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Dimmi quello che vedi, perché io non so cos'è reale e cosa no, che cosa è nuovo o diverso, e non posso fidarmi di me stessa, ma mi fido di te.
Titolo: Io non sono Mara Dyer Autrice: Michelle Hodkin Editore: Mondadori “Chrysalide” Numero di pagine: 463 Data di pubblicazione: 3 Settembre 2013 Prezzo: € 17,00 Sinossi: Mara Dyer sa di aver commesso un omicidio. Jude voleva farle del male, e lei si è difesa, grazie al terribile potere che le permette di uccidere con la forza del pensiero. Ma ora Jude è tornato, e nessuno le crede anche se giura di averlo visto con i suoi occhi. Quel ragazzo dovrebbe essere morto, e Mara rischia di finire i suoi giorni nell'ospedale psichiatrico in cui è tenuta in osservazione con una diagnosi di probabile schizofrenia. L'unica possibilità di salvezza è assecondare i medici e fingere di avere avuto un'allucinazione. Così la sera è libera di tornare a casa e vedere Noah, l'unico che ancora crede in lei e cerca di aiutarla a fare luce sui misteri che circondano la sua vita, proteggendola da Jude. Ma i fatti inquietanti si moltiplicano, e Mara rischia di impazzire sul serio: qualcuno entra in camera sua la notte e la fotografa mentre dorme, e un giorno le fa trovare una bambola appartenuta alla nonna, che soffriva dei suoi stessi disturbi. Mara, esasperata, cerca di bruciarla, ma nel fuoco rinviene un talismano complementare a quello in possesso di Noah... La recensione “Stavo cadendo a pezzi e i pezzi si sparpagliavano nel vento.” Chi è Mara Dyer si era chiuso con un urlo raggelante e un brivido, salito violentemente lungo le scapole e arrampicatosi sui pendii di cartilagine della nostra colonna vertebrale. Il sangue freddo, di ghiaccio. Da liquido a solido d'un tratto. Cristalli gelidi nelle vene, taglienti come coltelli. Un'ombra maligna aveva sfiorato la protagonista, in un commissariato pieno di poliziotti, e lei e i lettori avevano realizzato una cosa semplicemente sconvolgente: quella diciassettenne - calamita per calamità, e dalle notti scandite da sogni che bruciano l'anima e dalle carezze leggere di un ragazzo dall'adorabile accento inglese – non era pazza. Era uno scherzo della natura, un pericolo pubblico, un'assassina, un cattivo elemento, ma non era pazza. I titoli di coda erano scesi prima di conoscere il resto. Darsi un pizzicotto sarebbe servito a poco: tutto era reale, tutto era finito e Mara Dyer era rimasta un completo mistero. Nella prima pagina, così come nell'ultima. Leggere il seguito era sacrosanta necessità. Vitale. Io non sono Mara Dyer è un'evoluzione. Ha inizio nella follia, finisce nella follia. In un Manicomio pieno di urla distorte che tanto somigliano a quelle che ci ridestano dai nostri incubi: le nostre. E' svegliarsi e mettere i piedi giù dal letto in cerca delle Converse di sempre sul pavimento di sempre. Svegliarsi in una stanza non nostra, inospitale, con le pareti bianche imbottite. Al posto del pigiama, una camicia. Di forza. Guardi il mare in tempesta, attraverso gli occhi di Mara. E vorresti buttarti: nel suo sguardo blu; nell'acqua blu di cui ignoriamo i tentacoli nascosti sul fondo limaccioso. Nel passaggio ignoto che conduce alla sua anima al di là dell'abisso. Un tempo l'unica persona di cui avere paura era sé stessa. Ora Jude è tornato e nessuno è al sicuro, non più. Lui, infuriato sopravvissuto all'uragano Mara, ha occhi ovunque. Vede Joseph, il simpaticissimo fratellino della sua miglior nemica, vantarsi, in soggiorno, di essere campione imbattuto di videogiochi e, in cucina, di essere un vegetariano convinto... un giorno sì e l'altro no. Vede la stanza di lei attraverso gli occhi di bambole inquietanti e attraverso l'obiettivo di una telecamera puntata sul suo corpo dormiente; vede la sua famiglia reputarla sempre meno lucida e il suo fedele e misterioso ragazzo, Noah, amarla sempre di più ad ogni stranezza condivisa. La vede nell'acqua torbida in cui, nel suo vestito rosso sangue, nuota verso la salvezza, in un mondo di prospettive capovolte come clessidre in frantumi. Forse, per tutto questo tempo, è stata una sirena.
