Sei
acida e sarcastica e lucida e critica e odi tutto e tutti. Ma questa
tua capacità di vedere le cose con gli occhi della
altre persone, di interpretare il mondo da dentro la loro testa... o
il loro cuore. Questa che a te può sembrare una mera abilità
professionale, be', si chiama empatia. E
tu puoi fingere con tutte le tue forze che sia il contrario, ma la
verità è che fa di te la persona più comprensiva, più tollerante,
e persino più clemente, che io abbia mai conosciuto.
Titolo:
L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome
Autrice:
Alice Basso
Editore:
Garzanti
Numero
di pagine: 270
Prezzo:
€ 14,90
Sinossi:
Dietro
un ciuffo di capelli neri e vestiti altrettanto scuri, Vani nasconde
un viso da ragazzina e una innata antipatia verso il resto del mondo.
Eppure proprio la vita degli altri è il suo pane quotidiano. Perché
Vani ha un dono speciale: coglie l'essenza di una persona da piccoli
indizi e riesce a pensare e reagire come avrebbe fatto lei.
Un'empatia profonda e un intuito raffinato sono le sue
caratteristiche. E di queste caratteristiche ha fatto il suo
mestiere: Vani è una ghostwriter per un'importante casa editrice.
Scrive libri per altri. L'autore le consegna la sua idea, e lei
riempie le pagine delle stesse parole che lui avrebbe utilizzato. Un
lavoro svolto nell'ombra. E a Vani sta bene cosi. Anzi, preferisce
non incontrare gli scrittori per cui lavora. Fino al giorno in cui il
suo editore non la obbliga a fare due chiacchiere con Riccardo,
autore di successo in preda a una crisi di ispirazione. I due si
capiscono al volo e tra loro nasce una sintonia inaspettata fatta di
citazioni tratte da Hemingway, Fitzgerald, Steinbeck. Una sintonia
che Vani non credeva più possibile con nessuno. Per questo sa di
doversi proteggere, perché, dopo aver creato insieme un libro che
diventa un fenomeno editoriale senza paragoni, Riccardo sembra
essersi dimenticato di lei. E quando il destino fa incrociare di
nuovo le loro strade, Vani scopre che le relazioni, come i libri,
spesso nascondono retroscena insospettabili.
La recensione
Dopo
la lettura dell'Ombra del vento, che nel passaggio dalla terza
media al quarto ginnasio avevo amato così tanto ma così tanto da
lanciare una domanda su Yahoo Answers per mettere le mani su
qualcos'altro di simile, ero andato in fissa coi libri che parlano di
libri – oltretutto, è la seconda volta in dieci giorni che nomino
il mio primo Zafòn: segno che dovrei risfogliarlo, dite? La famosa
domanda su Yahoo Answers, di cui ovviamente ho eliminato ogni traccia,
tutta abbreviazioni, smile e
gnè gnè, faceva – senza però abbreviazioni, smile e gnè gnè:
Ho amato così tanto ma così tanto L'ombra
del vento da lanciare una domanda su Yahoo Answers. Chi mi
consiglia altri libri che parlano di libri? Quanta
sagacia, ebbene sì. Questo per dire che quando tutti leggevano i
vampiri della Meyer – dovrei vegognarmi nell'ammettere che io già
li avevo letti, prima che diventassero moda e mi accorgessi di
odiarli per moda? - io mi perdevo in storie dentro storie, nella
metaletteratura, alla scoperta di narratori di secondo grado e di
personaggi di personaggi. Immaginateli come una di quelle espressioni
piene di parentesi, insomma: graffe, quadre, tonde. All'inizio
sgomitavo come un matto per trovarne di nuovi, poi quando grandi
editori avevano investito in testi che parlavano di libraie, botteghe
vintage e pittoresche redazioni giornalistiche, improvvisamente, il
mio interesse era entrato in coma. A portata di mano: sputtanato.
Sputtanato: male. Perché inizio da qui? Ma per dire che davanti
all'Imprevedibile piano della scrittrice senza nome
avevo pensato di imbattermi, per l'ennesima volta, in una cosa di
quelle – con queste donne dai visi enormi in primo piano e un
cane che, nel frattempo, sniffava il suo stesso sedere e il sentore
di cellulosa in decadimento negli anfratti oscuri della copertina.
Perché questi libri – mi viene in mente Lo
strano casa dell'apprendista libraia,
che mi assicurano sia un'atrocità – parlano di donne cinofile e
lettrici sognatrici. E io, che sono maschio? E io, che ho un gatto
che si chiama Ciro e tengo i romanzi tutti sparsi per casa, senza una
di quelle librerie da sogno che – ditelo ai miei, su – mi
meriterei proprio? Convinto che appartenesse a quel filone che, su
questo blog, si evita con cura da qualche anno a questa parte, lo
avevo visto in giro e subito scordato. Naaa.
