"La
prima delle morti di dio è compiuta. Ma la giustizia vincerà solo
quando l'aratro traccerà l'ultimo solco. Lei non mi conosce. Nessuno
mi conosce. Non importa come mi chiamo. Sono solo un'ombra."
Titolo:
E' così che si uccide
Autore:
Mirko Zilahy
Editore:
Longanesi
Numero
di pagine: 410
Prezzo:
€ 16,50
Data
di pubblicazione: 4 Gennaio 2016
Sinossi:
La
pioggia di fine estate è implacabile e lava via ogni traccia: ecco
perché stavolta la scena del crimine è un enigma indecifrabile. Una
sola cosa è chiara: chiunque abbia ucciso la donna, ancora non
identificata, l’ha fatto con la cura meticolosa di un chirurgo,
usando i propri affilati strumenti per mettere in scena una morte.
Perché la morte è uno spettacolo. Lo sa bene, Enrico Mancini. Lui
non è un commissario come gli altri. Lui sa nascondere perfettamente
i suoi dolori, le sue fragilità. Si è specializzato a Quantico,
lui, in crimini seriali. È un duro. Se non fosse per quella
inconfessabile debolezza nel posare gli occhi sui poveri corpi
vittime della cieca violenza altrui. È uno spettacolo a cui non
riesce a riabituarsi. E quell’odore. L’odore dell’inferno,
pensa ogni volta. Così, Mancini rifiuta il caso. Rifiuta l’idea
stessa che a colpire sia un killer seriale. Anche se il suo istinto,
dopo un solo omicidio, ne è certo. E l’istinto di Mancini non
sbaglia: è con il secondo omicidio che la città piomba nell’incubo.
Messo alle strette, il commissario è costretto ad accettare
l’indagine… E accettare anche l’idea che forse non riuscirà a
fermare l’omicida prima che il suo disegno si compia. Prima che il
killer mostri a tutti – soprattutto a lui – che è così che si
uccide.
La recensione
“La
speranza è il senso del dopo. Ci allontana dalla necessità
dell'oggi.”
Mi
è bastato un mese, un fulmine a ciel sereno, per rovinare un anno.
Ho abolito i festeggiamenti, ho saltato il Natale. Scrivo che è il
trentuno dicembre, finalmente la fine, e mi piacerebbe svegliarmi
domani. Per vedere, con l'anno nuovo, se qualcosa vuole cambiare
oppure no. A breve toglierò i pochi addobbi per casa, spoglierò
l'abete sintetico di quelle luci che sono state più spente che
accese. Metaforicamente, ai suoi piedi, incartati per un secondo –
la mia curiosità non aspetta oltre -, due pacchetti: nel primo, i
libri che ha voluto regalarmi una collega blogger – un pensiero di
cuore che mi è stato di grande aiuto -, e nel secondo, spedito dalla
Longanesi, un romanzo in anteprima. Grande gioia del mio non mestiere
di blogger, infatti, avere la palla di cristallo e giocare
d'anticipo. Sul finire dell'anno vecchio ho sbirciato un po' il
nuovo, in un libro su cui ne sentirete senz'altro tante, e voglio
quindi dirvi com'è. Meglio ancora, se, come in questo caso, si parla
di thriller: il brivido di non sapere cosa c'è nella scatola – una
tagliola o un fiore, un successo o un fiasco? - e l'istinto
animale di fidarsi. Un appuntamento al buio, coi coltelli appuntiti e
le forchette nascoste dietro la schiena. E' così che si
uccide, sinistro ma gradito
dono, ha chiuso con qualcosa di buono – una prosa da scoprire,
figure da conoscere, un epilogo perfetto – 365, su molti fronti, da
scordare sul fondo del bicchiere. Sorpresa, oppure no, se la casa
editrice è una talent scout di esordienti di razza – conoscete le
mie affezionatissime Alessia Gazzola e Valentina D'Urbano, Donato Carrisi – e
l'autore, italiano nonostante il cognome lasci pensare il contrario, ha un
curriculum sterminato e, per dirne una, ha tradotto Il
Cardellino, l'imponente romanzo Pulitzer di
Donna Tartt. Mirko Zilahy, il cui esordio è stato subito conteso
dagli editori internazionali, racconta la morte, l'amore e una Roma
inedita, che vive di notte. Gli antici splendori degli antenati
latini e, come tante volte ha ribadito il mio professore di Storia
dell'arte, laziale doc, gli sfregi architettonici degli ingegneri
moderni. L'opera d'arte e le fabbriche di malanni a cielo aperto, la
pietra eterna e l'acciaio, grigio quanto il cemento armato
tutt'attorno. Piove sempre, come nell'ultimo Sollima, è l'acqua si
riversa in strada: le fogne traboccano e il Tevere, sudicio,
straripa.
