’assurdità e nella goffaggine. Scusate, ma come possiamo credere al bersagliato pianista che deve – tutto in contemporanea – suonare il pezzo impossibile stando attento a non sbagliare, ascoltare all’auricolare gli ordini impazziti dell’assassino e tener d’occhio il cellulare? Che neanche Captain America. La prima parte promette parecchio e nella sua visualità eccessiva e sgargiante fa ricordare, più che Hitchock, i Powell e Pressburger di Scarpette rosse, oltre a tutta la collection degli italian gialli. Ma poi Il ricatto si ingarbuglia e sprofonda nell’implausibile e improbabile, anzi impossibile, oltretutto senza degnarsi di darci una minima, comprensibile spiegazione del perché l’assassino sia così incazzato e ce l’abbia tanto col pianista. Sì, c’è una complicata storia di eredità, sì, a qualcosa si accenna, ma i buchi non colmati della sceneggiatura restano tanti. Sicché le scene conclusive son davvero, spiace dirlo, penose.


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