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Recensione in anteprima: The returned

Creato il 18 novembre 2013 da Miriam Mastrovito @miriammas
Recensione in anteprima: The returned Titolo: The returned Autore: Jason Mott Editore: Harlequin Mondadori Pagine: 336 Prezzo: 16,00 euro In libreria dal 19 novembre 2013 Descrizione: Per Harold e Lucille Hargrave la vita è stata felice e amara allo stesso tempo, da quando hanno perso il figlio Jacob il giorno del suo ottavo compleanno, nel 1966. In tutti questi anni, si sono adattati a una vita tranquilla, senza di lui, lasciando che il tempo alleviasse il dolore... Finché un giorno Jacob, il loro dolce, prezioso bambino, misteriosamente, ricompare alla loro porta, in carne e ossa. E ha ancora otto anni. Qualcosa di strano sta succedendo... i morti stanno tornando dall’aldilà. Mentre il caos rischia di travolgere il mondo intero, la famiglia Hargrave di nuovo riunita si ritrova al centro di una comunità sull'orlo del collasso, costretta a fare i conti con una realtà nuova quanto misteriosa e con un conflitto che minaccia di sovvertire il significato stesso di genere umano. 
The returned diventerà presto anche una fiction TV che andrà in onda sull’emittente americana ABC. Il serial si chiamerà The Resurrection e vanterà un team d’eccezione. 
L'autore: Recensione in anteprima: The returned
Jason Mott. Scrittore americano, è autore di due raccolte di poesie ha pubblicato le sue opere anche in molte riviste letterarie. Nel 2009 è stato nominato per il Pushcart Prize, il premio dedicato agli autori pubblicati da piccoli editori. THE RETURNED è il suo primo romanzo, che uscirà in contemporanea in tutto il mondo. Un evento imperdibile che presto diventerà anche una serie televisiva con un cast stellare, proveniente dai più famosi serial americani. La mia recensione: Qualcuno bussa alla tua porta. Vai ad aprire, magari aspettandoti che sia il solito scocciatore, e invece… ti ritrovi di fronte chi non avresti mai immaginato: una persona cara persa ormai da tanto tempo, qualcuno che sapevi essere morto e sepolto per averlo visto coni tuoi occhi ma che adesso è proprio lì, in carne e ossa, sulla tua soglia e non aspetta altro che essere accolto tra le tue braccia.
È una scena che ho visualizzato spesso nei miei sogni, un pensiero su cui ho fantasticato più volte e che, sono certa, avrà sfiorato anche voi, perché separarsi definitivamente da una persona amata è qualcosa di intollerabile per tutti.
Affascinante e inquietante al tempo stesso, l’ipotesi di un ritorno dall’aldilà si è insinuata anche in cinematografia e in letteratura assumendo quasi sempre, però, delle forti connotazioni horror. Solitamente i ritornanti sono zombie, esseri mostruosi, spaventosi, maleodoranti; creature in disfacimento che nulla più conservano di veramente umano e che rappresentano una minaccia per i vivi. Lo stesso Stephen King si è lascito sedurre da questa tematica producendo nell’ormai lontano 1983 l’indimenticabile Pet Sematary − a mio avviso uno dei suoi romanzi migliori. Anche nell’immaginario del Re,  il sogno si trasformava in incubo perché coloro che tornavano non erano del tutto uguali a quelli che se ne erano andati e, di certo, non erano animati da buone intenzioni.
Inevitabilmente il desiderio di sconfiggere la morte si scontra con la consapevolezza che in esso ci sia qualcosa di sbagliato, poiché tornare in vita è contro natura.
Jason Mott non sovverte questa regola non scritta ma verga una storia molto diversa da quelle raccontate fin qui sull’argomento. Non si tratta di una favola e nemmeno di un racconto sdolcinato privo di credibilità, tutt’altro, The returned è un romanzo crudo, struggente, realistico a dispetto dell’idea da cui prende le mosse, eppure capace di allargare il cuore di chi legge all’inverosimile. È una carezza nell’ora più buia, è la speranza che qualcosa di essenziale possa restare per sempre, nonostante tutto.
