Titolo: L'ultimo Khama
Autore: Stefano Andrea Noventa
Editore: Plesio
Collana: Aurendor
Pagine: 206
Prezzo: 10,00 euro
Descrizione:
Le sorti dell’esistenza vacillano. I confini della realtà si sgretolano.
Sulle spalle di Miya il fardello di condurre il rituale che
conferirebbe stabilità al mondo. Tra dubbi e tradimenti, fuggendo
all’ira di colui che un tempo ha amato e accompagnata da una sorella
forse burattino in mano ad altri esseri, la giovane dovrà riuscire a
sigillare quello che viene profetizzato come il Khama definitivo. Nella
speranza che i suoi dèi non siano macchine di un tempo antico.
L'autore:
Stefano Andrea Noventa. Padovano, classe ‘80. Laureato in Fisica e Dottore di
Ricerca in Scienze Cognitive.
Appassionato di letteratura, finalista al premio
Odissea con la prima versione di “L’ultimo Khama”. Ha vinto o ha raggiunto
il podio in diversi concorsi quali il Trofeo RiLL, il Sentiero dei Draghi,
il Premio WMI e il Rondò Veneziano di Edizioni XII. È tra i curatori della selezione
letteraria Storie di Confine per la rivista Terre di Confine. Dal 2013 editor
per Mezzotints ebook.
La recensione di Miriam:
Solitamente, quando finisco di leggere un libro, riesco a
esternare le mie sensazioni con immediatezza. Alcune volte − poche per fortuna
− mi capita, invece, di essere in difficoltà. Questa è una di quelle e non
perché L’ultimo Khama non sia un buon
romanzo. Conquistata a fatica l’ultima pagina, mi riscopro preda di emozioni
contrastanti, difficili da conciliare e, ancor più, da condividere. Potrei
esprimere il mio entusiasmo per la trama originale e l’idea portentosa che la ispira, ma allo stesso
tempo potrei raccontare di una lettura che ho trascinato a lungo, nonostante la
brevità del testo, che ha messo a dura prova la mia capacità di concentrazione
e, più volte, mi ha fatto venire voglia di fermarmi prima di giungere alla
fine. Sarei sincera nell’uno e nell’altro caso perché la verità è che ho amato
e odiato questo romanzo in egual misura.
Come dicevo, l’idea di fondo è strepitosa. L’autore narra di
un mondo futuro in cui natura e tecnologia si sono fuse al punto da coesistere
in simbiosi. È un mondo fatto di biometallo, di alberi capaci di affondare le
radici nel cemento e di uomini che sembrano vivere in bilico tra passato remoto
e modernità. Un mondo complesso, apparentemente contraddittorio, ma non l’unico
dei mondi possibili perché ciclicamente l’universo si rinnova, finisce un mondo
e ne comincia un altro. A reggere le fila del gioco sono gli dèi, o daimoni,
che non sono sempre benevoli e probabilmente, agiscono nel rispetto di una
legge naturale che prescinde dall’amore. Ci sono divinità della vita e della
morte, divinità che concedono favori e altre che esigono un tributo di sangue.
Scendere a patti con loro si rende necessario per preservare l’equilibro. Ecco
allora che nel tempio di Reallach, periodicamente si rinnova il patto − Khama−
tra dio e uomo nella speranza che l’apocalisse venga rinviata.
Miya e Dobrak sono interpreti della volontà degli dèi,
qualcosa di simile a dei Sacerdoti del tempio, designati a esser tali sin dalla
nascita e votati a sacrificare la loro stessa vita per servire la causa. Essi
sono indispensabili perché il patto si rinnovi ma, in previsione di quello che
le profezie annunciano come l’ultimo Khama, accade qualcosa di imprevisto.
Dobrak infatti si ribella al suo compito ritenendo che la religione si tutta un
inganno. A suo parere, non sono divinità, non esseri soprannaturali, ma
macchine antiche progettate e strumentalizzate per asservire gli uomini, che
governano il mondo. Avrà origine così la sua personale battaglia per la verità, che gli
costerà l’esilio e il cui esito decreterà le sorti dell’intero genere umano. Come
spesso accade, interverrà l’Amore a scompaginare i piani e fungere da ago della
bilancia in un contenzioso che chiama in causa la fede e, non da ultimo il
concetto stesso di realtà.
Una storia sospesa tra fisica e metafisica, tra fantasy e fantascienza, dunque, capace
di fondere suggestioni mitologiche con altre di sapore futuristico, ricchissima
di spunti di riflessione e di implicazioni filosofiche.
Originale, profonda e impegnata, non ho potuto che trovarla
estremamente interessante per i suoi contenuti non mancando di apprezzare
l’incontestabile padronanza linguistica dell’autore, capace di uno stile
forbito, raffinato, tecnicamente impeccabile.
Da appassionata di filosofia non posso negare di essermi
lasciata sedurre dall’intrigante ipotesi elaborata tra queste pagine, né posso
dire di non aver subito il fascino di una tematica che, quasi dall’alba dei
tempi, è al centro di accesi dibattiti.
Dov’è allora la nota dolente? La mia impressione è che Stefano Andrea Noventa abbia eretto un muro tra sé e l’ipoetico lettore, una barriera che può
essere forzata al fine di comprendere e carpire contenuti ma che impedisce del
tutto il passaggio di emozioni. L’esposizione è tutt’altro che lineare, il
lessico ricercato, a tratti, diviene ostico, la descrizione dell'ambientazione e dei personaggi, soprattutto, lascia molto all’immaginazione
avvalendosi solo di pochissime linee essenziali. Si fa fatica a seguire il filo
narrativo, si fa fatica a distinguere e riconoscere i numerosi personaggi perché
davvero pochi sono gli elementi che ci vengono concessi per conoscerli.
L’eccessiva eleganza e perfezione tecnica della forma finisce per schiacciare
le emozioni, cosicché si riesce a intuire l’enorme potenzialità − anche emotiva
– del romanzo, senza tuttavia riuscire a coglierla davvero.
Il risultato è un’opera di qualità ma destinata, a mio
parere, a rimanere di nicchia, un libro che si lascia leggere (e che vi consiglio
se siete appassionati della materia) più come fosse un saggio filosofico che
come romanzo di intrattenimento.
Insomma, una creatura bellissima ma algida, per raggiungere
la cui anima, vi toccherà impegnarvi a grattare la superficie e a cercare sul
fondo. Se l'impresa non vi spaventa, potrebbe valerne la pena.