Recensione: L'amore involontario, di Chiara Marchelli
Creato il 23 giugno 2014 da Mik_94
Ma poi, in mezzo a quei sorrisi che facevi un tempo, mi riconoscerai. Tu sei mia sorella, dirai. Mia sorella.
Titolo:
L'amore involontario
Autrice:
Chiara Marchelli
Editore:
Piemme
Numero
di pagine: 280
Prezzo:
€ 15,50
Sinossi:
Il
giorno in cui Riccardo riceve la telefonata, per lui sua sorella è
solo un pensiero fastidioso, un ricordo cacciato con rancore.
Cresciuti vicini, stretti in un rapporto necessario e profondo, non
si sentono più da anni: a Irene, scrittrice molto amata, Riccardo
non ha mai perdonato di aver scritto di lui nel romanzo che l'ha
portata al successo. Di aver parlato di quel dolore devastante che
l'ha reso un uomo duro e cinico e che ha trasformato per sempre la
sua famiglia. Ora Irene è in coma dopo un grave incidente e Riccardo
si trova a doverle stare accanto. Da lui tutti si aspettano una pena
che non riesce a provare, un amore che non sente più. Ma, un giorno
dopo l'altro, accanto al corpo muto eppure così vivo di sua sorella,
quell'amore torna a pulsare. Anche attraverso la lettura del libro di
Irene, che Riccardo si era sempre rifiutato di leggere e che ora gli
restituisce la sua vita in un modo che non era mai riuscito a vedere.
Lentamente le parole di Irene riescono a scalfire il muro dietro al
quale Riccardo si è nascosto per anni, permettendo al dolore di
uscire, e liberarlo. La storia della trasformazione di un uomo, il
racconto intenso e forte di un risveglio. Dei sentimenti, dei
ricordi, di un possibile nuovo legame. Per trovare il coraggio di
mettere da parte il dolore più grande e prendersi cura di ciò che
resta
La recensione
Non
l'avevo visto. L'aquilone arancio rimasto impigliato tra i rami.
Guardavo a terra, invece era il cielo il segreto. Guardare il cielo
per scoprire che il simbolo di un'infanzia, il tempo dei giochi e
l'innocenza dei bambini non erano cose andate perse nel fuoco, per
sempre. Gli alberi, come una soffitta, nascondevano l'importante. Non
avevo visto L'amore involontario. Guardavo altrove: avevo la
testa tra le nuvole, ma gli occhi da un'altra parte. Il mio sguardo
scivolava su quel giocattolo sull'albero, ma non lo metteva bene a
fuoco. Poi è accaduto. Una finestra d'ospedale dava su quel prato.
Per una volta, a New York non nevicava. E ho sentito, dal posto in
cui mi trovavo, un uomo parlare e imprecare, tutto solo. Le sue
parole, intime, private, sbattere contro un muro e l'indifferenza del
coma. Aprirsi all'amore, abbandonarsi alla speranza, sfumarsi nel
ricordo di un'estate a Genova, ai tempi che furono. La storia di
Chiara Marchelli mi ha portato lontano, tra i fiocchi di neve della
Grande Mela e nelle profondità di due esseri umani che –
nonostante l'odio, nonostante il rancore, nonostante i silenzi –
sono rimasti quello che erano. Fratello e sorella, prima di ogni
altra cosa. Avrebbero voluto negarlo, avrebbero voluto staccarsi da
dosso il fardello immane di quel legame di parentela che si era fatto
vergogna. Lui, avrebbe voluto. Il fratello. Riccardo. Nel momento in
cui ha realizzato che non era possibile ripudiare Irene – la
scrittrice che ha cambiato cognome, la professionista che si fa
chiamare Nina e si fa egoisticamente beffe del dolore altrui, nei
suoi tanto acclamati capolavori – ha smesso di parlarle, e ha
smesso di parlare. E' nervoso. E' addolorato. Ma la pena inespressa
sussurra al cuore di spezzarsi: il suo cuore non ha retto più.
Diventato ghiaccio, si è sbriciolato. Sciolto, è finito nello
scarico. Tirato lo sciacquone, addio. Lui perciò non ha cuore. Lui
non ha più una famiglia. Ha un appartamento, certo. Una moglie
premurosissima con cui fa sesso ma non l'amore e un figlio magrissimo
verso cui ha solo parole cattive. Un appartamento, a un passo dalla
City, che non è una casa: cornici a faccia in giù, foto usate come
segnalibro, un nome che nessuno ha la forza di pronunciare. A questo
pensa Riccardo, mentre guarda la flora e la fauna nelle stazioni
americane. Le strane abitudini dei pendolari, l'indolenza dei
ragazzini in cattività. Pensa a come sua sorella abbia rovinato
quello che era già rovinato, girando dita nelle piaghe, vendendo
lutti in cambio di contratti editoriali e premi. Va a trovarla e si
dice che il Natale è vicino. E' vicina anche lei, ma non la tocca. I
tubi che entrano ed escono ovunque, in quel suo corpo storto che è
diventato un puntaspilli. La pelle livida, le ammaccature, i traumi
più grandi che sono quelli che non puoi vedere. Dorme, Irene. Un
taxi in corsa l'ha colpita in pieno e, da trenta giorni, dorme in un
letto d'ospedale, evitando discussioni con un fratello che la evita;
negandosi; rifiutando di svegliarsi. Scappa, l'ha sempre fatto. A
diciotto anni è andata in Islanda. A trenta, più o meno, ha firmato
il primo libro ed è andata in giro per le librerie del mondo. A
quarantasei ha pubblicato il secondo ed è finita in coma a tempo
indeterminato. I suoi fan pregano, i suoi studenti la invocano, la
gente – con striscioni, fiori, messaggi – ostruisce l'uscita
principale dell'ospedale.
