Titolo: Il sentiero di legno e sangue
Autore: Luca Tarenzi
Editore: Asengard
Genere: New Weird
Pagine: 142
Scrittevolissimi Lettori, perdonatemi ma vorrei cominciare con un piccolo prologo. Se avete notato, ho inserito questo libro nel genere New Weird (e se non l’avete fatto, vi do dieci secondi per rimediare). Siccome si tratta di un genere letterario di formulazione abbastanza recente, forse è meglio spiegare un pochino di che cosa si tratta.
New Weird, New Weird, cosa sei dunque tu? Un nuovo genere letterario, si direbbe, maturato dall’esperienza di China Miéville e Jeff VanderMeer e che, per citare Fantasy Magazine:
è caratterizzato dalle ambientazioni relistiche, complesse e spesso urbane dove manca il romanticismo e il senso del meraviglioso come si trovano nel Fantasy tradizionale; abbondano invece elementi surreali e bizzarri, spunti horror e fantascientifici, elementi inquietanti che mirano a disorientare o a mettere a disagio il lettore, ma allo stesso tempo a solleticarne il gusto per l’eccentrico.
Ora, devo confessare che non sono un gran patito di generi e di catalogazione. Un libro è un libro, una storia è una storia, e le etichette servono solo per fare gli intellettualoidi radical chic nelle discussioni suoi forum. In più, inventarsi un nuovo genere letterario e stilarne un manifesto apre l’autore a nuove possibili critiche. “Ma come? Nel manifesto dell’Epic SteamHamster Paranormal Romance si dice chiaramente che i criceti vampiri protagonisti delle storie devono essere composti al 54,3% da parti meccaniche a vapore, mentre Bernard, il tuo protagonista, non ha nessun inserto biomeccanico! Violazione! Violazione! Presa in giro del lettore! Alto tradimento! Alieni! Mostri! Vampiri! Dinosauri!” E cose del genere.
Insomma, le etichette sono più o meno stupide, nella letteratura così come nella vita vera. Perché, ad esempio, quando ti ritrovi a leggere un romanzo come Il sentiero di legno e sangue di Luca Tarenzi non stai a confrontarne col righello la struttura ai crismi del New Weird. Lo leggi e te lo godi. E basta.
E ora la domanda cruciale: è un libro che è possibile leggere e, magari, anche goderselo? Sono lieto di annunciare che la risposta è sì.
La copertina
La trama
Ok, che si tratti di una rivisitazione di Pinocchio lo hanno capito anche i sassi. Io non ho mai letto il romanzo di Collodi, ma ho visto il film Disney – che pure dalla storia originale si discosta abbastanza – e devo ammettere che… ehm… non mi è mai piaciuto.
La quarta di copertina ci dice:
Apre gli occhi nel cuore di un’immensa conchiglia. Ha un corpo di legno articolato e ingranaggi, e il cadavere del suo costruttore giace accanto a lui. Non ha un nome, non ha memoria, ma appena nato ha già mostruosi nemici che lo braccano e una missione che non ha chiesto né desiderato: diventare umano. Attorno a lui c’è un mondo che un’antica catastrofe ha trasformato nel sogno delirante di un folle, alle sue calcagna due Incubi, la Maschera e la Bestia, e davanti a lui un sentiero costellato di mutazioni, tribù selvagge, divinità del caos e giganti marini che lo condurrà verso un destino molto più incerto di quanto i suoi creatori avessero mai potuto prevedere.
E fondamentalmente la storia è tutta qua. Una ricerca, in questo caso ricerca del proprio scopo, che spinge il Pinocchio Weird in compagnia del suo Tarlo Parlante a mettersi in fuga dagli Incubi, dall’Arconte e dalle sue creature, lo fa incontrare con la Dea (che invece di essere Turchina è tutta biotta) e alla fine lo porta ad affrontare il suo nemico più grande e la verità sulla ragione della sua esistenza. Potremmo definirla una ricerca anche metaforica. Potremmo, ma non facciamolo, per favore. Questo è un libro, accipigna! Una storia che ti porta da un punto iniziale a un punto finale, e lo fa in maniera convincente, scorrevole, senza momenti fiacchi di troppo e senza sconvolgimenti ridicoli della trama. Tutto quello che c’è, è giusto che ci sia.
