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Recensione: La città nera (di Mauro Baldrati)

Creato il 17 maggio 2010 da Mcnab75

La città nera

di Mauro Baldrati

Perdisa Pop editore

318 pagine, 18.50 euro

 

Impugnavano spranghe di ferro, bastoni, uncini da macellaio. Qualcuno aveva coltelli, asce. Vivevano negli interrati dei quartieri più degradati, cacciavano i topi e uscivano alla ricerca di qualunque cosa fosse commestibile. E in quel caso il cibo erano loro, due poliziotti isolati sorpresi nella notte imminente.
È il 2106. Roma è una città deturpata e lugubre, tenuta in scacco dalla Guardia Pretoriana, braccio spietato e folle del regime che controlla la capitale. Il centro storico è stato demolito e rimontato nelle ville dei potenti, per fare posto a palazzi nuovi, occupati dai cosiddetti spettri, persone sfigurate dalla miseria e dalla fame. Il sergente Draghi ha l’incarico di fermare un pericoloso killer di cui non si sa nulla, setacciando anzitutto i covi della Resistenza. Se non riuscirà a trovarlo entro otto giorni, un devastante rastrellamento metterà a ferro e fuoco la città. L’indagine, però, gli rivelerà che le cose non stanno affatto come gli hanno raccontato…
Mauro Baldrati è nato a Lugo di Romagna nel 1953. Per oltre dieci anni ha vissuto a Roma e a Milano, lavorando come giornalista e fotografo per varie riviste e agenzie. Suoi racconti sono usciti nelle antologie Attenzione, uscita operai (No Reply, 2007), Il magazzino delle alghe (Eumeswil, 2010) e su «Delitti di carta», «Segretissimo», «Nazione Indiana», «La poesia e lo spirito». Con altri autori ha pubblicato il saggio sulle aggregazioni giovanili La rivolta dello stile (Franco Angeli, 1983). Attualmente vive a Bologna.
(Dal sito dell'editore)

 

Commento

 

Titolo uscito quasi a sorpresa, considerando la penuria delle proposte italiane che anche solo ricordino vagamente la fantascienza, questo La città nera, pubblicato da Perdisa Pop, è un thriller distopico senza camuffamenti di sorta. Quindi lodi, lodi, lodi (come dice un noto regista televisivo) all'editore per averlo lanciato sul mercato fregandosene delle mode che impongono ben altro, soprattutto nella narrativa di genere.

Il romanzo di Baldrati è una sorta di commistione tra un Segretissimo un po' fuori dagli schemi e un Urania anni '80. Leggo che la critica ne coglie riferimenti e strizzate d'occhio all'attualità. Questo è vero solo in parte. La storia inventata dall'autore presuppone un'Italia frammentata e isolata dal resto della Comunità Europea, con un partito neofascista al Governo. Roma, in particolare, è al centro di questo paese proto-sudamericano, che va oramai sfaldandosi sotto le pressioni dall'estero e gli attacchi dei “terroristi” antiregime all'interno. La guardia pretoriana, con tutto il corredo di divise nere, rune mistiche e violenza gratuita, regge quel che resta del potere. Ma un elemento destabilizzante rischia una volta per tutte di far saltare il banco.

Letta così, la trama ha sì qualche aggancio con l'attualità, ma si tratta di suggestioni veramente minime. Se l'Italia (quella vera) va verso una dittatura – e così parrebbe – essa è quanto più lontana possibile dagli stereotipi del ventennio che fu: niente passi dell'oca, saluti romani e uniformi paramilitari, bensì brain washing mediatico, instaurazione di una sottocultura dell'ignoranza (a 360°), soglia di controllo democratico abbassata a furia di “riforme” costituzionali.

In questo senso il romanzo di Baldrati va ben oltre. Anzi, paradossalmente torna indietro, a suggestioni novecentesche. Semmai, facendo un dovuto sforzo d'immaginazione, La città nera può richiamare a fantomatiche repubbliche secessioniste, i cui promotori sono soliti a far pisciare i maiali sui terreni dove devono sorgere moschee, o disinfettare i treni dove siedono ragazze di colore.

 

Detto questo, analizziamo il romanzo al di fuori da questi contesti politici. È un buon libro? In parte sì. È ben scritto, con un protagonista che ispira empatia. Non il solito poliziotto macho, bensì un sergente disilluso, in mediocre forma fisica e poco incline a usare le armi. Un “uomo che ispira fiducia”, e proprio per questo ottimo investigatore. Lo scenario in cui si muovono lui e gli altri comprimari è la Roma neofascisticizzata del 2106: una città divisa in quartieri fortificati, perlopiù poverissimi e governati da bande etniche, da gruppi criminali o da partigiani antiregime. I ricchi e i potenti, compresa la guardia pretoriana, sono asserragliati in palazzi-cittadelle ultramoderni, da cui muovono le loro retate repressive e in cui organizzano i loro raduni di fedelissimi.

Non potendo rivelare molto sull'intreccio, fortemente tinto di giallo, concentriamoci sullo scenario. La Roma distopica inventata dall'autore è solo abbozzata, così come il resto del mondo futuro in cui cala i lettori. Non sappiamo come il Regime ha preso potere, né perché la situazione è degenerata al punto di non ritorno. Sappiamo che il Vaticano, dapprima colluso coi pretoriani, è dovuto poi fuggire in esilio ad Avignone, lasciando San Pietro alla milizia dittatoriale, che ha trasformato il cuore della cristianità in un arsenale supersorvegliato. Sappiamo che tra i paesi che più osteggiano il regime c'è la Spagna, ma non conosciamo il perché e il come. Sappiamo che i gerarchi del tiranno (il Sindaco) hanno addirittura creato una religione di Stato a loro uso e costume. Ma questo spunto inizia e finisce nel giro di qualche riga. Ci viene detto che il regime ha venduto o espropriato tutti i beni artistici e culturali di Roma e del Sud Italia, cancellando perfino la topografia delle strade. Ma, anche qui, l'interessantissima idea viene sviluppata solo in parte.

È sempre difficile capire quanto sia lecito fornire dettagli e informazioni ai lettori. Molti condannano l'infodump come il male supremo della narrativa. Io non la penso così. Credo anzi che, in taluni generi (il distopico tra questi), lo sforzo di inventarsi uno scenario quanto più “giustificato” e plausibile sia dovuto. Dovuto e gradito. Ne La città nera questo aspetto è curato solo in parte, tanto da lasciarmi più insoddisfatto che non il contrario.

Detto ciò, il romanzo è gradevole, molto apprezzabile nei suoi spunti di trama “classica” ma solida, con una narrazione molto cinematografica e richiami interessantissimi a tutta una categoria di film “pure 80s”, da 1997 Fuga da New York, a Interceptor, Robocop, fino all'italianissimo Fuga dal Bronx. Laddove Baldrani rinuncia a cercare un'inutile originalità d'intreccio, la sostituisce con un ottimo lavoro di mestiere che soddisfa chi non è mai stanco di storie come questa.

In sostanza giudico La città nera una buona uscita, una mosca bianca (da quanto tempo non leggevo romanzi distopici italiani?) a cui è lecito dar credito, purché siate appassionati del genere.
 

Recensione: La città nera (di Mauro Baldrati)

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