Recensione: “La confessione”, di Jodi Ellen Malpas

Creato il 13 febbraio 2015 da Ceenderella @iltempodivivere

Avevo promesso la recensione di The winner’s crime per oggi, per cui mi scuso se qualcuno l’aspettava; se riesco a ritagliare del tempo tra oggi e domani, sarà la prima cosa da buttar giù perché sono – tipo – ossessionata e l’avrete capito benissimo, ma due giorni fa ho terminato questo libro e ho l’assoluto bisogno di parlarne.

Titolo: La confessione
Titolo originale: This man
Serie: This man trilogy #1
Autrice: Jodi Ellen Malpas
Traduttrice: Mariafelicia Maione
Editore: Newton Compton
Anno: 2014
Pagine: 477

Ava è stata chiamata ad arredare alcune stanze di una lussuosissima dimora londinese, il Maniero. Il proprietario, Jesse Ward, ha chiesto di lei personalmente. Ava si presenta all’appuntamento aspettandosi un vecchio aristocratico e invece si ritrova davanti un uomo giovane, pericolosamente bello e molto sicuro di sé. Fin da subito è chiaro che Jesse sa come ottenere quello che vuole, e adesso vuole lei. Ava sa che da un uomo così sensuale ma prepotente, dominante e irragionevole sarebbe sicuramente meglio scappare, ma lui è determinato a farla sua e Jesse non è un uomo al quale è facile sfuggire…

Lo stalking non è un comportamento sano, ma malato, che necessita di cure, da non assecondare e, piuttosto, da denunciare. Questo avrei voluto dire alla protagonista di questo libro, praticamente in ogni pagina. Non è assolutamente un corteggiamento serrato dal quale sentirsi in qualche modo gratificata, specialmente se a portarlo avanti è un bell’uomo. Per me puoi essere pure Brad Pitt, se mi perseguiti, mi segui sotto casa, mi costringi a cambiare le mie abitudini, un giro dai carabinieri è solo la prima delle cose che farò per tenerti lontano da me. Non sarò lusingata dalle tue attenzioni, non accetterò di uscire da un locale perché tu me lo ordini né indosserò la biancheria o i vestiti che sceglierai per me; e non lo chiamerò amore. Mai. Ecco perché mi ha disturbato tantissimo leggere questo libro. Non ha niente a che vedere con la sua autrice, anzi, credo che quel che così tanto mi dà fastidio – per usare un eufemismo – sia un retaggio che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che spesso e volentieri non ci si accorge di accettare, legittimare tacitamente. Ed ha, piuttosto, a che vedere col messaggio che filtra tra le righe e rende giusto un comportamento che è l’esatto opposto, giustificabile in virtù di un cieco amore che di questo non ha le minime sembianze, sdoganato come fosse il manifesto del sentimento puro e autentico, auspicabile nella ricerca di un partner e della relazione perfetta.
Faccio fatica a credere all’amore istantaneo, ma ci passo sopra se comunque la lettura mi diverte e si presta a far scorrere serenamente qualche ora; però non riesco ad andare oltre l’immagine di una donna che accetta tutto, ma proprio tutto, dall’uomo che ama (di nuovo: non capisco quali siano le basi sulle quali poggia quest’amore, al massimo avrei concepito un’attrazione ma tralasciamo). Ava, la protagonista, è un’architetto d’interni che si è occupata dell’arredamento di una villa di cui non conosce il proprietario ed è, almeno all’inizio, il classico esempio di ragazza normale, che lavora, vive da sola ed è soddisfatta del suo nuovo status di single; finché Jesse appare e catalizza tutte le sue attenzioni su di lei. Lì, cessa d’esser una donna invidiabile che non ha bisogno di qualcuno accanto per sentirsi tale, per diventare vittima. Di stalking, di persecuzione – datele il nome che volete, la sostanza non cambia, anche se il nome che la legge italiana ha stabilito rende meglio l’idea di quello inglese comunemente usato -, di un dispiegamento di personaggi che, anziché consigliarle di mettere al bando anche la sola ipotesi di trovare allettante questo tizio, la incoraggiano nel frequentarlo. In primis, la sua migliore amica, quella che, non accecata dai fumi della passione che non fa ragionare Ava, avrebbe dovuto aprirle gli occhi, spiegarle perché stare alla larga da Jesse. Praticamente da subito, fin dal loro secondo incontro – se non erro – e quella frase “Quanto urlerai quando ti scoperò?”. Ora, spesso e volentieri questo è il tenore del linguaggio in romanzi di questo genere (ma non temete, esistono sempre delle eccezioni) ma cosa c’è di eccitante in un uomo di quasi due metri che ti sussurra all’orecchio una domanda di questo tipo la seconda volta che lo vedi e con il quale hai sempre e solo parlato di lavoro? Di punto in bianco poi. A me si accapponerebbe la pelle e una borsa in faccia è solo la prima delle cose che gli tirerei. E invece no, sembra essere una lusinga, un’ulteriore occasione per sentirsi grate di averne attirato l’attenzione. Questo è solo uno, dei tanti esempi che potrei fare ma che non farò; quel che mi importa non è scarnificare un testo e abbatterlo, tanto più che non ne ha colpa l’autrice né chi la segue apprezzandone le opere, ma mettere in questione le immagini che ne risultano, i modelli che mi spaventa pensare come ideali, la giustificazione di un reato per del sesso. Sesso usato come premio per il chinar la testa di fronte alle imperanti richieste, sesso che è punizione per quei lampi di raziocinio che baluginano di tanto in tanto, sesso che sfiora l’abuso – se non diventa proprio tale – quando la donna si ribella e prova a non sottostare alle follie del proprio padrone (perché questo è), sesso che rimane scoordinato da tutto il resto e non è che l’aggravante di un comportamento che già di per sé ha del malato, sesso che è sottomissione fisica e mentale. Sesso che chiamare amore è una bestemmia in chiesa.
Non voglio tirarla per le lunghe, né scrivere un pippone che sicuramente psichiatri e legali sapranno dotare di migliori, e più convincenti, argomentazioni. Quello a cui volevo arrivare, al termine di questa recensione che proprio tale non è, è una riflessione. Se è vero, da una parte che la lettura è evasione, intrattenimento, occasione di relax dal tran tran quotidiano, d’altra parte non posso fare a meno di pensare che debba e possa far riflettere. Che leggere un libro spinge ad aprire la mente, a confrontarsi con opinioni differenti, a mettersi in gioco; come qualsiasi scambio, ad arricchire. Che scrivere un libro può indirizzare sulla buona strada qualcuno, abbattere pregiudizi e stereotipi abominevoli, arrivare laddove ancora il pensiero comune, la legge, la società non sono arrivati e precederli, indirizzarli. Sono un’idealista, lo so, e non è un caso che abbia scelto il mio percorso di studi ma quel che anche so è che un libro alla volta, un lettore alla volta, qualcosa può cambiare. Lasciatemi vivere nel mondo dei sogni, dopotutto domani è San Valentino: è forse troppo chiedere una sana romance che faccia sognare e non venire il magone dal terrore, un uomo che non è il principe azzurro ma è semplicemente normale, una relazione tra due pari alla cui base c’è il rispetto prima ancora che l’affetto? Baratterei mille Jesse Ward per un ragazzo qualunque senza il minimo ripensamento.

Voto: ❤


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