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Recensione: Io che amo solo te, di Luca Bianchini

Creato il 18 maggio 2014 da Mik_94
Ciao a tutti, amici lettori, e buona domenica. Come state? Io insomma. Ho prenotato il terzo esame di giugno. In dieci giorni dovrei farne tre, ahahahahah. Morirò. Intanto sto preparando il primo – Storia della lingua – e poi si vedrà. Questa mattina, rubando tempo ad altri tre libri ceramente meno piacevoli di questo, vi parlo della mia ultima lettura: Io che amo solo te. Nella scheda, trovate i dati dell'edizione Flipback, che ho acquistato la settimana scorsa. Io trovo sia comodissima, anche se i prezzi non sono particolarmente convenienti. Unica eccezione, il libro di Bianchini, che contiene, alla fine, anche La cena di Natale, un racconto uscito nel periodo di dicembre che costava una decina di euro di per sé. Quello conto di recensirlo e leggerlo in un'altra occasione. Intanto, ecco la recensione del primo libro. Piacevole, a volte profondo, carinissimo: non lo nego. Ho sentito, tuttavia, che mancasse qualcosa. Capirete meglio leggendo. Io scappo e vi auguro una bellissima giornata: il sole ha deciso di farci compagnia. 
Ricordati che c'è un conto per tuttiE più amore daimeno dovrai pagare alla fine
Recensione: Io che amo solo te, di Luca Bianchini Titolo: Io che amo solo te (e La cena di Natale) Autore: Luca Bianchini Editore: Mondadori Collana: Flipback Numero di pagine: 648 Prezzo: € 12,00 Sinossi: Ninella ha cinquant'anni e un grande amore, don Mimì, con cui non si è potuta sposare. Ma il destino le fa un regalo inaspettato: sua figlia si fidanza proprio con il figlio dell'uomo che ha sempre sognato, e i due ragazzi decidono di convolare a nozze. Il matrimonio di Chiara e Damiano si trasforma così in un vero e proprio evento per Polignano a Mare, paese bianco e arroccato in uno degli angoli più magici della Puglia. Gli occhi dei 287 invitati non saranno però puntati sugli sposi, ma sui loro genitori. Ninella è la sarta più bella del paese, e da quando è rimasta vedova sta sempre in casa a cucire, cucinare e guardare il mare. In realtà è un vulcano solo temporaneamente spento. Don Mimì, dietro i baffi e i silenzi, nasconde l'inquieto desiderio di riavere quella donna solo per sé. A sorvegliare la situazione c'è sua moglie, la futura suocera di Chiara, che a Polignano chiamano la "First Lady". È lei a controllare e a gestire una festa di matrimonio preparata da mesi e che tutti vogliono indimenticabile: dal bouquet "semicascante" della sposa al gran buffet di antipasti, dall'assegnazione dei posti alle bomboniere - passando per l'Ave Maria -, nulla è lasciato al caso. Ma è un attimo e la situazione può precipitare nel caos, grazie a un susseguirsi di colpi di scena e a una serie di personaggi esilaranti.                                                  La recensione Recensione: Io che amo solo te, di Luca Bianchini L'anno scorso, un particolare romanzo aveva portato con sé l'estate. Erano ovunque mi girassi: l'estate, e quel particolare romanzo. Avevo capito che la bella stagione aveva fatto il suo puntuale arrivo dalle persiane aperte nelle case dei turisti: i parcheggi pieni di camper, i parcheggi che non si trovavano. In spiaggia, con lidi balneari sempre più ampi e una striscia di bagnasciuga sempre più ristretta, tra lombi cotti dal sole, bikini, trikini, cocco e balli di gruppo, l'ultimo libro di Luca Bianchini. In mano alle signore e ai mariti, sulle sdraio e nelle borse. Lo leggevano in tanti, dietro gli occhiali da sole e i cappelli di paglia. Le cravatte, le maschere e le chiavi d'ottone delle famigerate Cinquanta Sfumature non si vedevano quasi più. Rare e solitarie, su quei volumetti tascabili a cinque euro che anche le poste italiane vendevano con malizia. Io sbircio le letture della gente in treno, dei passeggeri degli autobus, delle hostess in volo: in vacanza, l'occhio corre, invece, ai miei vicini d'ombrellone. Abbronzatura da guiness, crema protettiva leggera ma non troppo, Io che amo solo te. Copertina bianca, due peperonici incrociati come le gambe dei tangheri argentini, il titolo di una bella e vecchia canzone di Sergio Endrigo. Per sognare luoghi di villieggiatura, anche se le ferie e un prezzo ragionevole ti hanno regalato uno spicchio blu di Adriatico, per quell'anno. Per andare in vacanza anche tu, che in vacanza non ci vai, che hai il mare sotto casa, che hai un mare che non ti basta. Benvenuti a Polignano, Puglia. 
