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Recensione: L'estate del coniglio nero, di Kevin Brooks

Creato il 22 marzo 2014 da Mik_94
Ciao a tutti, amici! Come state? Qui, tutto bene. Tornato a casa, ieri, mi sono messo all'opera. Eccomi qui, dunque, a parlarvi della mia ultima lettura. Una recensione più breve e disordinata del solito, ma non avevo molto da dire e non sapevo, francamente, come dirvelo. L'estate del coniglio nero è un libro semplice come pochi, nella struttura del mistero, ma mi ha profondamente affascinato. Non vi dico niente della trama. Vi parlo solo di un autore tanto, tanto bravo di nome Kevin Brooks. Un abbraccio e buon weekend, M. Allora eravamo amici. C'erano legami tra noi. Ma allora le cose erano diverse. Noi eravamo diversi. Eravamo bambini. Poi a poco a poco tutto era cambiato. Il mondo diventa più grande, ci si perde di vista, gli amici d'infanzia diventano “gente che conoscevi”. Sì, li conosci ancora, li vedi a scuola tutti i giorni, li saluti ancora, ma non sono più quelli che erano.
Recensione: L'estate del coniglio nero, di Kevin Brooks Titolo: L'estate del coniglio nero Autore: Kevin Brooks Editore: Piemme “Freeway” Numero di pagine: 423 Prezzo: € 15,00 Sinossi: È un'estate torrida e Pete ha già passato diverse settimane senza fare altro che ciondolare per casa. Fino a quando una telefonata gli cambia la vita per sempre. È Nicole, gli chiede di vedersi. Presto si separeranno, ognuno per la propria strada, il college, Parigi... Sarebbe bello incontrarsi per l'ultima volta con il gruppo dei vecchi amici, solo loro quattro: Pete, Nicole, Eric e Pauly. Pete le chiede di Raymond, anche lui è un vecchio amico, fa parte del gruppo. È vero, è un tipo strano, sembra vivere in un mondo tutto suo al cui centro c'è un coniglio nero; ma Pete gli è molto legato e vuole che sia con loro. Quella notte, però, quando si trovano al luna park, Raymond scompare. E anche Stella Ross, una ragazza del loro liceo diventata famosa. Tutti pensano che i due eventi siano collegati, che Raymond lo strano sia il colpevole. Pete vuole dimostrare a ogni costo che si sbagliano, ma quando segreti, rancori e vecchie gelosie mettono gli amici uno contro l'altro, anche le sue certezze cominciano a incrinarsi...                                                   La recensione Recensione: L'estate del coniglio nero, di Kevin Brooks Quando era iniziato tutto? Quattro giorni prima? Quattro anni prima? Quattro amici prima?” Kevin Brooks scrive il caldo, la noia, la pigrizia. Ricrea la fiacchezza fisica, la spossatezza mentale, l'indolenza dei sedici anni. Dà vita all'estate. Con una penna – dai tratti ora sottilissimi, ora marcati – che scava, suggerisce, crea. Che crea tre mesi di giorni tutti uguali. L'arrivo delle giostre in città, la partenza dei vicini per luoghi esotici, i lati più brutti del caldo. E tu vedi i fiori morti, l'erba gialla e stremata, le facciate delle case che sudano, i rami spogliati da un inverno a trenta gradi. Un inferno per villeggianti. L'alcol, e i cerchi alla testa, e le gambe che ballano senza musica, e la vescica che rischia di scoppiare, e la gastrite. Il caldo che sbriciola le strade e gioca a creare nuovi e tremolanti forme con il sole e le ombre. Le giostre, con le luci, i colori, le discoteche erranti. Gente che pomicia, gente che vomita. Gente che va, gente che viene. Un protagonista indecifrabile. Familiare e del tutto alieno. Obnubilato, fatto, sfatto. Una persona che non sa dire di no. Un ragazzo troppo buono, nel profondo: gli passano una canna e non sa dire di no; gli passano l'ennesima bottiglia e non sa dire di no; gli chiedono un bacio, un abbraccio, un po' di affetto e non dice di no. Mai. L'estate del coniglio nero racconta una settimana della vita di Pete e l'adolescenza intera, ma con gli strumenti del thriller. D'altronde, che c'è di più misterioso? Un'età sottile, un ponte tibetano sospeso su un fiume nero, una discarica in fiamme, una città di gente che eri solito conoscere. Assi sottili, funi sfilacciate, il rischio di cadere giù ad ogni passo. Inquieta, ma affascina. E' vertigine pura. Non è il romanzo dell'anno, vero. Correre in libreria per accaparrarsene una copia non è indispensabile. Eppure, con questo, non voglio dire che non mi sia piaciuto. Resta uno dei più incisivi ed interessanti letti nelle ultime settimane. L'ho capito da quel prologo che mi ha reso lo sfuggente Pete stranamente vicino. Disteso sul letto, con la serranda abbassata, per sconfiggere la noia con altra noia. Quando stendersi per due minuti significa finire per addormentarsi per due ore. Il calore che concilia il sonno, i grilli troppo stanchi per cantare, le mosche che hanno tanta sporcizia su cui ronzare. Gli amici c'erano, poi non ci sono più. Tutto è al passato, tutto è passato. Alcuni passaggi sono da imparare a memoria, riscrivere e incorniciare. Basta aver compiuto il salto, infatti, da una classe all'altra, da una scuola all'altra, per comprenderli a fondo. Quello che unisce i liceali è il liceo. Stessa cosa se, con l'arrivo dei quattordici anni, hai finito le scuole medie.  Recensione: L'estate del coniglio nero, di Kevin Brooks Cosa triste, cosa vera. Pete e i suoi amici si illudono del contrario, anche se sanno di sbagliarsi. Si rincontrano dopo qualche anno. S'incontrano nel loro vecchio rifugio, ma in una manciata di anni troppe cose cambiano. Un po' come accade in quelle rimpatriate tra ex compagni di corso, organizzate a dieci anni dalla laurea. Nicole, Eric e Pauly sono piccoli, ancora. Non hanno messo su famiglia, non hanno un lavoro, non hanno bambini nati per errore. Ma fanno cose da grandi. Cose bruttissime. Giocano ad impossessarsi del peggio della vita da adulti. Giocano inconsapevolmente con la morte. L'autore è formidabile e può permettersi tutto, o quasi. Tante pagine sono sincere, vibranti, dirette e la descrizione di un'adolescenza corrotta, brutta, sporca e cattiva fa capire immediatamente che non ci troviamo davanti a uno young adult scritto e pensato in America. L'estate del coniglio nero è Skins, è Paranoid Park. Le droghe, il sesso, l'alcol, la problematicità. A livello “thriller” non offre nuovi spunti: una storia come tante, classica nella sua semplicità, ma è a livello “young adult” che ci mostra un mondo che tanti negano e pochi conoscono. Un ripido Grand Canyon, una piscina svuotata, un circo di passaggio. Un libro distorto. Un incubo artificiale, indotto da droghe sintetiche e brutti ricordi. Una trama effimera, comune, ma che si regge bene, e su pochissimo. Non c'è grosso stacco dai fatti descritti nella corposa sinossi, ma piace lo stesso. Per come è scritto. Per il fegato e il cuore. Per il vomito e l'onestà. Per l'effetto perpetuo di annegare nell'hangover. Credo sia tutta una questione d'amore. Eh, sì. E' una faccenda crudele, l'amore.” Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Eminem – Lose Yourself

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