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Recensione "Il rumore dei tuoi passi" di Valentina D'Urbano

Da Glinda
Letto qualche settimana fa, "Il rumore dei tuoi passi" è il primo romanzo di Valentina D'Urbano, autrice molto giovane e con un grande talento, che ha saputo conquistarmi con il suo stile narrativo.
Data di pubblicazione: 10 Maggio 2012
Titolo: Il rumore dei tuoi passi 
Autore: Valentina D'Urbano 
Editore: Longanesi 
Prezzo: € 14,90
Pagine: 320
Il mio voto:


In un luogo fatto di polvere, dove ogni cosa ha un soprannome, dove il quartiere in cui sono nati e cresciuti è chiamato «la Fortezza», Beatrice e Alfredo sono per tutti «i gemelli». I due però non hanno in comune il sangue, ma qualcosa di più profondo. A legarli è un’amicizia ruvida come l’intonaco sbrecciato dei palazzi in cui abitano, nata quando erano bambini e sopravvissuta a tutto ciò che di oscuro la vita può regalare. Un’amicizia che cresce con loro fino a diventare un amore selvaggio, graffiante come vetro spezzato, delicato e luminoso come un girasole. Un amore nato nonostante tutto e tutti, nonostante loro stessi per primi. Ma alle soglie dei vent’anni, la voce di Beatrice è stanca e strozzata. E il cuore fragile di Alfredo ha perso i suoi colori. Perché tutto sta per cambiare.
La mia recensione

"Il rumore dei tuoi passi"è il libro d'esordio della giovanissima Valentina D'Urbano, autrice italiana dall'innegabile talento, la cui penna sa incantare e ferire. Letto in un solo giorno d'estate, questo romanzo ha saputo lasciare il segno e stupirmi. A distanza di un mese dalla lettura, mi riesce ancora difficile fare una recensione di questo romanzo e dargli un giudizio. Non perché non mi sia piaciuto, no. Ma perché ha scaturito in me sensazioni contrastanti che fanno a pugni tra loro. Da una parte ne sono stata completamente rapita, dall'altra atterrita. Apparentemente indirizzato a un pubblico di giovani adulti, questo libro è in verità un'opera complessa e così dura e aspra da essere, forse, addirittura poco adatta a lettori più immaturi. I temi trattati e la graffiante narrazione dell'autrice rendono "Il rumore dei tuoi passi" un romanzo difficile da gestire, denso di emozioni disarmanti e dolorose, capaci di lasciare in bocca un sapore acido che non si cancella facilmente. Insomma, se non siete inclini a storie in cui impera il dramma, la violenza nuda e cruda e che sappiano essere taglienti come la più affilata delle lame, questo di sicuro non è il romanzo che fa per voi, ma se cercate uno spaccato di vita privo di filtri e censure, dategli una possibilità e non ve ne pentirete.
Ci chiamavano i gemelli. Ci chiamavano così anche i nostri amici. I gemelli.
Era per via di come ci muovevamo. Camminavamo in sincrono, con lo stesso identico passo sciatto e ciondolante. Avevamo le stesse espressioni facciali, le stesse abitudini, gli stessi gesti nervosi. Stropicciarsi gli occhi con gli anulari. Tormentarsi il labbro superiore con i denti. Massaggiarsi il sopracciglio destro, quello dove lui aveva la cicatrice. Il modo di ridere, quello di mangiare, anche la posizione in cui dormivamo era la stessa, ma questo lo sapevamo solo noi due.
Da "Il rumore dei tuoi passi".