Anche il finale.
Senza spoilerare troppo, nel finale un plot twist c’è ed è anche bello grosso. Ma già lo si sapeva, visto il modo in cui la storia era costruita, con un gran numero di situazioni all’apparenza inspiegabile e di detto-non-detto che per forza di cosa andavano risolti alla fine (e altrimenti il lettore entrava in enrage). Poi lo leggo, questo benedetto finale, e mi cascano le palle. Tutto qui? mi domando con un filino di tristezza. Poso il libro, già pronto a scrivere una delle mie temibili recensioni negative su aNobii [citazione necessaria], ma poi ci rifletto ancora un po’ su. Ed è allora che mi accorgo che il finale che Tarenzi ha dato al suo romanzo è l’unico finale possibile, e pertanto quello giusto. Per quanto la rivelazione al termine del libro possa sembrare deludente, se ci si pensa su si capisce che è anche l’unico modo in cui poteva concludersi l’avventura di Weirdocchio.
Welcome to the Weird World
Ovviamente Weirdocchio non sarebbe tale se non fosse ambientato in un mondo bizzarro e paradossale, una sorta di Il labirinto del fauno vs. Silent Hill e di descrizioni in grado di far esplodere il cervello ce ne sono parecchie. Una delle mie preferite è quella del Corifeo, un Sognatore, sostanzialmente l’immagine onirica di uno dei creatori del mondo in cui si muove Weirdocchio, che si presenta così:
Il Corifeo non aveva occhi, a meno di non considerare tali i due agglomerati di teste mozzate che roteavano lentamente nelle orbite formate dal metallo contorto di spade e scudi accartocciati. Le guance e la fronte erano ali di gargoyle strappate e sovrapposte come strati di squame; il naso un ammasso di braccia e gambe in fila; capelli e sopracciglia un coacervo di ossa spezzate, lame, rami e arti di pietra frantumati. Se aveva una bocca, non riuscivo a vederla: la nascondeva una lunghissima barba pendente fatta di interiora e foglie.
A me cose del genere piacciono tantissimo, sembrano quasi scritte da uno schizofrenico. Oppure mi immagino l’autore che digita: Le sue orecchie sono fatte di… poi apre a caso il dizionario e scrive il primo sostantivo che ci trova. …tentacoli di piovra. È semplicemente geniale, a mio modo di vedere le cose. C’è talmente tanta fantasia concentrata in queste 140 pagine che poi per un anno potete leggere Verga o Flaubert senza sentire la mancanza del genere fantastico. (Non fatelo, però: può spingere al suicidio.)
C’è solo una cosa che non mi ha convinto pienamente. Io sono disposto a credere a quasi tutto ciò che mi dice un autore, se me lo racconta bene, però anche alla sospensione dell’incredulità c’è un limite. E il limite viene superato quando il Tarlo Parlante mi dice che tutta la sua conoscenza deriva da memoria genetica. In pratica lui sa tutto di Weirdlandia perché i suoi antenati erano tarli che si erano pappati un gran numero di libri. Spiacente, ma non me la bevo. Mi sembra solo un modo troppo comodo per investire il Tarlo della funzione di mentore. La cosa ironica? La memoria genetica esiste per davvero.
In conclusione
Questa recensione fa schifo. Fa schifo perché non so mai cosa scrivere quando un libro mi è piaciuto. Le recensioni negative sono assai più facili – e a dirla tutta mi preferisco nei panni del perfettino rompipalle che non di quello che si spertica in lodi. Ma i libri belli esistono e, grazie a Gaga, anche i libri belli scritti da italiani. Il sentiero di legno e sangue è uno di questi.
La scrittura è ottima e scorre via che è un piacere, la storia è intrigante e si sviluppa in un crescendo ben strutturato, ma spinge lo stesso il lettore a riflettere sulla destinazione a cui è arrivato assieme a Weirdocchio, e il mondo in cui si snoda la vicenda è ricco di creatività e immaginazione.
Insomma, Scrittevolissimi Lettori, si tratta di un bel libro da leggere e consigliare. E ora andate che mi sento nudo quando non faccio il burbero.