Io
volevo diventare amica del dolore. Volevo ballarci guancia a guancia,
usare la sua mano come cuscino mentre dormivo. Rifiutavo di averne paura.
Titolo:
La nostra ultima canzone
Autrice:
S.K. Falls
Editore:
Piemme Freeway
Numero
di pagine: 346
Prezzo:
€ 17,50
Sinossi:
Il
più grande desiderio di Saylor è ammalarsi, solo così, pensa, chi
le è accanto la noterà e le vorrà bene. Ha la Sindrome di
Munchhausen, infatti, e ogni scusa è buona per entrare in contatto
con germi e malattie. Così, quando il suo psichiatra le consiglia di
andare a fare volontariato per i gruppi di auto-aiuto, accetta con
grande entusiasmo: per ammalarsi non c'è niente di meglio che
passare del tempo in ospedale. Lì Saylor conosce un gruppo di
ragazzi, malati terminali, e inizia a frequentarli Tutto si basa su
un equivoco, loro pensano che anche Saylor sia molto malata, ma lei
non ha alcuna intenzione di fargli cambiare idea, perché per la
prima volta si sente a suo agio con dei ragazzi della sua età. Tra
di loro c'è Drew, un ragazzo bellissimo, un musicista, di cui a poco
a poco Saylor si innamora. A separarli c'è quella tremenda bugia,
Saylor non ha davvero la sclerosi multipla, ma a unirli c'è una
forza potentissima, che li spinge a credere di conoscersi da sempre.
La recensione
Saylor
ha sette anni quando ingoia il primo ago. Una scena cruda, forte, per
dare avvio a un romanzo che la copertina italiana – non che quella
originale sia meglio – vorrebbe farci credere stucchevole. Due ragazzi che si
baciano, in una storia d'amore all'apparenza come mille altre, quando
invece l'indagine dei mali – fisici e mentali – e un'affiatata
compagnia di comprimari a un baratro, ma stranamente contenti,
rendono La nostra ultima canzone il romanzo che forse non ti
aspetti: interessante per temi mai esplorati, coinvolgente nella resa, che è modesta ma piace. E della scrittura, lineare, nella media, ma
senza peli sulla lingua, apprezzi le piccole punte di coraggio e
l'immensa schiettezza con cui andare al cuore del problema. Perché
la storia di Saylor, dei suoi nuovi amici morenti e del suo primo e
ultimo amore, sa raccontare i temi spinosi e le bugie spregevoli con
semplicità; con una specie di leggerezza che rende la lettura
agevole e accattivante. Una lettura che, pur coi suoi limiti, ti lascia insomma qualcosa di buono. Sono positivamente sorpreso e potrei
dire che, sotto sotto, avessi intuito
che il romanzo di S.K. Falls potesse piacermi;
ma il potenziale, dietro un'aria comune, in
realtà non lo avevo scorto. Il desiderio di leggerlo è partito come
un capriccio che la gentile Lucia dell'ufficio stampa ha voluto darmi
per buono: attirato perché certi temi – se trattati al meglio –
sono gli unici a scalfirmi.
Nel risvolto di copertina – e, al contrario dell'immagine in primo
piano, i risvolti sono particolarissimi, con un effetto strappato ai
bordi – leggevo una storia triste: la Falls – dietro le
abbreviazioni, origini indiane che regala, in parte, alla sua
complicata protagonista – si sarebbe rivelata delicata o diretta,
ironica o elegiaca? Soprattutto, in un mare di libri, in cui gli
adolescenti vengono descritti alle prese con gli struggenti dolori
della loro età, avrebbe
cantato, a modo suo, un ritornello diverso o il classico tormentone
che va per la maggiore? Per fortuna, c'è quella narratrice che
spiazza e, con l'egoismo e una siringa sempre in tasca, fa la
differenza, facendosi odiare e volere bene. Saylor ha
qualcosa che non va. Lo rivela un incipt shock – e l'incipit, in un
romanzo, fa tutto – in cui ci racconda i suoi
primi tentativi di farsi male. Gli aghi per lacerare, i lassativi per
procurarsi i crampi alla pancia, il desiderio malato di essere sempre
a letto, in preda a febbri alte, per attirare le attenzioni di due
genitori distanti.