Quella raccontata da Valentina D'Urbano è la storia di Beatrice e Alfredo, nemici, amici, amanti. I gemelli, li chiamavano nella "Fortezza", ovvero il quartiere degradato in cui sono cresciuti. Non perché tra loro ci fossero legami di sangue, ma perché erano uguali in tutto: stesso modo di parlare, di muoversi, di camminare. Eppure, Bea e Alfredo non sono fratelli. Sono prima estranei, poi amici per la pelle e poi, segretamente, innamorati. Sono nemici, l'uno sempre pronto a far del male all'altro e entrambi fin troppo abili a far male a se stessi. Sono lo specchio del degrado in cui sono stati allevati, tra le mura di un quartiere pericoloso e dimenticato da Dio, in cui la fame e la malavita la fanno da padroni. Non si tratta di una storia contemporanea, in quanto il romanzo racconta la crescita di Bea e Alfredo nel corso degli anni e, assieme alla loro evoluzione, il lettore assiste alla cronaca di ciò che succede nella Fortezza e nel resto del Paese. La D'Urbano racconta attraverso gli occhi di due ragazzini disagiati, le rivoluzioni di un'Italia così vicina eppure così lontana: quella delle rivoluzioni, del terrorismo, degli anni di piombo. E, lasciate che ve lo dica, lo fa davvero bene, descrivendoli con il giusto distacco che ci si aspetterebbe da due ragazzini digiuni di politica e affamati di ribellione. Quella tra Bea e Alfredo non è una semplice storia d'amore, anzi si potrebbe dire che non c'è traccia della travolgente "passione" a cui la quarta di copertina sembra voler inneggiare, quasi sminuendo la complessità emotiva del libro. In effetti più che di passione, io parlerei di ossessione. Quella di due anime che vivono nel più completo degrado, legate dal tormento e dalla consapevolezza di non poter contemplare alcun roseo futuro nel loro destino. Un rapporto, il loro, di odio amore, di prevaricazione eppure di completa devozione, vissuto tra le mura di un quartiere che è una prigione, senza speranze e senza gioia.
La Fortezza era un porto franco, una terra di nessuno. Quelli del quartiere non avevano paura delle guardie, non avevano niente da perdere. Chi se ne fregava della prigione, tanto, per la maggior parte, quelli che abitavano lì c’erano già stati e tornarci non
faceva grande differenza. Non ne avevamo paura, li trattavamo da pari a pari. Quando sparavano, sparavamo anche noi della Fortezza. Quando pattugliavano le strade del quartiere, dai balconi volavano bottiglie e piatti e immondizia. Se venivano a cercare qualcuno, nessuno sapeva niente, nessuno aveva visto niente. Non ce li volevamo lì, non erano i benvenuti e alla fine l’avevano capito.
Da "Il rumore dei tuoi passi".

Come ho già detto non mi è facile valutare questo libro a causa delle molteplici emozioni che ha suscitato in me. So di per certo di aver letteralmente adorato lo stile narrativo della D'Urbano, di cui mi sono innamorata come non mi accadeva da tempo. La sua narrazione è sferzante, decisa, netta e a volte dura come la roccia. Il doloroso realismo di cui è intriso il romanzo si insinua sotto pelle favorendo un'immedesimazione completa. Sembra quasi di respirare l'inquietudine che si vive nella Fortezza, sentire le urla echeggiare nel quartiere, di udire il rumore dei passi di Alfredo.  Ho invece avuto un rapporto di odio-amore con Beatrice, la protagonista principale e voce narrante del romanzo. Forte e implacabile nelle sue decisoni, Bea è imprevedibile e cocciuta, diversa dagli altri ragazzi della Fortezza. Se i suoi coetanei si lasciano vivere nel completo degrado, accettando l'amaro destino di ignoranza e povertà che spetta loro per diritto di nascita, lei sembra voler scappare, migliorarsi, ambire a un futuro migliore e per questo l'ho ammirata. Eppure le sue scelte, la sua prepotenza, il suo essere una prevaricatrice, mi ha spesso contrariata al punto da spingermi a detestarla. Per contro Alfredo è un protagonista che proprio non sono riuscita a farmi piacere. Troppo debole, troppo rassegnato al proprio destino infame, troppo codardo. Ho in parte condiviso la sua condizione familiare e, forse anche per questo, non ho potuto sopportare il suo essere passivo e il suo lasciarsi andare allo sconforto, al vizio, alla tragedia inevitabile.  Il difetto peggiore di questo romanzo è il pessimismo impresso in ogni pagina. E' questo il motivo che mi ha spinto a valutarlo con un voto medio, quando la narrazione meriterebbe in verità cinque stelle piene. Capisco l'amara condizione in cui i protagonisti si trovano, ma il modo in cui la D'Urbano ha calcato la mano sull'ineluttabilità del destino che sono condannati a vivere, mi ha turbato ed è risultato a tratti forzato. Un po' di speranza non guasta mai.
La polvere da sparo, l’odore del sangue e delle lenzuola che lo assorbono. Trucioli sottili di segatura che ti si infilano nei capelli e non li togli più. L’alito fetido degli angoli scuri. Vino scadente, umanità degradata.
La luce azzurrina delle terrazze dove non batte mai il sole, quella artificiale giallastra,spesso spenta, dei pianerottoli. Il tramonto riflesso sulle schegge di bottiglie rotte sull’asfalto, che brillano come diamanti.I fari nella notte, gli stop che ammiccano, il riflesso bluastro delle tv accese negli appartamenti bui.
Il rumore dei tuoi passi, il tuo odore che svanisce sul cuscino, la luce del giorno in cui mi hai lasciato sola. Da "Il rumore dei tuoi passi".

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