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Recensione: LA FAMIGLIA BÉLIER. Un film fenomeno: ripeterà il successo di ‘Quasi amici’?

Creato il 27 marzo 2015 da Luigilocatelli

147749La famiglia Bélier, regia di Eric Lartigau, sceneggiatura di Stanislas Carré De Malberg, Thomas Bidegain, Eric Lartigau, Victoria Bedos. Con Karin Viard, François Damien, Louane Emera, Eric Elmosnino, Roxane Duran.
498348In Francia è stato il fenomeno dell’annata cinematografica, convogliando in sala sette milioni e mezzo di spettatori. Esito che nessuno si aspettava per questo piccolo film che parla, tra commedia e dramma sentimentale, di una famiglia di sordi orgogliosissimi e assai vitali. Con una figlia che non ha ereditato dai genitori la loro disabilità e che è il loro tramite con il mondo. Ne esce uno spettacolo travolgente, un film popolare e generalista come da tempo non si vedeva. Resta da verificare se ripeterà in Italia, e nel mondo, il successo di Quasi amici, con cui ha qualche affinità, ma di cui non ha la sottigliezza e la complessità. Voto 6+
136948Il film-fenomeno dell’ultima annata francese. Nato piccolo, di budget modesto, con un cast di buoni e anche conosciuti attori ma non star di peso massimo, ma cresciuto esponenzialmente nell’interesse del pubblico (meno dei critici, ovvio, che non ne hanno amato la popolaresca semplicità) a partire dalla sua uscita il 17 dicembre, sotto Natale. Oggi i numeri fanno impressione. Sono 7 milioni e mezzo gli spettatori che in Francia l’hanno visto, trasformandolo in uno dei più grandi successi da un bel po’ di anni in qua, simile per dimensione ed effetto del word-of-mouth a Les Intouchables/Quasi amici, cui lo apparenta lo spunto iniziale (una disabilità che si confronta con il mondo ed è vista come chance aggiuntiva di esplorazione del reale e non come limite: là la tetraplegia di un signore assai di mondo, qui il sordomutismo di una famiglia di contadini). Sono seguite nomination a pioggia ai César, anche se poi uno solo La famiglia Bélier se l’è portato via, quello della migliore promessa femminile andato a Louane Emera. Credo però difficile che si ripeta in tutto il mondo l’esito incredibile e imprevedibile di Les Intouchables, perché La famiglia Bélier non ne ha le sottigliezze, le sfumature, i molti strati e livelli di lettura, l’acume nel rovistare nei rapporti di classe e interetnici, attestandosi su un piano di onestissima ma assoluta e irrimediabile medietà. E con parecchie cadute nella lacrima facile, nella grossolanità sentimentaloide del più vieto feuileton che là erano accuratamente evitate. Di sicuro è cinema popolare, e popolare-francese, del tipo che convoglia le masse e le famiglie in sala la domenica pomeriggio, non così facile da rintracciare oggi, e film generalista, per tutti e per tutte le generazioni, al contrario dei prodotti orientati dal marketing e assai segmentanti il pubblico che dominano ormai il panorama produttivo. Difficile trovare un equivalente italiano, dove il cinema-per-tutti resta soltanto la commedia, peraltro in crisi forte, come dimostrano gli incassi deludenti del genere in questa stagione.
Normandia. I coniugi Bélier, lui Rodolphe lei Gigi, contadini con tanto di fattoria da gestire, allevamento animali e produzione di formaggi, sono muti e sordi. Lo è anche il figlio preadolescente mentre la figlia Paula, sedici anni, non è affetta dalla disabilità dei genitori. Ed è lei a fare da tramitecon il mondo esterno, a partire dal mercato dove i Bélier hanno il loro banco vendita formaggi, ed è sempre lei a dare una mano decisiva nel lavoro della fattoria, nonostante i suoi impegni scolastici. Famiglia bollente, con padre e madre dal carattere esplosivo e fumantini, per niente disposti a farsi mettere nel canto dei portatori di handicap e anzi orgogliosi della loro appartenenza alla comunità dei sordi. Le avventure e minime disavventure dei Bélier seguono i consolidati binari della commedia francese più nazionale e peculiare, tra effetti comici e patetismo se non vero e proprio melodramma, commedia per così dire etnica, quella che fu in passato dei Fernandel, dei Louis de Funés e, su un piano più alto e complesso, e consapevole, di Marcel Pagnol. Non per niente nell’ambiente di una Francia rurale custode dei valori profondi della francesità, e lontana dalle sofisticherie e dai cosmopolitismi di Parigi capitale. L’asse narativo si dirama presto in sottotrame, Rodolphe insoddisfatto del sindaco che decide di candidarsri lui stesso alla carica, e le storie intorno a Paula. Nella quale il professore di musica (gran numero di Eric Elmosnino) scopre una voce mirabile che dovrebbe essere esportata fuori dal villaggio, che meriterebbe di essere valorizzata. Il professore-mentore iscrive la ragazza a un concorso di Radio France, creandole turbamenti e crisi psicologiche. Perché, nel caso fosse ammessa al semestrale corso di Parigi, dovrebbe lasciare la famiglia, e come farebbero i suoi senza la sua finora necessaria mediazione linguistica con il mondo? Ecco, il film si svluppa intorno a queste tracce, aggiungetevi l’amore tra Paula e un compagno di scuola pure lui canterino, e il fenomeno Bélier è servito. Fondamentale, nell’esito del film presso le masse di Francia e di tutta l’area anglofona, son le canzoni di Michel Sardou, cantante-autore venerato che dagli anni Sessanta ha venduto decine di milioni di copie dei suoi pezzi, e sono pezzi che il prof di musica impone ai ragazzi del coro della scuola, e alla stessa Paula per l’audizione al grido di “Michel Sardou sta alla musica francese come Mozart a quella austriaca!”. E capisco la devozione, però il popolar-kitsch di quello che ascoltiamo in La famiglia Bélier qualche dubbio sulla reale statura lo fa venire. Che poi, tanto per dire un equivalente in popolarità e presa sull’anima nazionale da noi in Italia, viene in mente Lucio Battisti che Sardou, con tutto il rispetto, se lo mangia. Finirà come deve finire, con una scena che ha bagnato e bagnerà molti kleenex, anche di insospettabili signori e giovanotti. Il film corre via, dalla sua idea d’inizio, in modo travlogente e iresistibile, come un’implacabile, perfetta macchina produttrice di applausi e consensi. Si potrà arricciare il naso e inarcare il sopracciglio, ma di fronte ai numeri ottenuti in Francia non c’è che da riconoscere il fenomeno, e cercare di spiegarselo senza troppi snobismi e saccenterie. Certo, Les Intouchables era un’altra cosa, qui la costruzione drammaturgica sfiora la semplificazione e l’accumulo di cliché, e certe debolezze strutturale affiorano (per dire: che fine fa la candidatura di papà a sindaco?). In Francia e fuori Francia molti sordi non si sono rirconosciuti nel film, accusandolo di stereotipizzare figure ed esistenze di chi non sente e parla e di cavarne fuori troppo facili effetti comici. Che volete farci, son le solite tempeste politicamente corrette.


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