È la notte di capodanno del 1937 all'Hotspot, un night club del Greenwich Village a New York. In fondo a una pista da ballo piccola e vuota, un quartetto jazz suona stancamente. Il sassofonista, un gigante malinconico con la pelle nera come olio da motori, sembra perso nei suoi assoli. Il contrabbassista, un mulatto dai baffi sottili, svolge ossequiosamente il suo lavoro. Ai tavoli, una clientela depressa quasi quanto il quartetto. Nessuno elegante. Qualche coppia, ma nemmeno l'ombra di un gesto romantico. Chiunque sia innamorato o pieno di soldi se ne sta dietro l'angolo, al Café Society, il night club dei ricchi, a ballare a ritmo di swing. A un tavolo appartato dell'Hotspot, tuttavia, Evelyn Ross e Katey Kontent ostentano senza problemi la loro giovanile e spensierata avvenenza. Sono arrivate lì per caso, giusto per tirarsi fuori dalla loro camera in affitto. Evelyn, bionda naturale, capelli lunghi fino alle spalle, è una di quelle tipiche bellezze del Midwest che volgono a un certo punto le spalle alla casa paterna per avventurarsi nella grande metropoli newyorchese. Katey è un'attraente giovane donna di buone letture che, per sbarcare il lunario, sbriga la corrispondenza nello studio legale Quiggin & Hale, dove venticinque ragazze come lei riescono a battere a macchina settantacinque parole al minuto. Le due ragazze si sono scolate già una buona dose di gin e, visto che hanno in borsa una decina di centesimi ciascuna e in testa l'idea di continuare a bere, si apprestano a fare gli occhi dolci al contrabbassista o al barista di turno quando si verifica l'«apparizione». Dritto, alto un metro e settantacinque, capelli castani e occhi azzurri, cravatta nera e bellissimo cappotto appoggiato al braccio, un giovane uomo compare sulla soglia. Evelyn pensa all'istante che sia un tipo danaroso, poiché quella sicurezza nel portamento, quell'interesse democratico che ostenta non possono che appartenere a chi è stato tirato su a forza di denaro e buone maniere. E, in effetti, non sbaglia. Il giovane è, infatti, Theodore Grey, detto Tinker, banchiere a Wall Street, con appartamento al 211 Central Park West, ventidue piani con terrazzo, Mercedes coupé color argento vivo e liason con Anne Grandyn, ufficialmente sua madrina e, altrettanto ufficialmente, regina della mondanità newyorchese. In una parola, l'uomo del destino per le due ragazze, colui che le condurrà nella «buona società» newyorchese della fine degli Anni Trenta, al termine di quel «decennio snervante » in cui la musica di Billy Holiday, i party in frac e cravatta nera, i cocktail a base di martini dry sono l'ultimo lusso che New York strappa alla Grande Depressione prima di precipitare nel baratro di una guerra i cui venti spirano già in Europa.
La mia recensione
La vita è fatta di incontri casuali, voluti, improvvisi, ma anche di incontri mancati. Sullo sfondo di una New York magica che si sta rialzando dalle proprie ceneri e sta uscendo dalla Grande Depressione, La buona società di Amor Towles, pubblicato per Neri Pozza, ci narra una storia piena di fascino e decadenza come l’America bene di quei tempi e della tenacia di coloro che aspirano ad arrivare ai vertici di una piramide sociale che mostra la sua fragilità nelle repentine ascese e discese degli uomini e delle donne che tentano di scalarla.
La protagonista è Katey, brillante ragazza nata nella Grande Mela e figlia di emigrati russi. Lei è la voce narrante, colei che ci accompagna a spasso per la sua vita e ci racconta di un anno in particolare, il 1938, l’anno che l’ha cambiata, l’anno che ha posto le radici per quello che è ora, l’anno in cui ha scelto la sua strada rinunciando a tutte le altre strade possibili.
Insieme a lei si muovono tantissimi altri personaggi, tutti desiderosi di ottenere qualcosa: alcuni guardano all’esteriore, alla superficie delle cose e dei rapporti, altri vogliono arrivare in profondità per scoprire un’essenza che sentono di non possedere.
Non si deve credere che La buona società sia solo la vuota rappresentazione di una struttura sociale altrettanto priva di valori e di scrupoli, anche se è innegabile che le persone che ne fanno parte abbiano addosso quell’aura di arroganza, arrivismo e ipocrisia. Per far parte della buona società ci sono delle regole, sta al singolo poi metterle in pratica o meno, farle proprie o aborrirle.
Non che si possa parlare di serendipità, ma gli incontri fatti lungo la strada possono avere nella vita un impatto sconvolgente e quando la possibilità di un incontro continua a sfuggirci, scivolandoci dalle mani ogni qualvolta pensiamo di averla afferrata, questo forgerà la nostra persona.
Nessuno può sapere quanti giri farà una sfera prima di fermarsi definitivamente e non lo sapeva neanche la Katey del 1938. Solo ora, col sennò di poi, con la vita che ha imboccato il proprio percorso, può guardarsi indietro e rivivere quelle situazioni assaporandone l’intensità, quasi fosse il profumo agrodolce dei fiori nel massimo della fioritura che nascondono in sé il marciume della decadenza.
Perdersi nella pagine di questo romanzo è facilissimo. Guidati in una città senza tempo ma eternamente affascinate, il lettore si immergerà completamente in un mondo che è distante da lui pur sembrandogli vicinissimo. La scrittura di Towles è descrittiva e scattante, e tuttavia è in grado di trasmetterci la giusta dose di lentezza e di rigidità nei rapporti sociali.
Katey è una protagonista che si lascia amare: cinica e sagace, non è avara nel scoprire i suoi sentimenti e mostrarli al lettore anche quando il caso la ferisce nell’intimo. In lei c’è equilibrio tra i compromessi che questa società richiede e la lucida difesa del suo io, della sua mente.
Sulle note dei jazzisti che suonano nei piccoli club, con la voce intensa e penetrante di Billie Holiday che canta Autumn in New York, Amor Towles ci dipinge un mondo nella sua interezza senza risparmiarci le brutture o l’accecante scintillio. Sono gli anni della costruzione dell’Empire State Building, gli anni in cui si crede che si possa salire fino a toccare il punto più altro del cielo. La buona società è un romanzo che avvolge e spinge il lettore a voltare pagina, a leggere ancora per poter vivere un altro pezzetto di quella storia che ha forgiato l’America.
Quando si guarda indietro alla propria vita non la si deve misurare in base a ciò che abbiamo fatto e ciò che ci siamo lasciati sfuggire. Quella sarebbe una vita di rimpianti. Guardando al passato bisogna pensare alla propria vita come un percorso segnato da delle scelte, più o meno consapevoli, che ci hanno portato a dove siamo ora. E per quanto il rimpianto a volte sia un veleno in grado di tentare l’animo umano, grazie alla storia di Katey il lettore ha fatto sua la lezione.
VOTO DEL BLOG:
Great Book. Gran bel libro, da non perdere.