Recensione: L'attesa, di Samantha Hayes

Creato il 03 settembre 2014 da Mik_94
Così decisi che avere una bambina sarebbe stato lo scopo della mia vita...”
Titolo: L'attesa Autrice: Samantha Hayes Editore: Nord Numero di pagine: 376 Prezzo: € 16,40 Data di pubblicazione: 28 Agosto 2014 Sinossi: Claudia ha tutto ciò che ha sempre sognato. Vive in una graziosa villetta poco fuori Birmingham, al suo fianco ha un uomo premuroso e, finalmente, è in dolce attesa di una bambina a lungo desiderata. Sarebbe tutto perfetto, se James non fosse costretto a partire per un lungo viaggio di lavoro all'estero. Sebbene sia una donna forte e indipendente, Claudia non se la sente di affrontare da sola gli ultimi giorni della gravidanza e decide quindi di assumere una tata. E le basta un attimo per convincersi che Zoe Harper è la persona giusta: una professionista efficiente, esperta, discreta. Ma, nel giro di qualche tempo, Claudia comincia a ricredersi e viene assalita dai dubbi. C'è qualcosa che non va in quella ragazza, qualcosa che la mette estremamente a disagio. Perché, quando crede di non essere vista, Zoe si trattiene nello studio di James? E perché una volta Claudia l'ha sorpresa mentre rovistava nei cassetti della camera da letto? Inoltre, proprio dal giorno in cui Zoe è entrata nella sua vita, quel tranquillo quartiere residenziale è diventato lo scenario di una catena di brutali omicidi: possibile sia una coincidenza? Con la polizia che non crede ai suoi sospetti, Claudia può contare solo su se stessa. E ha paura. Ma l'origine di quella paura è il suo segreto. Un segreto che nessuno deve portare alla luce...                                             La recensione Cos'è che fa paura? Quand'è che, nelle vesti di lettore o di spettatore, stringi i pugni e ti ripeti che è solo finzione, quella? Solitamente, quando in pericolo c'è una vittima che non può difendersi. Inerme, minuscola, disarmata contro la cattiveria del mondo. Quando c'è una donna tutta sola in una casa profanata. Quando questa donna, sotto un cardigan sformato, ha il ventre gravido e una nuova vita che pulsa al suo interno. C'è un patto solenne anche tra gli intrepidi, i coraggiosi, gli spettatori dallo stomaco forte e dai nervi d'acciaio: ai bambini non dev'essere torto un capello, mai. E' allora, quando il pericolo incombe su di loro, che la tensione ti fa perdutamente suo. L'orrore di un potenziale infanticidio è pane per l'horror. Certo, i generi non hanno confini; certo, ci sono esempi belli ed esempi brutti. Io parlo di libri e penso per film. Leggendo la trama di L'attesa, assalito da un dubbio, ho immaginato l'esordiente Samantha Hayes a una specie d'incrocio nel bosco. Una mano protettiva sul pancione, l'altra pronta a correre a penna e taccuino per buttare giù un finale che a volte – oggi - può fare la differenza: che sarebbe stato della sua creatura, dopo i canonici nove mesi? Avrebbe percorso le orme di quei mediocri thriller televisivi che, nei sabati sera, danno su Rai Due, sulla scia del discreto La mano sulla culla; o, spietato e audace, avrebbe indossato indumenti impermeabili e solcato gli impressionanti mari di sangue e liquido amniotico dell'inedito e formidabilmente francese A l'interieur? Volevo scoprirlo leggendo, sperando che alla dubbia qualità della tivù via cavo l'autrice anteponesse l'originalità di un cinema europeo non per tutti. Si ci accorge a colpo d'occhio che L'attesa è un thriller diverso dai soliti. Una lunga storia di donne e madri, mentre qualcuno – lì fuori, nel buio – ruba il lavoro alle ostetriche e i neonati alle partorienti. Puerpere uccise; feti blu, senz'aria. Gli omicidi coincidono con l'arrivo, nella casa dei protagonisti, della nuova tata: Zoe. Sembra Mary Poppins, sembra perfetta. E tutto, per il lettore navigato, sembra facilissimo. Zoe, con i suoi segreti, è la folle di turno: deve esserlo. P. L Travers, in una versione noir del suo capolavoro per l'infanzia, ha disegnato per lei un borsone pieno di lame affilate. Sbagliato: perché lei è la protagonista. O meglio, una delle protagoniste. Leggiamo nella sua testa e scorgiamo piani di cui siamo all'oscuro. Nessuno è salvo. Il romanzo - decisamente britannico, non solo per via dei tè puntuali e delle piogge torrenziali in autunno - è nello stile dei gialli di Lisa Gardner. Chi l'ha letta, sa bene a cosa mi riferisco. Non avrà il ritmo sostenuto ed elettrizzante dei thriller americani, ma le frammentate voci narranti sono un toccasana per la costruzione di universi e dinamiche familiari un po' superflue, vagamente lente, ma molto umane. 