Finché, complici la recensioni di colleghi fidati, gli ho dato una chance: pareva non essere così (serio,
scontato, alla moda) ma cosà (spassoso, originale, da scoprire). La
frase magica: Vani come Alice Allevi. Ed è stato quando ho saputo
che, forse, il prossimo anno l'avventura di Alessia Gazzola si
concluderà con il quinto volume e che tra me e il terzo capitolo di
un'altra mia compagna di risate, la Geek Girl di
Holly Smale, c'è un lungo inverno di mezzo, ho cercato – e mi ci
sono miracolosamente ritrovato – l'esordio di Alice Basso.
Uno di
quei romanzi pimpanti, veloci, da tenere a portata di mano per le
emergenze. Quando il lunedì ti traumatizza, la Sessione Estiva ti
assassina, i tuoi piccoli dolori reclamano grandi attenzioni e tutto
ciò di cui hai bisogno è un'aiutante, una mano alla fine di un
braccio che, per una volta, non sia il tuo; di una come lei, Vani. Che è
pungente, burbera, di poche parole, ma forniscile un foglio, una
penna – anche il test per l'esame di Informatica funzionerà? -, e
lei ti solleverà il mondo. Peccato che nessuno lo saprà mai. Eroina
in incognito come Clark Kent, ma abbigliata come l'indimenticabile
Lisbeth Salander, presta tempo e fantasia a romanzi che, una volta
arrivati in libreria, acclami come capolavori certi. Lei ha scritto
il libro che ha vinto il Premio Strega, ma tutti lo ignorano:
applausi e riconoscimenti solo per Riccardo, bello e corteggiato, che
aveva bisogno del fiuto della camaleontica protagonista per tornare
sotto le luci della ribalta. Lei, in cambio di un pot pot
sulla testa spettinata e di una paga misera, fa la ghostwriter: in
poche parole, lei scrive e gli altri ci mettono il nome. Succede che,
chissà perché, l'autore di punta di Edizioni L'Erica si innamora di
lei e, con un corteggiamento spietato, vince il naturale odio per il
prossimo di Vani. Che, per una frase di troppo scambiata in
ascensore, si trova a fare da tata all'adolescente Morgana in un
night club di satanassi rock. Soprattutto, che la scrittrice a cui
dovrà prestare il suo ingegno – un'imbrogliona che scrive di
angeli e armonie cosmiche – scompare nel nulla. Amori, grattacapi,
misteri.
Una galleria di personaggi speciali, in un mondo – quello
editoriale – che già nel telefilm Younger si
è da poco rivelato pieno di disonestà e pasticci. Voce narrante,
sardonica e impietosa, questa divertentissima lei che vive
nell'ombra; il tono leggero degli chick lit internazionali e fiumi di
parole pesate con malagrazia, pronunciate da una che non ama lo
shopping sfrenato – nero su nero: forse fa rifornimento alle pompe
funebri? – e probabilmente nel tempo libero, oltre a nutrirsi di
schifezze confezionate, mangia bambini come i comunisti delle
leggende. Il confronto con L'allieva della Gazzola, centratissimo, non va a discapito né dell'una né
dell'altra protagonista: Alice Allevi – che mentre va a fare
compere inciampa in un cadavere e simili – ha un posto nelle mie
pause relax da più tempo, ma occhio a Vani, che dalla sua ha
preoccupanti affinità con il sottoscritto. Non che io, fac simile
di un giornalista titolato, sia imparentato con Vani, angelo custode
di scrittori titolati. Non che Roman Polanski, in L'uomo
nell'ombra – The Ghost Writer,
abbia mostrato una storia che un po' parla di me. Ma, vedete, lei parla citando
romanzi, è una misantropa nel sangue, conia risposte sgarbate così
come respira. Ha la capacità, con un po' di sforzo, di spaccare in
quattro un capello e di argomentarti il nulla. C'è, poi, la
questione della solidarietà tra quei pazzi che si scrivono a
Lettere, perché il loro sogno è vivere di scrittura – e dire che
potevamo tutti iscriverci ad Architettura, così da poterci costruire
personalmente il ponte sotto cui fare i barboni, tutti insieme
disoccupatamente.
L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome va
letto se sei giù, se vuoi un libro dispettoso che ti faccia aumente
il numero dei libri in wishlist – voglio farmi una cultura, per colpa dei ritmati battibecchi tra Vani e Riccardo, di narrativa americana -, se la protezione che hai promesso a fine giugno alla folgorante debuttante Lavinia Petti va
necessariamente estesa anche a Alice Basso, che firma un brillante
giallo che non pesa ma che, pur nella sua voglia di leggerezza, è
abbastanza stimolante da meritarsi una recensione di quelle lunghe,
vere. E io che, quando fa caldo, spero sempre di potermela cavare con
commenti in pillole. Con questa nuova voce narrante anche la pillola
più amara però va giù, e le lamentele di me, povero blogger
letterario che per farsi qualche spicciolo si darebbe o alla
macchia o, peggio, alla carriera pagata di fescion blogger – se non
fosse che sono altro un metro e un po' e l'unica
tartaruga di cui sono dotato si chiama Lauretta e, in questo esatto
momento, sta nuotando nel suo acquario mentre Ciro scambia la sua
piscinetta per un delizioso abbeveratoio, e che schifezza - trovano
ascolto.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Daniele Silvestri – Le cose che abbiamo in
comune