C'era
qualcosa di insostenibile nelle cose, nelle persone, nelle palazzine,
nelle strade, che solo reinventando tutto come in un gioco diventava
accettabile. L'essenziale, però, era saper giocare e io e lei, io e
lei soltanto, sapevamo farlo.
Titolo:
L'amica geniale
Autrice:
Elena Ferrante
Editore:
E/O
Numero
di pagine: 330
Prezzo:
€ 18,00
Sinossi:
Il
romanzo comincia seguendo le due protagoniste bambine, e poi
adolescenti, tra le quinte di un rione miserabile della periferia
napoletana, tra una folla di personaggi minori accompagnati lungo il
loro percorso con attenta assiduità. L'autrice scava nella natura
complessa dell'amicizia tra due bambine, tra due ragazzine, tra due
donne, seguendo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi
reciprocamente, i buoni e i cattivi sentimenti che nutrono nei
decenni un rapporto vero, robusto. Narra poi gli effetti dei
cambiamenti che investono il rione, Napoli, l'Italia, in più di un
cinquantennio, trasformando le amiche e il loro legame. E tutto ciò
precipita nella pagina con l'andamento delle grandi narrazioni
popolari, dense e insieme veloci, profonde e lievi, rovesciando di
continuo situazioni, svelando fondi segreti dei personaggi, sommando
evento a evento senza tregua, ma con la profondità e la potenza di
voce a cui l'autrice ci ha abituati. Si tratta di quel genere di
libro che non finisce. O, per dire meglio, l'autrice porta
compiutamente a termine in questo primo romanzo la narrazione
dell'infanzia e dell'adolescenza di Lila e di Elena, ma ci lascia
sulla soglia di nuovi grandi mutamenti che stanno per sconvolgere le
loro vite e il loro intensissimo rapporto.
La recensione
“Tu
sei la mia amica geniale, devi diventare la più brava di tutti,
maschi e femmine.”
Quanto
è difficile parlare del libro di cui tutti parlano. Tante parole già
spese, tutto già scritto. Perciò cos'altro dire, quale trucco da
prestigiatore inventarsi, per tagliare la strada a una fama dalle
gambe lunghe che, con una falcata da watusso, arriva prima a fare
tana libera tutti – e si rompono così i legami con la mediocrità
delle letture che sono state, e finalmente si è liberi di curiosare
in generi che pensavamo non ci calzassero a pennello; che ci stessero
grandi – e a dire, tutto d'un fiato, questa Elena Ferrante
leggetela, capito? La fama precedeva L'amica geniale come
l'ombra di una custode; una damigella. Un po' come accade nelle
grandi città, dunque non nella mia, in cui un attore famoso –
ancora prima che tu possa vedere coi tuoi occhi se è più grasso,
più brutto, più antipatico che in televisione - lo annunciano il
crepitio della folla che accerchia l'auto coi vetri fumè, i
capannelli di curiosi intorno ai ristoranti stellati del centro
storico, i piantonamenti indiscreti sotto le facciate degli alberghi
di lusso. Vedevo tutta questa calca al seguito di una dama in bianco,
quando è arrivata L'amica geniale,
e non capivo cosa avesse di straordinario questa sposa schiva, di
spalle, con il profilo del Vesuvio negli occhi. Volavano su di lei
riso e confetti, che portano fortuna alla coppia, e le attenzioni dei
presenti – ufficialmente invitati, con la partecipazione su carta
da zucchero nella borsetta nuova delle mogli e il resto, o gli
imbucati villani che inevitabilmente raccolgono talune occasioni in
grande – che non sono scemate, come invece hanno fatto gli applausi
dei parenti in chiesa, dopo un'estenuante omelia e il famoso ora puoi
baciare la sposa. Quattro anni – nozze di legno, quasi –,
attenzioni che non passano, bouquet messi a seccare. I frammenti di
una tetralogia di successo. E, come il primo giorno, ci si stupisce
per l'eleganza di lei, signora che a breve cambierà cognome, e per
un viso, dietro al velo, che non c'è stato verso di immortalare. Chi
è, sotto il tulle ricamato, Elena Ferrante? Chi è la brillante
compagna d'infanzia, chi la sposa adolescente con il corteo di
piccole principesse, tra la volubile Lenù e l'imprevedibile Lila?
Impossibile, immagino, parlare del fenomeno L'amica geniale
senza parlare del fenomeno
Ferrante – a impugnare la penna che al cinema ha ispirato Martone e
Faenza, ci si domanda, un uomo, una donna o forse una coppia
affiatata? Arduo dire quanto sia capolavoro davvero e quanto pensi
sia capolavoro per tutti gli altri l'hanno definito tale prima di te
e, a furia di parlarne, e a furia di aspettative alle stelle, e a
furia di voci che ti hanno fatto una testa grossa così, hai finito
col pensarlo pure tu.
