Into the Woods, un film di Rob Marshall. Dal musical di Stephen Sondheim e James Lapine. Con Meryl Streep, Emily Blunt, James Corden, Chris Pine, Anna Kendrick, Johnny Depp, Tracey Ullman.
Un musical che si pretende moderno, nella sua ansia di demitizzare e demistificare le fiabe dei Grimm (ma perché poi?). E che invece si salva solo nelle sue parti più classiche. Grandi le musiche di Sondheim, fantastiche le lyrics di Lapine, ma non bastano a raddrizzare questo musical, debolissimo soprattutto nella seconda parte. E la regia di Rob Marshall non ha il minimo guizzo. Voto 5,3
Ci son cose – libri, film, musical e narrazioni varie – che invecchiano bene e altre malissimo. Purtroppo Into the Woods appartiene alla seconda categoria, un musical che, essendo nato nel 1987, rispetto a molti classici del genere sarebbe da considerarsi perfino giovane e fresco, e che invece in questa cineversione appare decrepito, rugoso, sepolcrale. Tanto più vetusto quanto più si dà arie moderniste, nella sua pretesa di ribaltare, illuminare i lati nascosti, insomma di demistificare (tremenda parola in auge qualche decennio fa) le favole dei fratelli Grimm. Pescando molto, pare, da un libro ormai canonico dello psicanalista Bruno Bettelheim, Il mondo incantato, in cui si andavano a stanare le pulsioni e i contenuti inconsci soggiacenti ai racconti più famosi dei novellieri, individuandone il ruolo nello sviluppo psicologico degli infanti. Sicché Into the Woods ci presenta sì un mondo fiabesco, ma non così fatato, percorso com’è da avidità, violenze, fantasmi sessuali e via continuando con ombre e incubi vari ed eventuali, nel gioco che abbiamo visto mille volte – e dunque alquanto logoro e sdato – del demitizzare e svelare. Ma oggi che non c’è più bisogno di complesse griglie interpretative per portare a galla ciò che un tempo era nascosto, censurato, rimosso per il semplice fatto che l’inconscio oggi non si cela ma si mostra orgogliosamente al mondo (penso alla iper sessualizzazione del nostro vivere qui e ora), simili operazioni demistificatorie hanno perso gran parte del loro fascino e forse del loro senso. Scusate, che ci può mai importare che Into the Woods ci racconti non solo ciò che sta sotto e dietro le fiabe ma anche il dopo che non abbiamo mai conosciuto e che i Grimm non ci hanno mai detto? Tant’è che il film-musical funziona abbastanza (abbastanza) nella sua prima parte, che è diciamo così la più classica e la meno lontana dalla fonte, e funziona malissimo nella seconda, quando vorrebbe dirci e farci la spiega e pure la morale su come quei personaggi e quelle storie non son mica quelli signora mia che ci han raccontato i famosi due fratelli fabbricanti (o rimaneggiatori) di favole. Abbastanza ingegnosamente gli autori si inventano, scagliandoli in un tempo ovviamente fuori dal tempo, un lui fornaio e una lei moglie del fornaio le cui traversie si incastrano con le traiettorie di quattro classiche fiabe dei Grimm, Cenerentola, Capuccetto rosso, Raperonzolo e Il fagiolo magico. A causa della maledizione lanciata da una strega vendicativa, i due non possono avere figli. Potranno spezzare l’incantesimo solo consegnando alla megera entro 72 ore oggetti rubati ai protagonisti della quattro storie di cui sopra. Sicché ecco servito il congegno delle 4 favole + 1. A connettere vite e destini di tutti è il bosco, dove tutti si incontrano e si scontrano, luogo ovviamente di ogni magia e mistero e pericolo. Non è che ci si appassioni granché, e però le musiche del grande Stephen Sondheim son spesso di classe eccelsa e meravigliosi i testi delle canzoni scritti da James Lapine, di una crudeltà, di un disincanto e una feroce leggiadria davvero mirabili. Quando però Into the Woods entra nella seconda parte tutto si spappola. Venendo meno le grucce dei poderosi e collaudati impianti narrativi dei Grimm la narrazione sbanda vistosamente, certi passaggi sono oscuri o immotivati, alcuni personaggi scompaiono senza che si diano spiegazioni convicenti, e si arriva ansimanti a un finale in cui con pezzi scomposti e sopravvissuti delle varie favole si forma una nuova famiglia. Finale che appare, oltre che vetero-ideologico, pure incongruo. Non conosco il musical originale, non so quanto sia stato conservato, rimaneggiato, tagliato, espunto. Dico che quanto si vede qui è parecchio deludente (meno quel che si sente: le musiche fan la loro parte egregiamenti, e pezzi come Agony e quello in cui i personaggi si rinfacciano le colpe sono magnifici). Responsabilità anche del regista Rob Marshall (Chicago, Nine) che impagina diligentemente ma senza guizzi, non riuscendo mai a restituire un senso di magico, di spaesamento, di altrove. Sarà anche per via della forma-cinema, di suo implacabilmente realistica rispetto al teatro (e dunque bisognosa in casi come questi di un talento visionario alla regia in grado di suggerire altre dimensioni), ma davvero Into the Woods non ce la fa mai a riscattarsi dal puro livello descrittivo, da una messinscena solo illustrativa e mai evocativa, mai esploratrice. Restano delle schegge. La voce di Anna Kendrick/Cenerentola, attrice che sa cantare come non avremmo sospettato (mentre di Meryl Streep, la strega, già sapevamo). O il camp che qua e là trapela e che Rob Marshall avrebbe potuto cavalcare con più coraggio, con più estremismo e perfino voluta sgangherataggine, come nel duetto dei due principi – quelli di Cenerentola e Raperonzolo – abbondamentemente innaffiato di sottotesti gay. Ecco, Cenerentola. Tanto per stare in questa stagione cinematografica, e sempre in casa Disney, molto meglio quella filmata da Kenneth Branagh. Perché se favola ha da essere, che favola sia. Chi segue il percorso autodistruttivo da qualche anno imboccato da Johnny Depp non si perda la sua partecipazione a Into the Woods quale laido lupo e lubrico voglioso di mangiare Capuccetto, e di fronte a Depp travestito da nonnina non si sa se ridere o piangere. Ma più la seconda.
Magazine Cinema
Recensione: INTO THE WOODS. Perché mai decostruire le fiabe?
Creato il 08 aprile 2015 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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