E mi ha cantato, e ancora mi sta cantando, di affogare insieme a lei. Che fa elenchi su elenchi di cosa è normale e cosa no, che pensa una cosa e ne dice un'altra, che sceglie di mentire o di dire la verità a seconda delle occasioni, che vive altre vite in incubi ambientati nell'esotica e polverosa Calcutta, tra animali selvatici e furiosi istinti omicidi. Incubi che restano anche quando brilla il sole su un giorno nuovo. Il primo capitolo era più ampio e più ristretto allo stesso tempo, quasi per essere vicino alle contraddizioni lampanti scritte sulle labbra di Mara. Aveva a disposizione mense affollate di bulli e arpie, ampi corridoi scolastici, fazzoletti di giardino dischiusi davanti alle mura di un familiare liceo: era un familiare young adult in cui sprazzi di orrore e pazzia salvavano in corner i lettori e la protagonista dalla banalità. Questo seguito – giunto in libreria precisamente un anno dopo – è schiacciato tra le quattro mura di una casa, già violata dal nemico, e tra le pareti di uno sperduto istituto d'igiene mentale, già violato da menti violate.
Niente scuola, ma tanti corridoi: sempre più vuoti, sempre più umidi, sempre più tenebrosi, sempre più silenziosi. E il silenzio, si sa, è un amico fedele della paura, insieme all'angoscia e all'inquietudine, che si fanno strada, verso la fine, tra lampadine che scoppiano, porte che si bloccano, messaggi scritti con il sangue, isole abbracciate strette da qualcosa di più insormontabile del mare. Che potenza ha la Hodkin – sadica e contagiosa al pari delle sue colleghe Lauren Oliver e Veronica Roth: una femme fatale le cui mani hanno più effetti collaterali di quelle della sua Mara, investita di un potere che è una magnifica condanna. Ogni volta sembra leggermi nel pensiero e così, quando sbuffavo e alzavo gli occhi al cielo davanti a una parte centrale dai toni marcatamente romance per i miei gusti, lei, come un deus ex machina armato di penna a sfera, lei inseriva raggelanti colpi di scena e piogge di corvi morti. Ma forse li avrei tollerati ugualmente i protagonisti, e lo ammetto a cuor leggero. Stretti fino a spezzarsi le costole, accoccolati fino al risveglio, vicini fino a farsi del male, sono carinissimi insieme. Sì.
L'autrice tesse una rete da cui il lettore, come un animale a sangue caldo che ama la paura e il pericolo, vuole lasciarsi stritolare: cerbiatto che si consegna volontariamente a un pericoloso bracconiere. Si è ipnotizzati dall'inferno privato di una protagonista dai tratti sempre più interessanti e definiti. Il suo romanzo, esattamente come il primo, è affascinante, sensuale, onirico, cinico, ironico, seducente, magnetico, psichedelico. Non si legge, si beve e, anche se probabilmente non mi rimarrà in mente a lungo, le quasi 500 pagine che lo compongono si leggono che è una meraviglia. O qualcosa che è simile alla meraviglia, ma in versione horror... Soltanto l'epilogo, nel primo tanto imprevedibile, non mi ha sconvolto come avrei sperato. Si conclude sul più bello, con quegli ammalianti e curiosi flashback che non vengono spiegati e con l'iniziale duologia che si arricchisce di un volume in più, The Retribution of Mara Dyer. La tensione, palpabilissima, si taglia in due con un coltello. Creatura aliena nata da un incrocio tra The Ward, American Horror Story: Asylum,The Conjuring e The Black Swan, il romanzo ti trascina per i capelli – anche se il finale non ti spettina poi troppo - e ti lascia in bocca un sapore ferroso. Quello del sangue delle unghie che, per il nervosismo e il tormento, ho preso a mordicchiarmi come un dannato senza pace dall'inizio alla fine. Sentire una risata femminile tra le macerie e i cadaveri di un manicomio crollato non è mai stato così divertente e accattivante. Viaggiare nelle follia non è mai stato così bello. “I suoi occhi grigi di zaffiro mandavano lampi e le labbra di velluto erano gonfie di baci. Quello era il ragazzo che amavo. Un po' in disordine. Un po' sciupato. Un bellissimo disastro. Proprio come me.” Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Filter – Happy Together
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