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Recensione: In questo libro c’è il diavolo

Da Ayameazuma

Titolo: In questo libro c’è il Diavolo
Autore: Luca Ducceschi
Editore: Montag
Genere: Horror
Pagine 177
Prezzo Euro 14,00
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QUARTA DI COPERTINA
Un sentiero di morte che sfiora orrori immaginari quali streghe, demoni e vampiri, ma anche orrori reali come i fantasmi di una mente malata, la solitudine in una casa di riposo, la violenza di stato.
Nove racconti, nove sussurri, nove coltellate nella schiena, rossi come il sangue e neri come la paura. Una paura che spesso non è solo là fuori, ma anche dentro di noi. Una guerra in cui non ci sono né vincitori né vinti e la redenzione, forse, è lontana.
Perché in questo libro c’è il diavolo…

TRAMA
In questo libro c’è il Diavolo è un’antologia composta da nove racconti, legati dallo stesso filo conduttore, l’angoscia.
Angoscia che l’autore instilla sia tramite l’utilizzo di ambientazioni ad-hoc, sia tramite un’innegabile capacità di toccare nervi scoperti, quelli legati alle paure incontrollabili, che se accarezzati nel modo giusto ottengono l’effetto sperato: metterti addosso una fottutissima ansia. Anche e soprattutto di vedere come va a finire.
In questo libro c’è il Diavolo è un viaggio dentro e fuori se stessi. Dentro perché le paure dei suoi protagonisti sono quelle di tutti, fuori perché si viene sballottati continuamente da un posto all’altro, da un mondo all’altro, senza alcun ritegno.
E così ci si trova seduti nell’anticamera di un ospizio che ospita vecchietti piuttosto particolari, si prosegue camminando nei sotterranei di una grande metropoli per riemergere nel bel mezzo di una tormenta di neve in un mondo che non è il nostro. Non si fa in tempo a respirare un po’ d’aria pulita che ci si rende conto di essersi perduti in una squallida radura periferica dove l’unica forma di vita è uno strano tatuatore dall’aria poco raccomandabile. E se hai paura, sono affari tuoi; tanto non scappi, perché l’alternativa è imboccare una strada presidiata dallo spettro di un bambino, oppure salire su un treno mortifero che viaggia a folle velocità in una notte oscura, e lì, dove ferma quel treno, trovi ad aspettarti una metropolitana che ti porta dritto dritto in una clinica per malati mentali.
E il viaggio finisce solo dove la giustizia non è contemplata, e quando la fame sembra in parte saziata.
Ducceschi parla di una guerra senza vincitori né vinti, ed è esattamente così: bene e male convergono su un’invisibile linea che crea un orizzonte irraggiungibile.

PERSONAGGI
Ducceschi nel corso dei nove episodi usa tutto ciò che si può usare in un horror: fantasmi, vampiri, streghe, diavoli, mostri. E se questo non dovesse bastare, per raccontarceli usa tutti i veicoli che nell’immaginario comune sono legati alla paura: donne misteriose, bambini dallo sguardo triste, barboni dimenticati da tutti, giovani satanisti appassionati di heavy metal, circensi coperti di pelle e mistero, monaci, preti e compagnia.
Ma In questo libro c’è il Diavolo non è affatto un’accozzaglia di stereotipi come potrebbe sembrare. Perché Ducceschi parte da schemi preconfezionati lasciati in eredità da maestri quali Lansdale e King, tanto per fare un paio di nomi, per fare come al solito di testa sua e raccontare quello che maggiormente gli piace raccontare.
È un libro che si beve tutto d’un fiato, dal primo all’ultimo racconto, dove l’horror è quasi un pretesto per toccare tematiche che altrimenti sarebbero difficili da far digerire, sia a un editore che a un lettore: la violenza di Stato, la politica, il sesso, il sociale.
Insomma, in questo libro c’è quel Diavolo del Ducceschi, che come sempre ti fa credere di leggere una cosa, ma in realtà te ne dice un’altra.

PUNTI FORTI vs PUNTI DEBOLI
Non è mai facile recensire una raccolta di racconti. Ed è ancora più complicato recensire una raccolta di racconti horror, dove non puoi dire per paura di dire troppo. Tralascio dunque i dettagli sulle trame, e mi limito a indicare quelli che secondo me sono i punti salienti dello stile.
Gli unici punti deboli che ho riscontrato nello stile dell’autore sono:
- la tendenza a essere un po’ troppo ripetitivo nella descrizione delle ambientazioni e nell’utilizzo di alcune espressioni. C’è una presenza invasiva di buio, puzza, freddo e musica post-punk / rock che non mi è piaciuta granché.
- l’insistenza con cui tende ad avvisare il lettore di quanto sia grosso ciò che sta per accadere. In alcuni racconti si crea un’aspettativa difficile da soddisfare ma soprattutto pesante da sopportare.

I punti forti, al contrario, sono molteplici. Ducceschi conferma uno stile crudo, diretto e a tratti sboccato e irriverente, ma estremamente credibile ed equilibrato. Il linguaggio incalzante e avvolgente, affascinante ma mai lezioso, urbano ma non giovanilistico, zeppo di gergalismi ma mai forzato, riesce a dare un tocco originale anche a storie che in alcuni tratti appaiono riciclate.
Tutti e nove i racconti scorrono senza intoppi e senza perdite di tempo dietro descrizioni superflue o dettagli non necessari, ma non sono mai né scarni né leggeri. Forse solo nell’ultimo c’è qualche leziosità di troppo, una mano un po’ troppo calcata, ma nel complesso un’ottima prova.

I RACCONTI
I più riusciti: IL TATUATORE, perché è pieno di colori, immagini, dolori e risveglia i sensi. BAMBINATE, perché è incredibilmente incasinato ma estremamente semplice e bello da morire. Con poco dice tanto.

I meno riusciti: DUE INFERNI DI GHIACCIO E UNA STELLA DI LUCE BIANCA perché è troppo fantasy. GIOVENTU’ KANNIBALE perché è incredibilmente semplice ma estremamente incasinato. Con tanto dice poco.

Il più incomprensibile: SOTTO PARIGI e chi lo capisce mi faccia il favore di spiegarmelo…

Fatevi un favore: per Natale lasciate fuori casa quel mollaccione di Santa Claus e fate entrare ‘sto diavolo, che forse non vi porterà il solito paio di guanti con sciarpa annessa, ma vi regalerà sicuramente qualcosa di molto interessante.

Recensione di Enrica Aragona


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