Recensione: Io che amo solo te, di Luca Bianchini Case bianche, mare azzurro, cielo riflesso, rocce levigate. Sembra la Grecia più bella, una Grecia entrate ed uscita dalla crisi. Natura vivente, sole onnipresente, vento sfiancante. La statua del buon Domenico Modugno affacciata sul porto turistico, il belvedere che è lo scenario di filmini di nozze a prova di Oscar. Il maestrale, arrivato anche senza invito, fa volare i veli di tulle, le ciocche di capelli sfuggite dagli chignon, le code dei frac, come in un videoclip di quelli all'avanguardia. Questa Puglia ti accoglie, calorosa, tradizionalista, accomodante, nel segreto delle sue grandi bellezze e tra le righe di una prosa che tenta di coglierne l'essenza nascosta. E' una casa sempre aperta, con il mare ad un passo, trecce di peperoncino e aglio in veranda, piante di basilico alte quanto bambini dinoccolati. I protagonisti fissi della commedia all'italiana, invecchiati di vent'anni, s'incontrano e si scontrano nei territori del Tavoliere, a un matrimonio che non è il loro. La mamma dello sposo, una vedova sola e affascinante, con un seducente abito rosso che fa parlare: si dice l'abbia visto, su una rivista, addosso a Susan Sarandon e che l'abbia cucito uguale, per filo e per segno, con le sue mani di sarta esperta. La mamma dello sposo pensa alle sue polpette: le prepara e si sente meno triste. Per l'impasto: carne di prima scelta, uova, mollica, formaggio grattucciato, prezzemolo, qualche lacrima sfuggita via dagli occhi. Il padre dello sposo si fa chiamare Don e regna su campi di patate che anche gli egiziani gli invidiano: è un uomo laconico, che si concede pochi gesti d'affetto e pochissimi attimi di commozione. Piange solo una volta all'anno, guardando I ponti di Madison County e pensando alla sua futura consuocera: la sua Ninella bella, con gli abiti a fiori e gli stessi seni generosi che aveva anche da giovane, quando loro erano una coppia che il paese, per invidia e calunnia, aveva diviso. Da allora si guardano in chiesa, in fila per l'ostia. Accendono una candela e pregano tutti i santi di non cadere in tentazione: il loro amore è grande, ma proibito. Sono Montecchi e Capuleti alle prese con un'amnistia. Una pace temporanea. Volano rivelazioni, corna, abbracci spontanei. Il matrimonio è un affare di stato. Un rischioso “buona la prima”. Una cosa di famiglia! Luca Bianchini contempla le vite di tutti loro dall'alto e la sua prosa pulita è un zoom che avanza non visto sulle loro esistenze. Lui siede tra gli invitati al banchetto, in chiesa; passeggia per le strade battute dal sole, mantiene il phon al parrucchiere, gli ombretti al truccatore, il cavalletto al fotografo. E' una figura invisibile e presente che non giudica, non invade spazi vitali, non stila una lista di preferenze. Ogni personaggio ha importanza: non solo gli sposi, Chiara e Damiano, sono protagonisti del loro grande giorno. Loro che si scopriranno innamorati solo dopo aver detto sì, lo voglio. E poi c'è chi si scopre sessualmentte dalla persona del sesso "sbagliato", come Orlando; chi, come la vispa Nancy, sogna una carriera da cantante solista, il peso forma, un belloccio che le tolga la verginità. Ancora, c'è chi scopre la sua anima gemella due figli, due matrimoni, una vita intera dopo. L'amore è una collana di corallo indossata in pieno aprile, un amplesso nel bagno di un ristorante con la paura matta di essere beccati, il sogno di una romantica prima volta in un trullo, la conta dei regali dei parenti e una prima notte di nozze passata a dormire, perché troppo stanchi. Recensione: Io che amo solo te, di Luca Bianchini