Roma è bella, in Zilahy, ma solo in foto. Qui, radiottiva
e paludosa, non adatta al turista di passaggio, è una landa sotto un
velo di nebbia, che le luci delle centrali elettriche, sparse
sull'ansa, non illuminano a sufficienza. I lampioni proietterebbero, nel caso, due ombre furtive: quella di un serial killer dalla forza bestiale,
che commette cruenti omicidi rituali; quella, ancora, di un ispettore
che si è formato a Quantico, il paradiso dell'investigazione, e che,
afflitto da un dolore da evitare con cura, si trascina in un
purgatorio di città. L'aria malinconica à la Luigi Tenco e i guanti
alle mani per evitare qualsiasi contatto fisico, Enrico Mancini –
coinvolto prima nelle ricerche di un oncologo scomparso, mistero che
lo tocca personalmente, poi nella caccia di un omicida che grida
vendetta – è un solitario per natura che, nel corso delle
indagini, dovrà apprendere i meccanismi del duro lavoro di squadra.
Sapete qual è il colmo, ironia della sorte, per un superpoliziotto?
Da quando la compagna di una vita, Marisa, non c'è più, rifugge la
visione dei cadaveri, schiva il pensiero del dolore. Lui non ha
scelto la morte, la morte ha scelto lui. Attorno alla tavola rotonda
di un professore in pensione – espediente utile per consolidare la
task force e fare, ogni tanto, il
punto della situazione -, che pendono dalle labbra di un luminare del
campo, Walter, il gigante buono; la timorosa fotorilevatrice
Caterina; l'austera pm Giulia Foderà; il medico legale Rocchi.
Procedono per supposizioni, loro, e tracciano linee a unire i luoghi
degli omicidi; a piccoli passi, piano, scoprono, insieme al lettore,
la verità dietro quelle vittime sezionate chirurgicamente e poi
profanate. I vestiti di qualcun altro, i rattoppi sulla carne e,
all'interno, corpi estranei. Indizi.
In E' così che si
uccide si fa, all'inizio, oggettiva fatica ad entrare. L'autore, infatti, che si è
documentato, ha smosso, ha studiato, parla come un libro aperto.
Tecnico, enciclopedico, turba positivamente con uno stile ricco,
che ha un aggettivo per ogni sostantivo, e dettagli meticolosi. Un
signore che sa scrivere sì, mi sono detto fino alla metà, ma il
thriller, che ha bisogno di rapidità e scorrevolezza? Un espediente
che ho notato, ad esempio: la presenza di una persona disinformata
sui fatti, a lezione di crimine, che ha bisogno di qualche
delucidazione, come d'altronde il lettore stesso, profano. Ciò che
secondo me ancora manca a Zilahy – o, se non gli manca, è un
tratto da affinare – è giusto l'afflato divulgativo di un Carrisi. Un po' di
ordine, nell'andare al cuore nudo e crudo del concetto. Che la cura
degli abbellimenti, la raffinatezza degli effetti retorici, siano custodite, invece, per dare profondità a questi commissari un po'
filosofi, come True Detective
ci ha insegnato. Dolente e umano, Mancini segue una corrente di pensiero nichilista e disincantata – la vita, lo spiegano la balistica e le
leggi gravitazionali, non è che un'amara parabola discendente - e nel
capitolo in cui torchia a muso duro un sospettato, scena degna
del migliore attore protagonista,
interpreta il ruolo dello sbirro cattivo e lascia individuare più di
un'analogia con il serial killer di turno. Il buono e il cattivo, infatti, sono legati
dallo stesso grado di conoscenza – uno sa come indagare e l'altro
come colpire – e da un simile mal di vivere. Sopravvissuti entrambi al cancro del male. Una volta ingranata la marcia corretta, quindi, si
insegue a perdifiato un ottimo epilogo, che scombussola per la tanta rabbia –
più sconcertante, talora, di un colpo di scena ben piazzato – e la spassionata voglia
di denuncia: ci sono vendette e vendette, e la malasanità ha, sulla
coscienza, più morti innocenti di Charles Manson. Un urlo finale, di
giustizia e rivalsa, allora, contro un cielo disabitato, “atomo opaco del
male”. Anche se, mentre fa capolino da una nube temporalesca, non ci si negherà alla vista il miraggio di una timida ma indispensabile lama di luce.
E' così che si uccide.
E' così che si scrive.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Leonard Cohen – Nevermind