Magazine Fantasy
Da appassionata di horror sono una lettrice particolarmente sensibile al fascino dei vampiri, quelli “veri”, oscuri, famelici, letali. Mi sono, invece, accostata sempre con sospetto alle storie che li ripropongono in salsa romance snaturandoli all’inverosimile. Mi affascina tantissimo il Dracula di Bram Stoker, per intenderci, mentre resto del tutto immune al presunto carisma di Edward Cullen. Non ho nulla contro il romanticismo e nemmeno contro gli amori paranormal − direi piuttosto che spesso riescono a intrigarmi − però un vampiro che si serve alla banca del sangue per non danneggiare gli umani, che può esporsi al sole senza grossi problemi e magari fare anche una puntatina in chiesa, dal mio punto di vista non è credibile e difficilmente riesce a suscitare il mio entusiasmo (sebbene qualche volta sia successo). Io, Liam ha provocato in me sentimenti contrastanti, al punto che mi è difficile esprimere un parere netto in merito. La sua peculiarità − degna di nota per certi versi − è infatti quella di far convivere nello stesso libro le due facce della medaglia. La storia si sviluppa su due binari. Il primo attraversa il nostro tempo e sorregge una trama paranormal romance che ricalca le orme di Twilight. Elisa è una studentessa universitaria la cui vita procede senza grandi slanci fino a che un professore giovanissimo e bellissimo, Dunn , non si palesa nell’aula di etnomusicologia. Bastano pochissimi e fugaci incontri perché tra i due scocchi la scintilla di un grande amore. Coronare questo sogno però non sarà facile perché si dà il caso che l’irresistibile docente sia un vampiro e un suo simile, più anziano e decisamente più crudele di lui, è sulle sue tracce. Bellisario, questo il suo nome, è determinato a vendicare un vecchio torto subito da Dunn. L’ha inseguito per mari e per monti, attraverso i secoli, e adesso è pronto a infliggergli il colpo mortale. Il fatto che si sia innamorato di un’umana, contravvenendo alla sua natura, lo rende vulnerabile. Colpire Elisa sarà un modo efficace per arrivare a sconfiggerlo. Naturalmente Dunn non è un vampiro come tutti gli altri: non si nutre di sangue umano, esce di casa anche di giorno senza subire danni (gli basta indossare un paio di occhiali scuri per schermare gli occhi), può entrare in chiesa e… a dispetto delle apparenze, ha un animo buono e sensibile. Elisa, come la Bella di Twilight, non si lascia sconvolgere più di tanto dalla verità. Il suo amore per il vampiro esplode immediato quanto solido al pari di una roccia che niente e nessuno potrà scalfire. Fin qui, nessuna novità. La storia replica un plot già consolidato che, di sicuro, non mancherà di entusiasmare chi ama particolarmente questa declinazione del genere ma che si rivela carente di originalità. Penso sia ormai chiaro: questa è la parte del romanzo che non sono riuscita ad apprezzare fino in fondo, soprattutto per una questione di gusti personali. A parte l’idea del vampiro buono, che digerisco a fatica, ho trovato poco credibile la facilità e la rapidità con cui sboccia l’amore tra i protagonisti e un po’ forzati alcuni snodi (penso, per esempio, all’idea di combattere un vampiro a suon di gavettoni riempiti di acqua santa). Tutto però cambia, come per magia, quando ci spostiamo sul secondo binario a cui facevo cenno prima. Mentre si sviluppano le vicende di Elisa e Dunn nel tempo presente, un secondo percorso si snoda a ritroso. A intervalli regolari, il principale filo narrativo si interrompe per lasciare spazio a un’altra trama fatta di flashback. A irrompere con prepotenza sulla pagina sono allora i ricordi del vampiro Liam che, poco alla volta, vanno a ricostruire la sua storia a partire dall’infanzia che si colloca nel lontano VII secolo d.C. per poi seguire la sua prima trasformazione fino a giungere all’epoca odierna, passando attraverso una lunghissima carrellata di vite. È questa la parte dell’opera in cui l’autrice compone un mosaico dal sapore horror-gothic che richiama la tradizione. Qui i vampiri riacquistano la loro vera natura e si mostrano finalmente in quello che personalmente reputo il loro autentico splendore. A fare da collante tra i due blocchi è lo stile − che, nell’una come nell’altra parte, si lascia apprezzare per la raffinatezza e la struggente bellezza di alcune immagini − unitamente alla musica − che si innesta nel tessuto narrativo al puto da divenirne parte integrante. Se la trama non brilla per originalità, interessante e nuovo è proprio il potere catartico che l’autrice attribuisce al canto, inteso come veicolo privilegiato per avvicinare l’uomo a Dio. Una lettura che mi ha divisa a metà dunque ma che consiglio, forse soprattutto per questo. Al di là della parte che potrete apprezzare di più o di meno a seconda dei vostri gusti e delle vostre inclinazioni, è interessante assistere all’incontro tra due modi tanto diversi di interpretare il vampirismo. Leggere questo libro, almeno secondo me, è un po’ come vedere Stoker e la Meyer prendersi per mano, ipotesi stravagante ma nondimeno ricca di fascino. Non vi pare?
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