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Recensione L'uomo che cadde sulla Terra

Creato il 11 gennaio 2016 da Lightman
    Recensione L'uomo che cadde sulla Terra

Ricordiamo David Bowie con il primo dei tanti cult interpretati nella sua florida carriera d'attore: L'uomo che cadde sulla Terra, opera complessa e affascinante diretta da Nicolas Roeg.

Recensione L'uomo che cadde sulla Terra

Un alieno dalle sembianze umanoidi giunge sulla Terra con l'intenzione di trovare una soluzione al problema della grave siccità che sta martoriando il suo Pianeta natale, sul quale ha lasciato moglie e figli. Assunte fattezze umane e spacciandosi come l'inglese Thomas Jerome Newton, l'extraterrestre ha ben nove brevetti in grado di rivoluzionare le tecnologie terrestri e instaura un vero e proprio impero finanziario, dando il via alla progettazione di un astronave in grado di trasportare l'acqua ai suoi simili. Si innamora della bella Marylou, cameriera in un albergo, e si circonda di un paio di fidati collaboratori per gestire il suo numeroso patrimonio; sarà proprio uno di loro, venuto a conoscenza della sua reale identità, a tradirlo e a far naufragare, forse per sempre, l'idea di far ritorno a casa...

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Recensione L'uomo che cadde sulla Terra

Per suggellare un omaggio a una delle personalità più influenti degli ultimi cinquant'anni, non solo in campo musicale, partiamo dall'inizio, o meglio uno dei tanti delle diverse strade artistiche percorse da David Bowie: L'uomo che cadde sulla Terra segna infatti nel 1976 l'esordio del Duca Bianco sul grande schermo. Opera già cult dalle aspettative iniziali in questa particolare rivisitazione dell'omonimo romanzo Walter Tevis a firma di un grande regista, sempre troppo sottovalutato, quale Nicolas Roeg. Il cineasta cambia il punto di vista del racconto, focalizzando l'attenzione sul punto di vista dell'alieno e optando per una narrazione volutamente frammentaria e incoerente che si concentra sul magnetico e androgino fascino del suo protagonista per addentrarsi in una storia di solitudini e vuoti che hanno non pochi spunti critici verso la società allora contemporanea. Gli anni, in particolare nell'ultima parte, scorrono in un battere d'occhio lasciando domande irrisolte e buchi logistici, tra sferzate di brusco erotismo (sequenza leggendaria quella della pistola) e un'inquietudine maliarda e visionaria che permea, sottotraccia o meno, tutti i 140 minuti di visione. Un film aspro e dai non pochi problemi di distribuzione (la Paramount rifiutò il montaggio finale, considerato lontano da qualsiasi logica commerciale) intarsiato da simbolismi non sempre immediati che trovano nello stile smaccatamente autoriale (nel senso più positivo del termine) di Roeg il miglior veicolo per mettere in mostra questa parabola di amarezza che sfrutta l'incipit fantascientifico per riflettere su tematiche molto più terrene.

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