All’improvviso succede davvero: un bel giorno, senza alcuna spiegazione, i morti cominciano a tornare. Non si alzano dalle tombe né riemergono dalle viscere della terra, semplicemente riappaiono vivi e vegeti da qualche parte nel mondo. Non hanno orbite svuotate, né pelle cascante, sono tali e quali a com’erano prima di morire e conservano la stessa età  che avevano al momento del decesso. Non sono famelici e nemmeno aggressivi, sono solo smarriti perché non ricordano niente di ciò che è successo dopo che è calato il buio sulle loro esistenze. A un certo punto riaprono gli occhi e si ritrovano in un luogo sconosciuto e il loro bisogno più impellente, salvo rare eccezioni,  è quello di tornare a casa.
Chiudete gli occhi per un attimo e provate a immaginare lo scenario. Amanti che si ritrovano, familiari che si ricongiungono, amici che si riabbracciano. Sembra un idillio, vero?
Eppure non è proprio così. Se vi soffermate a riflettere, vi accorgerete che una miriade di domande comincerà ad affollare la vostra mente e contemporaneamente inizieranno a profilarsi un mucchio di problemi di difficile soluzione.
I redivivi si moltiplicano, sono sempre di più, così nelle città comincia a non esserci più spazio per tutti e i viveri scarseggiano. Il fenomeno pian piano acquisisce i contorni di una epocale immigrazione e il fatto che gli “stranieri” in arrivo provengano dall’oltretomba non impedisce che i comuni sentimenti di razzismo e intolleranza mettano le radici nei cuori di qualcuno.
C’è chi riaccoglie i propri cari senza remore come Lucille Hargrave che riabbraccia il suo Jacob − morto in un tragico incidente all’età di soli otto anni − gridando al miracolo, ma c’è pure chi nutre il sospetto che si tratti di demoni o di pallide imitazioni e vorrebbe respingerli al mittente. Nel mezzo rimangono gli indecisi come Harold, il marito di Lucille, che non riesce a considerare il bambino un mostro ma neanche riesce a riconoscerlo davvero come suo figlio perché lui ha stretto tra le braccia il suo corpicino esanime, livido e gonfio dopo essere stato a mollo nelle acque del fiume, e non può fare a meno di pensare che nel nuovo Jacob ci sia qualcosa di profondamente sbagliato. Vorrebbe chiudergli la porta in faccia ma non ce la fa perché il dubbio è terribile.
La personale esperienza dei coniugi Hargrave, insieme a quella di alcuni altri abitanti di Arcadia (piccolo paesino americano), rimane sotto i riflettori ma tra i capitoli che tracciano il filo conduttore del romanzo si inseriscono molteplici altri racconti di persone ritornate.
Con grandissimo realismo e uno stile incisivo e asciutto che, a tratti, mi ha ricordato la prosa di Philip Dick, Jason Mott delinea un scenario di fortissimo impatto esplorando tutte le possibili implicazioni della situazione immaginata, non trascurando la riflessione su alcuni grandi quesiti che dall’alba dei tempi assillano l’umanità.
Lo sguardo attento dell’autore  si sposta dal macrocosmo − rappresentato da una società al collasso che risponde all’emergenza con l’allestimento di veri e propri campi di concentramento per i redivivi −, al microcosmo rappresentato dalle esperienze dei singoli e dalla loro personale reazione al fenomeno di cui sono protagonisti. Nel passaggio dall’una all’altra prospettiva si fanno strada le grandi speculazioni sul senso della vita e della morte, sulla fede, sull’amore, sul peso della memoria.
Si giunge così, tra mille dubbi e altrettante speranze, al termine di un’avventura che, inevitabilmente, sfocia in un finale aperto lasciando alcuni interrogativi in sospeso ma non mancando di consegnarci una risposta, a mio parere, impagabile. Non si tratta di una risposta univoca e sbandierata, è una risposta appena sussurrata e che va ricercata tra le righe ma che, vi assicuro, vi aprirà il cuore fornendovi una preziosa chiave di lettura in grado di farvi innamorare ancora di più di questo libro straordinario.
La verità è che, come l’autore stesso auspica nelle sue note conclusive, The returned non è semplicemente una storia. The returned, è un luogo in cui “le spietate regole della vita e della morte non esistono più e le persone possono stare ancora una volta con i loro cari, Un luogo in cui un genitore può abbracciare di nuovo il figlio. Un luogo dove due innamorati possono ritrovarsi dopo essersi persi. Un luogo dove un bambino può, finalmente, dire addio alla madre.”
Un luogo dell’anima − aggiungerei io −  in cui la morte, intesa come fine di tutto, può essere  messa a dura a prova dalla forza del ricordo.
 
  
  


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