Riccardo non fa niente. La guarda e
vorrebbe essere altrove. Vorrebbe che quel compito non spettasse a
lui: sorvegliarla, custodirla. Irene emana un cattivo odore, Irene ha
i baffetti che stanno ricrescendo, Irene ha fatto una cosa brutta.
Però il bene si riaccende. Naturale, involontario. Come i movimenti
di lei, che strizza gli occhi e muove la dita, fa pipì e stringe le
mani di chi le sta accanto. Riccardo allunga un dito, vagamente
schifato. La infastidisce, la scosta come fosse un animale morto
sull'autostrada. Lei lo afferra. Questione di nervi, questione di
testa, questione di cuore. Questione di sangue. L'amore
involontario è un libro forte,
intenso, in cui ogni pagina strappa un brivido. Ha il sapore forte
delle storie di casa nostra. Vero, anche quando è scomodo. Onesto,
anche quando è indelicato. Ho pensato alla crudezza della
Mazzantini, alla limpidezza della Rattaro. A Non ti muovere
e a Un uso qualunque di te.
Ho riconosciuto all'istante la bravura pazzesca della Marchelli.
La
storia appassiona perché è semplice, ma molte scelte – tutte –
rivelano una perizia da chirurgo, una maturità da artista vero. Non
ha una voce comune e non parla di persone comuni. I protagonisti,
italiani emigrati all'estero, sono tra i pochi fortunati a potersi
permettere un'assicurazione sanitaria senza sforzi, in un'America
splendida e splendidamente contraddittoria. Alto-borghesi; donne che
vivono di sola scrittura e uomini che si danno a investimenti di cui
tu, cresciuto in una famiglia umile, cogli assai poco: il necessario.
L'autrice – viaggiatrice instancabile, insegnante d'oltreoceano,
newyorkese d'adozione - parla di meccanismi di cui, per professione,
fa ormai parte. Premi letterari, lezioni di scrittura creativa.
Spezza la narrazione come pane all'ultima cena, come una merendina
che due fratelli bambini si dividono prima di fare un tuffo a mare,
senza aspettare le proverbiali tre ore e l'approvazione degli adulti.
Troviamo le parole di Riccardo, noi. Quelle di un giornalista che di
Irene era perdutamente innamorato. Quelle di Irene stessa, che parla
attraverso le pagine del suo romanzo più recente: You are
my sister. Il presente sfocia
nel passato, l'odio nell'adorazione, il colloquio in un brano di
prosa. Bello, davvero. Tutto.
Soprattutto,
umano. Quella narrazione spezzata che tanto amavo, alla fine, mi ha
distratto un po': non lo nascondo. Diluisce il dramma - scelta
volontaria dell'autrice. E io avrei voluto sentirlo tutto intero, il
dramma. Pesante e scomodo. Una palla da demolizione contro le ossa.
La Marchelli prende un'altra strada, ma arriva dove era inevitabile
che arrivasse. Riccardo parla a Irene. Lei parla a te. Delle tue
vecchie estati, delle sfide a nascondino, delle crudeltà dei sei
anni e delle lucertole catturate per gioco nei barattoli. Chi ti stava accanto? Un prolungamento di te stesso; un altro seme diventato erba, fiore. Un
compagno o una compagna di giochi con cui hai condiviso il letto e
le coperte. Quelle coperte che tirava e tirava, lasciandoti mezzo
nudo contro il freddo. Non lo facevo da anni. L'ultima volta avevo
finito di vedere La custode di mia sorella.
Abbracciare una persona senza motivo, abbracciare mio fratello senza
motivo. Ho chiuso il libro e sono andato da lui. Era al computer, il
tatuaggio nuovo fasciato nella pellicola, la maglietta buttata su una
sedia che era diventata un nuovo armadio. E l'ho abbracciato. Non
tutto quanto. Solo la testa. Una mano sul suo collo, l'altra nei capelli. Testa sua contro petto mio. Sangue mio. Ma che
cazzo vuoi, mo', mi ha detto?
L'amore involontario
era anche questo, ho pensato. Una battaglia contro i Che cazzo vuoi di fratelli che - come nel bel film con Germano e Scamarcio - sognano di essere figli unici. Fingono di farlo.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Adele - Turning Tables
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