Magazine Fantasy
L'autore: Daniele Picciuti. Nato a Roma nel gennaio del 1974 si appassiona all’horror grazie ai romanzi di Stephen King prima, Peter Straub e Dean R. Koontz poi, fino a scoprire uno dei fondatori del genere: H.P. Lovecraft. Finalista a molti concorsi letterari di genere, tra cui Il Sentiero dei Draghi e Short Kipple, vincitore del Premio NASF 6 (2010), terzo classificato al Premio Algernon Blackwood (2011). Diverse anche le pubblicazioni in riviste e antologie: Nere Acque (365 racconti horror per un anno, Delos Books, 2011), Il buio è dentro di me (Uomini e spettri, Bel-Ami Edizioni, 2011), Caccia senza tempo (Rivista Altrisogni n.3, 2011), Il Viaggiatore (Fantaweb 2.0, Edizioni Della Vigna, 2012), Nella sete e nel pianto (Writers Magazine Italia n. 29, 2012), Operazione ombrello (Scimmiette di Mare Project, Nero Press Edizioni, 2013), Cantico del guerriero eterno (50 Sfumature di Science Fiction, La Mela Avvelenata, 2013). È Presidente dell’Associazione Culturale Nero Cafè (http://nerocafe.net), co-responsabile del magazine Knife e del marchio editoriale Nero Press. È ideatore di diversi premi letterari, come Minuti Contati, Nero Lab e il Premio John W. Polidori di Letteratura Horror (per Nero Cafè). A settembre 2011 ha pubblicato I racconti del sangue e dell’acqua (Bel-Ami Edizioni). Tra il 2013 e il 2014 sono previste nuove pubblicazioni.
La recensione di Miriam: Il tempo cambia tutto, seppellisce il passato, cancella i ricordi. A Nuova Roma ha fatto molto di più: con la complicità del Grande Disastro, ha spazzato via la vecchia civiltà trasformando il mondo in un luogo quasi invivibile. La polvere del tempo si è caricata di scorie e residui inquinanti, ha preso a vorticare rendendo l’aria irrespirabile e provocando strani giochi di luce che feriscono gli occhi.
Siamo nel 2195 e la città eterna sembra accingersi a esalare il suo ultimo respiro. Gli uomini si sono ridotti a brulicare come insetti nel sottosuolo e a farsi la guerra tra loro per accaparrarsi le ultime risorse. Ci si batte armati di coltello per aggiudicarsi un tozzo di pane, sempre che i punti sulla tessera sanitaria siano ancora sufficienti per averne diritto. I riflettori dei miliziani sono costantemente puntati sui più deboli alla ricerca de soggetti ideali su cui sfogare violenza e frustrazione, mentre i Predatori si aggirano famelici in superficie a caccia di umani con cui banchettare. Ci si sveglia al mattino sotto lo sguardo vigile di un sole malato e non si sa se si riuscirà ad arrivare alla sera perché la vita si è trasformata in una mortale corsa a ostacoli; il più forte vince, chi cade non si rialza.
Lorenza, vent’anni e una verginità rubata, ha perso tutto prima ancora di cominciare a vivere. In fuga dai miliziani che l’hanno presa di mira per i loro sporchi giochi, si aggira tra le rovine della città e nonostante tutto sogna. Sì perché, Lorenza conserva i ricordi. Ricorda sua madre − morta quando lei era ancora bambina − che le cantava la ninna nanna e le raccontava una strana favola in cui bizzarri arcangeli si prodigavano per salvare il mondo e sussurravano di una spiaggia da cui poter salpare per raggiungere un’isola felice.
Chiunque è pronto a giurare che si tratti solo di una fantasia ma per Lorenza è la sola speranza che resti, tutto ciò a cui potersi aggrappare per non colare a picco, al punto che non esita a partire per inseguire la sua chimera.
Attraverso una serie di flashback strategicamente collocati nel testo, Lorenza ci offre così la storia del suo percorso esistenziale accompagnandoci lungo un cammino di miseria, dolore ma anche ostinata speranza in un mondo migliore.
Ancora una volta Daniele Picciuti sceglie l’abito del racconto per trasportarci in una dimensione fantastica che, a dispetto dei ristretti confini narrativi, riesce a contenere un mondo. Più che dipingere un affresco post-apocalittico, l’autore produce uno strappo nella tela del presente invitandoci a osservare il domani attraverso una fenditura che pure ci consente uno sguardo a trecentosessanta gradi. È un futuro triste, in cui si avverte tutta la desolazione di un mondo in rovina, quello di cui ci racconta per bocca della sua protagonista. Un futuro distante ma che contiene inquietanti analogie con la realtà odierna. Impossibile respirare la polvere del tempo senza pensare ai veleni che tutti noi, più o meno consapevolmente, inaliamo ogni giorno. Personalmente, leggendo, non ho potuto fare ameno di pensare alla cappa nera che soffoca Taranto o ai fumi letali che si levano nella “terra dei fuochi”− due realtà a me geograficamente vicine −, ma di esempi simili se ne potrebbero citare a bizzeffe allargando i confini.
È un racconto dalle tinte forti La polvere del tempo ma è anche una favola moderna capace, all’occorrenza, di tingersi di poesia. Il linguaggio crudo di alcuni passi inaspettatamente sfuma nella dolcezza di altri, la violenza del presente si alterna all’abbraccio rassicurante dei ricordi, la distopia convive con l’utopia, cosicché in questo continuo gioco di contrasti amore e morte finiscono per rafforzarsi vicendevolmente.
A vincere rimane sempre e comunque la capacità di non arrendersi e di seguitare a inseguire i sogni, magari non fermandosi alle apparenze perché gli angeli non sono necessariamente come ce li hanno solitamente descritti e possono anche avere corazza e ali di metallo…
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