E' un romanzo che ti prende per la gola. In treno, avevo lo stomaco che brontolava, davanti a pane, amore... e a un ricco menù a fantasia. Si respira aria diversa, aria nuova. Un'aria che vibra illuminata dai giochi di luce dei dischi in vinile, non dagli iPod. Pittoresco, all'antica, mai kitsch. Un passionale mambo italiano che, però a ritmo di pizzica, celebra la sacralità del pranzo della domenica, di famiglie al femminile come in Piccole donne e Mamma mia, di rapporti fraterni che toccano. Le descrizioni sono veloci, dirette. I personaggi parlano tanto, eppure parlano poco i sé. I salti, le anticipazioni, i rimandi con cui gioca l'autore sono gli stacchi di una sceneggiatura. Al cinema, sarebbe una commedia funzionale e riuscita: bella, davvero. Un po' alla Oggi Sposi, un po' alla Mine Vaganti. Un po' più vicina a Luca Lucini, che a Ferzan Ozpetek. Io che amo solo te, infatti, è una commedia corale che ha temi simili, colori che fanno pendant, ma quella storia di spettri stanchi, aspiranti scrittori, omosessuali in incognito, vecchi dolori e nuovi rimpianti, firmata dal regista italo-turco, aveva tutta un'altra potenza. E' un mondo a parte, impossibile da arrivare o imitare. Il primo romanzo di Bianchini che leggo, dunque, racconta una storia buffa e umana, estremamente piacevole, ma con un retrogusto amaro ben celato dal piccante dei peperoncini e dal dolce dello zucchero. L'ho trovata, sul finire, leggermente incompiuta. 
Recensione: Io che amo solo te, di Luca Bianchini Il libro finisce e i protagonisti vanno avanti con le loro vite, salutandoti di sfuggita. L'allegria, mai forzata, è in rima con la malinconia delle seconde occasioni. La storia si snoda all'ombra della bandiera tricolore, che sventola sulla costa in un turbinio di rossi, bianchi, verdi. Il difetto è uno e, da meridionale doc, l'ho percepito: per quanto onesto, il romanzo va avanti a suon di educati luoghi comuni. Si avverte che nelle vene dell'autore, nato nella distante Torino, non scorre quel sangue caldo. L'accento sa imitarlo, e non è mai parodia fine a sé stessa. Però di certe cose non può semplicemente ricalcare le orme. O le conosci, o non le conosci. In determinati contesti bisogna esserci immersi notte e giorno, per saperli rendere. Come descrivere l'oceano a chi non l'ha mai visto? Come parlare d'amore se non l'hai mai provato? Come parlare, allora, della Puglia, se la Puglia non parla a te? Bianchini è una persona simpatica, gentile, mite. Studia, apprende, esplora. C'è curiosità verso le tradizioni, le tendenze linguistiche locali, le specialità del posto, ma c'è poco cuore. O meglio, un cuore diverso da quello che pulsa laggiù. Le battute fanno sorridere, le confessioni ad anima nuda fanno riflettere, ma è stata una cosa inaudita a farmi sentire elettrizzato e un tantino scioccato. A un certo punto, leggo il nome della città in cui vivo da dieci anni. Termoli. Trentatremila e rotti abitanti, contro i diciassettemila della piccola Polignano. Chiara, la sposa, dice che è una città carina: vorrebbe farci un salto, vorrebbe fuggire qui da me. Mi sono affidato immediatamente a Google Maps: Termoli – Polignano a Mare. Duecento chilometri, poco più di due ore, tutta autostrada. La nuova estate è vicina, quasi quanto questo angolo di paradiso. Convincerò i miei genitori a portarmici. Subito dopo averli convinti a leggere Io che amo solo te. Dove tutti amano, ma non è detto che si amino. La taranta dell'amore perduto.  Il mio voto: ★★★ Il mio consiglio musicale: Sergio Endrigo – Io che amo solo te (Bellissima.)



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