Le narratrici sono tre: una mamma con un marito lontano e due gemelli pestiferi; una detective che condivide la scrivania con l'uomo che ha sposato vent'anni prima; la presunta criminale dalla doppia vita. Zoe non si chiama Zoe, e non è l'instabile antagonista di un'indagine stereotipata. Carla, volto della gioia e della fecondità, ha una casa da catalogo e sospetti e contrazioni che vanno e vengono. Lorraine Fisher, impeccabile sulla scena del crimine, ma fuori luogo nelle cene in famiglia, ha irrequiete figlie adolescenti e una crisi matrimoniale in stato avanzato. I personaggi sono credibilissimi, intrattengo, ma il punto è forse uno: a me il thriller piace sporco, brutto, cattivo. Dura verità: tutta colpa mia. A casa dei coniugi Morgan-Brown si aspettava la venuta della cicogna, il fiocco rosa da appendere all'ingresso. E tutto, a lungo, mi è sembrato troppo quieto e buono, per i miei gusti. Mi sono immerso, tuttavia, nel mondo interiore di queste donne, tra pensieri che non mi appartengono e mai mi apparterranno. Due scrivevano in prima persona, al presente; per l'altra, narrata in terza, si utilizzava il passato remoto. 
Quei frammenti sconnessi, pieni di quotidianità e violenza, raggiungono un bell'equilibrio, verso il finale, grazie a un uso dei punti di vista esemplare, che confonde, inganna e fa nerissimi giochi di prestigio. Ecco come si ci giostra tra voci diverse, ho pensato. Ecco come inserire un sapiente colpo di scena, ho sussurrato. Gli ultimi capitoli, come i critici statunitensi annunciano in copertina, ti portano a rivalutare tutto ciò che hai letto, come poche volte capita. A dire che in L'attesa niente è come sembra, e nessuno è quel che è. Nel finale ricchissimo succedono tante cose, e alcune, ancorate come sono al poliziesco più tradizionale, risultano forzate. Dopo il twist che tutti aspettano, ma che nessuno si aspetta, c'è una rivelazione, l'ennesima, che è di troppo. Spiega, risolve, scioglie, ma tronca di netto parte del mistero. Insieme al tarlo del dubbio, quindi, perisce anche quel fascino che è stato come in incubazione per tutto il tempo, in attesa di nutrimento cannibale. Ricapitolando: c'è (a) un passaggio di grande effetto, seguito a ruota da (b) una trovata spionistica che risulta scolastica. La lettera "a” è bene, quella “b” è male. Quando l'ago della bilancia sembra orientarsi verso quell'unica, fastidiosa stonatura, c'è la chiusa – perfetta – che equilibra il tutto. Arrivata in corner. E non parlo di un capitolo autonomo, ma di una semplice battuta finale. Una frase. Da brivido e divertentissima insieme. Una scena forte che, coi suoi toni sardonici, si fa ricordare, facendo vacillare gli educati modi british del resto. Raggelante, mi ha portato alla mente Il collegete delle brave ragazze. Ricordate? Leggeteli e ricorderete. Il pensiero fisso dei figli: quelli che ti crescono dentro; quelli che vogliono scappare via di casa; quelli che non vogliono arrivare, anche se sono cose che certi amori carnali pretendono. L'isteria, gli ormoni impertinenti, il pensiero ossessionante di un aborto spontaneo. Uccidere – uccidersi – in nome di una vita nuova. L'attesa è il romanzo da non regalare alle neomamme. Alla festa di battesimo, presentatevi con un paio di scarpine colorate. Sarà meglio.  Il mio voto: ★★★½ Il mio consiglio musicale: Sia – Lullaby



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