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Fai ciò di cui hai paura.
Titolo: L'estate dei segreti perduti Autrice: Emily Lockhart Editore: DeAgostini Numero di pagine: 315 Prezzo: € 14,90 Sinossi: Da sempre la famiglia Sinclair si riunisce per le vacanze estive su una piccola isola privata al largo delle coste del Massachusetts. I Sinclair sono belli, ricchi, spensierati. E Cady, l'erede di tutta la fortuna e di tutte le speranze, non fa eccezione. Ma l'estate in cui la giovane Sinclair compie sedici anni le cose cambiano. Cady si innamora del ragazzo sbagliato e ha un incidente. Un incidente di cui crede di sapere tutto, ma di cui in realtà non sa nulla. Finché, due anni dopo, torna sull'isola e scopre che niente è come sembra nella bellissima famiglia Sinclair. E che, a volte, ci sono segreti che sarebbe meglio non rivelare mai. La recensione “La vita è meravigliosa quel giorno. Noi quattro Bugiardi, uniti come siamo sempre stati. Come lo saremo sempre (...) Ovunque andremo, ci ritroveremo sempre sul tetto di Cuddletown Housa a guardare il mare. Questa è la nostra isola. In un certo senso, qui resteremo giovani per sempre.” Mi incuriosiscono gli esperimenti. Gli accostamenti strani. L'idea alla base di L'estate dei segreti perduti - i protagonisti adolescenti e i toni cupissimi, l'amore e la morte, la gioventù e la perdita dell'innocenza - non sono, in realtà, elementi così inconsueti come appaiono. Si sposano alla perfezione. Il teen thriller, al cinema, va forte. Piace. In ambito letterario, invece, piuttosto raro trovare libri da inserire nella categoria. Troppo infantile Pike. Sempre e comunque troppo maturo King. Il romanzo della brava Emily Lockhart, a pieno diritto, entra a far parte di questo curioso sottogenere. E com'è il romanzo? Be', nonostante il titolo italiano piuttosto anonimo, mi ha attirato al primo sguardo. L'ho voluto, perché i commenti in rete erano positivi e il buon John Green, sulla fascetta promozionale, me lo consigliava a gran voce. Definiva il romanzo “straordinariamente intelligente”. Indubbiamente, L'estate dei segreti perduti sciocco non è. Per essere un romanzo per ragazzi è maturo, feroce il giusto, brutalmente diretto. Parte nel migliore dei modi. Se è vero che l'incipt è tutto, l'autrice sfodera gli artigli e, dal cilindro, tira fuori frasi d'effetto e capitoli che ti accolgono in maniera spiazzante; assurda. Leggevo e trovavo il romanzo dannatamente affascinante. Da perderci il sonno. La narratrice mi irretiva in periodi lapidari, in isole private e demoni immaginari. Cady Sinclair è la nipote numero uno di Harris e Tipper Sinclair. I suoi nonni hanno un'isola con il loro nome per le vacanze estive, soldi che non puoi contare, capelli biondi che non ingrigiscono, tratti marcati che le rughe e l'età non rendono flaccidi. Sono bellissimi, alti, gioviali e hanno dato vita a una discendenza di figlie e nipoti bellissimi, alti e gioviali per eredità diretta. Allevano generazioni intere di Golden Retriver e nessun estraneo è ammesso nella loro corte, disegnata dagli architetti più in voga, arredata dai personal designer della televisione. I generi sono lontani, chissà dove, e il sangue della loro stirpe ariana non può mescolarsi a dna straniero, barbaro, diverso. Ogni estate si ritrovano lì, dove tutto rimane uguale, mentre il mondo esterno cambia. Una torre d'avorio nel mare, un'isola che non c'era e poi c'è stata, un'ermetica prigione d'oro bianco, sabbia pallida e acqua salata. I Sinclair sembrano vivere solo d'estate. Creature fatate, magiche, che il sole rende abbronzati e belli e la compagnia dei loro simili loquaci e affiatati. Cady, sfrontata e ribelle, ci spalanca le porte di quella reggia, irraggiungibile per chi non ha il loro stesso, privilegiato sangue blu; abbassa i ponti levatoi; fa sì che la nostra barca a vela attracchi a riva con conseguenze (im)prevedibili. Benvenuti a Beechwood Island. Benvenuti nel cervello di una diciassettenne con i pensieri spenti per black out improvviso. La Candy di adesso ha tinto i capelli di nero, ma la ricrescita bionda inizia a vedersi. Si libera delle cose che ha amato e dà disegni, sciarpe a righe, collane e bracciali in beneficienza. Non vuole essere più la ragazza materiale che tutti giudicano snob, non vuole essere più una Sinclair. Vuole vivere tutto l'anno, non solo per quei tre mesi d'estate, in cui – coi Bugiardi – fa bagni notturni, falò sulla spiaggia, infinite partite a Scarabeo. Aspetta di vedere Johnny e Mirren, gli unici cugini con i quali ha in comune la stessa età, e Gat. L'estraneo, l'intruso, l'ospite a tempo indeterminato. Passa le estati con loro da anni, lui, ma ha la pelle da indiano, una progenie diversa, un mondo interiore che nessuno conosce. Entra in quel