Non si può piangere per sempre. Tutti, prima o poi, si addormentano. Titolo:
Tutto ciò che sappiamo dell'amore Autrice:
Colleen Hoover Editore:
Fabbri “Life” Numero
di pagine: 352Prezzo:
€ 15,90Data
di pubblicazione: 12 Marzo 2015 Sinossi:
Lake
ha vissuto l’anno peggiore della sua vita: la morte del padre, i
litigi con la madre, un trasloco in una nuova città e la fatica di
reinventarsi una vita. Finché non conosce Will, il vicino di casa, a
sua volta costretto dalla vita a crescere in fretta. L’intesa è
immediata, ma il primo giorno in classe Lake scopre che il loro è un
amore impossibile: Will è uno dei suoi professori. Altrettanto
impossibile allontanarsi, dimenticarsi, rinunciare: e così Lake e
Will – costretti a restare divisi – si parlano attraverso la
poesia, anzi, le poesie, in pubblico ma in segreto, servendosi di uno
slam (una gara di versi) per dirsi tutto ciò che devono e vogliono
dirsi. La recensioneIo
non ci rinuncio. Io mica mi arrendo. Voglio capire qual è la
differenza tra “nuovi” e “giovani” adulti – e non ci sono
riuscito, non ancora. Voglio trovare un romanzo di un genere esploso
all'improvviso, ma tristemente sempre uguale a se stesso, che mi
faccia credere che ci sia sempre di meglio, che al young adult le
nuove autrici – tutte donne, tutte appresso ai soliti temi: tutte
uguali – rubacchino anche la profondità, la verosimiglianza dei
loro racconti, e non solo i protagonisti all'ultimo anno di liceo in
preda agli ormoni – e se ci sono riuscito, qualche tempo fa, è
stato proprio grazie a Colleen Hoover che da allora, all'incirca, mi
ripropongo di leggere di nuovo. Quando la Fabbri, in cerca di un
parere maschile, mi ha indicato una serie di titoli da recensire in
anteprima, la mia scelta, a colpo sicuro, è ricaduta, quindi, sulla
ristampa di Tutto ciò che sappiamo dell'amore. Uscito qualche
estate fa, è entrato ed uscito ed entrato ed uscito dalla mia lista
dei desideri a tempi alterni: mi convincevano i pareri positivi, mi
faceva passare la voglia, però, anche la minima recensione stonata.
Non sarebbe stato come Hopeless, delicato e tostissimo, con
due protagonisti originali e un oscuro contorno di abusi familiari e
infanzie negate; ma a scatola chiusa, se proprio dovevo scegliere,
sceglievo la Hoover. Scatola chiusa tra virgolette. In realtà, come
capita con quei libri che ti incuriosiscono ma che poi, convinto non
li leggerai mai, vai a spulciarti per bene, impaziente di capire cosa
sia piaciuto e cosa invece no, devo confessare che sapevo più di
quanto volessi a proposito di questa storia. La svolta drammatica
della parte finale, ad esempio. Quella che a tutti, me compreso, a
causa di un'ironia inusuale che mi è parsa solo mancata discrezione,
ha fatto storcere il naso. Poiché preparato, mi è sembrata poca
cosa: ci sono passato sopra; il resto scorreva. Il pregio del romanzo
– primo di una trilogia, ma perfettamente autoconclusivo – è che
è piacevolissimo, lieve, e che i classici lutti dei protagonisti non
risultano troppo. Lontano dalla profondità di Hopeless, è un romanzo tutto sommato onesto, che non vuole farsi
ricordare grazie a trovate ruffiane o fastidiose – il sesso
esplicito, la promessa di una maturità che poi manca – ma neppure
per il sentimento travolgente tra i due giovani protagonisti – due
ragazzi che si amano, anche se, come in Pretty Little Liars,
lui è un professore di lettere e lei una studentessa – dei quali
non avverti mai la loro relazione come maledetta dalle stelle;
realmente ostacolata. Lake e Will, con le loro famiglie bisognose e
l'esigenza di crescere in fretta, si muovono in un ambiente noto –
il liceo – e percorrono insieme le tipiche fasi del lutto e le
altrettanto tipiche fasi dell'innamoramento: gli amici consueti, i
consueti litigi, anche se i simpatici fratellini minorii e i loro
preparativi per Halloween e il filo doppio delle emozionanti
esibizioni al N9VE danno una nota di colore. Considerando la
presenza costante di una narratrice che non brilla per buone idee,
più infantile dei suoi diciotto anni, il romanzo ha il suo riscatto,
la sua ora d'aria, quando sottraggono la parola a Lake le lettere dei
genitori e, soprattutto, le poesie rabbiose e autentiche dello Slam.
Gara poetica senza rime e senza regole che unisce i due personaggi,
dirimpettai e qualcosa di più, dietro un microfono e contro
l'ingiustizia di una vita da vivere come viene; sia quando dispensa
dispiaceri, sia quando distribuisce piccoli miracoli. La poesia,
purtroppo, resta sul palcoscenico e non influenza lo stile: non
scende in campo, non dà quella cosa in più alla prosa lineare e
standard delle autrici che fanno romance, ma il troppo
stroppierebbe e Tutto ciò che sappiamo dell'amore risulta abbastanza. Semplicemente, abbastanza. Abbastanza problematico, abbastanza romantico, abbastanza
carino. Il che è molto di più di quanto si possa dire di tanti new
adult che si prestano a stroncature spietate e a facile ironia. Tutto
ciò che sappiamo dell'amore – traduzione liberissima dall'americano
Slammed, titolo che finirò sempre per confondere con quello
di una brutta e (quasi) omonima commedia di Gabriele Muccino - non
sarà il vostro breviario dei sentimenti. Tutto ciò che saprete
sull'amore, ecco, non lo saprete grazie a questa lettura. Non spicca il
volo, ma è un viaggio a velocità costante confortevole e senza
tratti al buio, mentre la strada è tutta dritta – nonostante
qualche buca sporadica faccia sobbalzare – e alla radio passa un pezzo che ti
piace e che fa, lungo il tragitto, buona compagnia. Il
mio voto: ★★★ Il
mio consiglio musicale: Swedish House Mafia - Don't You Worry Child Feat. John Martin (Acoustic Version)
“Don't
you worry, don't you worry child See
heaven's got a plan for you.”
L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali...
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