Avete presente quando avete l'influenza
e, per un weekend, ritornate bambini? I piumoni caldi tirati su, fino
al collo, con tanti cuscini sotto la testa e la televisione che manda
un film rilassante; le mamme che ti portano il brodo e i padri che,
tornati dall'ufficio, ti rimboccano le coperte, anche se hai
vent'anni e sei grande, ormai? Una famiglia che, nel momento del
bisogno, vedendoti debole, si fa in quattro per te. Saylor ha la
Sindrome di Muchausen e il suo sogno è vivere per sempre così: nel
nido di una mamma chioccia, in preda a una febbre che – come
scriveva qualcuno – rende tutto più bello. Ma quelli
che sembravano semplici capricci, con l'età, degenerano. La sua
migliore amica è una puntura, con la quale si inietta saliva
sottopelle, procurandosi ascessi; il suo compagno fedele è uno
psicologo che non giudica; il suo amante segreto, invece, il
farmacista di turno. Finché, un giorno, stare a contatto con le
forme più spietate della malattia non diventa il suo compito per
casa: lei spera di abbattere ulteriormente le sue difese immunitarie,
i medici di sensibilizzarla. In ospedale, conosce un gruppo di
giovani malati terminali, che vanno dai diciotto ai venticinque anni,
a metà tra Braccialetti Rossi
e Noi siamo infinito:
geniali e amichevoli; così tanto da crederle a occhi chiusi quando,
per un malinteso mai smentito, Saylor dice di avere la sclerosi
multipla.
C'è Zee, che lotta contro un cancro al seno che ha presto
messo radici altrove; Pierce, omosessuale sieropositivo; Jack, che combatte –
in tribunale – per il suo diritto a una morte dolce; Drew, che ha
braccia forti per compensare a gambe fragili. Il suo male si chiama atassia: si trascina dietro
con un bastone, ascolta tanta buona musica, ha finalmente
conquistato la propria indipendenza. Presto lo abbandoneranno anche
la voce, con cui intona belle canzoni di amore e perdita, e tutto il
resto. Inevitabilmente, anche Saylor. Come reagirà alla bugia di
lei? Come sarà, quel gigante buono, piegato su una sedia a rotelle?
Allora speri che lei possa guarirlo e basta, ma non è possibile; e allora speri che lei si ammali sul serio per non doverlo deludere.
Non si meriterebbe neanche di sopravvivere a tutti: di difficile
comprensione, scostante, tanto ingrata da giocare con il fuoco. In mezzo a comprimari a cui ci si affeziona e che
pianificano di morire soli come cani, nascondendosi, la storia della
diciottenne Saylor, ragazza interrotta, darà il via a una relazione amorosa toccante e a un percorso di crescita che emoziona. I
suoi tentativi, prima di farsi accettare, poi di farsi perdonare,
compaiono in lungo elenco di nodi da sciogliere e scuse da chiedere:
una lista di ultime volte un po' diversa, per non lasciare – come
in caso di fine prossima, d'altronde – niente in bilico. Il new adult di S.K.
Falls è tra quelli che, se letti nel momento giusto o in quello
sbagliato, ti sanno trovare scosso e pensieroso; come un brano
malinconico che hai già sentito ma che, se fuori piove e nessuno ti
vede, ti commuove. Sui misteri del cuore – perché innamorarsi, se
si hanno i giorni contati –, su quelli della psiche – perché
desiderare un malanno, se Dio o chi per Lui ci ha fatto la grazia di
una esistenza duratura. Sull'inconciliabilità tra un dolore fisico
che si sopporta, e a volte si ricerca, e un dolore emotivo
che, al contrario, dilania ma fa crescere. L'amore è strano, è strana la vita.
Siamo strani noi, assieme ai nostri sentimenti involontari. La
nostra ultima canzone, dunque,
si rivela un libro da consigliare quando ci si rende conto – insieme alla protagonista – che si è
qualcuno di speciale, e che il romanzo è di conseguenza qualcosa di speciale, anche senza i segni distintivi della ballata triste.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Tom Odell – Heal
Magazine Cultura
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