girotondo d'anime per caso e ci resta, indugiando sempre sull'uscio: il patriarca – anziano, rigido, un po' razzista – gli ricorda che non è uno di loro. Un perfetto Sinclair. Cady s'innamora di lui per quello. Lo capisce sulla soglia della cucina, mentre lo guarda leggere i migliori libri del mondo, mettere petali di rosa in una busta, andare in spiaggia coi pantaloni del pigiama e il petto nudo. Con le giornate lunghe e il sole caldo che picchia in testa, scappano baci, carezze, promesse che il vento si porta via. Si perdono per i restanti nove mesi dell'anno, si ricordano della loro esistenza e del loro sentimento solo da giugno a settembre. Perché la protagonista non ricorda quello che è successo nell'estate numero quindici? Perchè è drogata di antidolorifici, schiava di emicranie cattive, soggetta a capogiri continui e a flashback che non avvertono prima di far male? La Lockhart – abilmente – fa di queste domande un mistero che dura trecento pagine e più. Delinea una protagonista dai tratti stranissimi e dagli usi unici. Si appunta frasi sulle mani, a destra e a sinistra; pensa al suo funerale, ma mai al suo matrimonio; fa delle persone che la circondano personaggi di fiabe nere come la mezzanotte che, con ordine certosino, appunta nei suoi taccuini nascosti. Il romanzo non conosce il piattume e la banalità dei comuni young adult. Sorprende con uno stile affilato, strega, soffia fumo negli occhi. E tu non sai dove mettere i piedi e le mani. Non sai dove guardare. Ma io sapevo, da metà in poi, dove stavo andando. Avevo intuito il colpo di scena finale e speravo, comunque, che l'autrice sapesse farmici arrivare con un sorriso furbo, divertito, cinico. Invece, L'estate dei segreti perduti stilisticamente ha un mare di pregi che, a lungo andare, si perdono in un mare di monotonia. Purtroppo, la narrazione appare scostante; spossa. Il tutto – il bello e il brutto – stufa: quelle descrizioni sanguinolente della psiche di Cady che non sai se siano metafore, oppure no; quei passaggi dolciastri, giovanilisti, senza freschezza, che liricamente vorrebbero fare della protagonista e di Gat i Catherine e Heatchliff delle nuove generazioni; le chiacchiere alla luce delle stelle, slegate dal contesto, l'eccessiva avidità degli adulti, il mostruoso egoismo dei piccoli; le faide familiari, i nomi delle varie case, le discussioni o le adulazioni per l'agognata eredità. Alcuni dialoghi mi sono sembrati buttati così, per riempire spazi bianchi. I capitoli non corti, ma da telegramma, fanno sbuffare spazientiti, dopo poco. Mentirei se dicessi di non avere apprezzato la prosa dell'autrice: le favole nere senza mai lieto fine, i punti e a capo continui, le parole incolonnate senza una logica precisa, le metafore splatter. Tutto è troppo, però, è il troppo stroppia, per usare uno dei modi di dire tanto cari a nonno Harris. Mai come in questo caso, pregi e difetti si possono soppesare. I lati positivi, palesi, stanno in quella prosa spezzettata, elementare, aguzza, ma accattivante come poche. Tra le righe, idee intriganti e una scrittura che si scopre piena di ombre densissime. Gradualmente, però, si scoprono anche gli aspetti negativi. Quella che, per me, è prevedibilità; ripetizioni eccessive; superflui dettagli di troppo. Il romanzo, piuttosto breve e veloce, avrebbe dovuto contemplare l'eliminazione di più di qualche particolare inutile. Il coraggio non manca, la carne al fuoco è tanta, ma il meccanismo – a un certo punto – si è inceppato e andare avanti ha significato imbattersi in elementi innocui, ma che, ormai stanco, giudicavo fastidiosi. Ad esempio, i refusi della traduzione italiana. Ad esempio, la parola “benzina” ripetuta per una decina di volte in due, tre pagine di fila. Bho. Qualcosa, tra me e la Lockhart, non ha funzionato, nonostante l'originalità di alcuni passi. Nonostante la qualità della scrittura e la costruzione di un misterio per una vicenda, tutto sommato, poco misteriosa. L'angoscia accumulata si è sgonfiata come un palloncino di plastica. Piacerà a chi mastica poco il genere e, giovanissimo o soltanto poco appassionato, non conosce la cinematografia di Carpenter, Scorsese e un Amenàbar a caso. L'estate dei segreti perduti, dunque, è un libro dalla personalità fragile - psicolabile, paranoico, problematico. Forte. Mi ha indispettito, eppure non lo sconsiglio, se non ai lettori più smaliziati. Ha le inquietudini lievi e i toni di un romanzo d'appendice con pareo, bikini e infradito. Ricordi in frantumi di un'estate da dimenticare. Valutazione tirata, la mia, per un'autrice promettente, intelligente, ma che non si applica. Il mio voto: ★★½ Il mio consiglio musicale: Lykke Li – No Rest For The Wicked (canzone stupenda)
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