Perciò inutile studiarselo, L'amica
geniale; tempo perso scomporlo
matematicamente, per capire cos'è che piace agli americani e alla
critica ufficiale, e magari tentare l'innesto del fiore di pesco con
l'ulivo, per dirla alla Verga; leggetelo senza noie e rumori, in quel
perfetto intrigo di attese, congetture e suggestioni in prestito che
è vietato sbrogliare. Secondo me, è bello come dicono, e il bello – insieme
a una trama che racconta miracolosamente il niente e il tutto, con
uno stile semplice e coinvolgente che, e spero capiate ciò che
voglio dire, fa la differenza tra lo splendido cinema di un Tornatore
e una risicata soap opera Rai: stessi temi, infatti, ma scorci e
dettagli che rendono poi preziosa una gemma – è anche lasciare
correre il gomitolo fittissimo – l'intrigo, ossia, di questioni
irrisolte e impressioni preconcette che dicevo poco fa – e seguire,
come i ciechi, toccandola, la ragnatela che arriva a creare,
rotolando verso il mare, tra i vicoli e le piazze, le ringhiere dei
balconi e le insegne delle botteghe a gestione familiare; il filo che
in un mito antico ti liberava e che, ora, in un mezzo mito moderno,
te lo costruisce, il labirinto infinito. Foto color seppia di un
rione miserabile, nella Napoli degli ultimi anni cinquanta, quella
che secondo un lungometraggio dell'epoca dovevi vedere e morire,
racconta nel volume introduttivo l'infanzia e l'adolescenza di due
amiche inseparabili: una figlia dello scarparo, l'altra dell'usciere
comunale. La saga crescerà insieme a loro e a una capoluogo in
continua espansione, mentre ci si supera per dispetto e poi, a un
passo dalla meta, ci si trova ad aspettarsi.
Per raggiungersi, gli
anni e tutto quell'umano orgoglio. Non possono vivere insieme, non
possono vivere separate. Che nessuno – la scuola dell'obbligo, il
sogno di mettersi in proprio con una fabbrica di scarpe artigianali,
lo scombinato amore combinato – separi ciò che il rione, simbolo
della vita che va, spasimato luogo di eterni ritorni, ha unito tra i
banchi. Ho apprezzato la suggerita musicalità del dialetto,
l'impressione di un racconto genuino e mai folcloristico – per
turisti stranieri in cerca di clichè a fantasia - come confessato ai
parenti più stretti. Il romanzo della Ferrante mi è stato familiare
sin dall'incipit. Nel senso che è così comune da risultare
universale; nel senso, soprattutto, che è cosa di famiglia. Almeno
della mia, che tifa Napoli, pensa non ci sia cucina migliore di
quella partenopea e che, nelle case dei vecchi, trova santini con la
Madonna di Montevergine e musicassette di Villa. E io, per il
classico esodo del figlio del militare, cresciuto come dico spesso in
una valigia, sotto le feste mi trovo seduto al tavolo dei miei nonni
materni, e parlo l'essenziale, ma giuro che ascolto e penso. L'amica
geniale mi ha ricordato, per il
suono che fa, i racconti che saltano fuori quando mamma e nonna
siedono vicine e, tra anniversari, mandolinate e suore dalle mani
pesanti, le miti consolazioni e i drammi della povera gente, mi fanno
promettere che un giorno parlerò di loro. Il mondo è un paesone. E
schiatteranno così d'invidia la grassa bulla delle medie, la spietata
Madre Superiora che – di età indefinibile – sta seppellendo tutto il paese e le comari dalle lingue di fuoco, quando le donne di
quelle famiglia che a volte si ritrova, da
cinquant'anni residente nella solita casetta a due piani, arroccata
in cima al solito vico, avranno diritto minimo minimo a un capitolo a
testa. Non andate loro a dire, per favore, che i lettori non sono per
forza scrittori: si spezzerebbe più di qualche cuore. Magari cambio,
ma quest'anno, almeno quest'anno, dopo avere studiato la lingua in
Eduardo, Ruccello, De Simone, Santanelli, mi sento più vicino a
questa bella Campania qui – liberata dal guappo di cartone, ripulita
dall'immondizia, ritornata vittoriosa dalla crisi – che agli altri luoghi verso cui un po' pulsano le mie frastagliate radici.
Elena Ferrante, all'altezza della sua notorietà, non delude, con un album di
foto ricordo considerato, dai molti, già una specie di piccolo
classico. Dai molti, più uno.
Canta
Napoli.
Il
mio voto: ★★★★½
Il
mio consiglio musicale: Malika Ayane - La prima cosa bella (Nicola Di Bari)