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Titolo: La schiuma dei giorni Autore: Boris Vian Editore: Marcos Y Marcos Numero di pagine: 268 Prezzo: € 14,50 Sinossi: Colin è un giovane parigino ricco e annoiato. Passa il tempo dedicandosi a ricette inverosimili, strimpellando bizzarri strumenti di sua invenzione, bighellonando con Chick - il suo migliore amico - un ingegnere spiantato e sperperone che ha uno strano pallino: collezionare le opere di Jean-Sol Partre. Poi, nella vita del signorino entra, in modo esplosivo, l'amore. L'incontro con la bella Chloé è un colpo di fulmine: decidono di sposarsi nel giro di pochi giorni. Al ritorno dal viaggio di nozze, Chloè si ammala. Nei suoi polmoni si annida un male terribile, fatica a respirare. Mentre il tempo va sempre più veloce, e l'appartamento dove vivono, inizialmente di dimensioni faraoniche, si fa sempre più stretto... La recensione Boris Vian era un tipetto bizzarro. Scriveva prima per sé stesso e poi per gli altri, amava inventare parole nuove e nuovi mondi, era un poeta, un trombettista bambino, un sognatore. Un artista con la a maiuscola. Visse nell'ombra, sostenuto da pochissimi lettori, e morì nell'ombra. In una sala cinematografica che proiettava il film tratto dall'unico dei suoi lavori che amava di meno, pubblicato per scommessa e scritto con animo pieno di disprezzo. Da solo, denigrato. Lui non se ne sarebbe fatto niente di questa mia recensione, e La schiuma dei giorni non dovrebbe nemmeno averne una. E' questo che penso. Vian, con quel suo stile dolce, pungente e innovativo, ha il temperamento di un bambino pizzicato dal germe dell'iperattività quand'era ancora in fasce. Non sta mai fermo, non sta mai zitto, ti sommerge di disegni irrealistici e di parole coniate presso un asilo frequentato da geni incompresi; ci pone domande stranissime di cui non conosciamo la risposta, ma che lui – che se la ride sotto i baffi come un furfante –, al contrario nostro, conosce benissimo. Ti sta mettendo alla prova, in realtà. All'inizio di ogni romanzo che si rispetti c'è scritto questo: Quello che leggerete è frutto di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale. Ma per questa storia il discorso non regge. Tutto è vero. Tutto doveva essere vero, per quell'uomo affamato e folle di nome Boris. La Schiuma dei giorni straripa di immagini, eccede in tutto, ma sui sentimenti è vago e trattenuto. E' un mondo senza bianchi e neri, senza sfumature. Tutto è a colori accecanti. Una filastrocca per bambini sulla morte, la dipendenza e la malattia, in cui animali parlanti, topolini suicidi, librai luciferini e ninfe con ninfee aggrappate ai polmoni ci lasciano con un messaggio incredibilmente tragico. E' un romanzo post-moderno, una beffarda presa in giro dell'esistenzialismo di Sartre, un quadro di Chagall per i non vedenti. Tutto è smielato, dolciastro, un pericolo per i nostri denti e per il nostro diabete. Ma poi, d'un tratto, tutto cambia, senza che si abbia bisogno di dentrifrici ammazza-carie e di massicce dosi di insulina. I colori cedono il posto al buio, le nuvole rosa diventano solo cumune zucchero filato, i fiumi d'argento si rivelano solo strade piene di riufiuti; la vita, senza Chloé, è una lunga e inutile fila per entrare in un Luna Park che non ci diverte più come un tempo. Non ti leghi ai personaggi, ma apprezzi quello che c'è dietro e quello che c'è dentro. La via di fuga dagli orrori del dopoguerra aveva, infatti, questa forma tutta nuova per Vian. Con le sue divagazioni nei campi della scienza, della fisica, della filosofia, del jazz e della gastronomia, La schiuma dei giorni è un romanzo da leggere, ma non da consigliare spassionatamente. Non so a chi piacerebbe o meno. Non so nemmeno se è piaciuto a me, a dirla tutta. Mai ho letto e mai leggerò qualcosa di altrettanto curioso. Di troppo unico nel suo genere. La fine della lettura richiede una disintossicazione e una rapida assimilazione. Solo Gondry avrebbe potuto portarlo al cinema, solo il regista di Eternal Sunshine of the Spotless Mind avrebbe potuto portare sul grande schermo il paese delle meraviglie (e degli orrori...) che spesso ho avuto difficoltà, nel corso della lettura, ad immaginare.
Michel Gondry non ci fa la parafrasi di questa cruenta poesiola infantile, di questo girotondo ballato sulle rotaie di una stazione ferroviara perfettamente funzionante. Tuttavia, dà alla storia spazio e tempo. Scompone le forme in oggetti concreti, in tripudi di pacchiani effetti speciali, in sgarrupate casette di lego, in flessibili modellini di pongo. Dà il mal di mare: il trucco è stare al gioco, dall'inizio alla fine. Il libro è "disperato e orribilmente felice". Lo chiudi, vai a letto, lo sogni e lo continui l'indomani mattina. Lo leggi a piccole dosi, pian piano. Il film, invece, non puoi che guardarlo consecutivamente, in due ore di assurdità senza pause. E' identico in tutto e per tutto, ma, contrariamente al romanzo, stufa in fretta. Più che triste, mi ha lasciato psicologicamente e fisicamente stanco. I cadaveri ignorati come rifiuti, fosse comuni alla pista di pattinaggio, una nuvoletta meccanica noleggiata al primo appuntamento, piatti animati, tavole coi pattini a rotelle, anguille ghiotte di dentifricio all'ananas, topi antropomorfi come gli omini di Willy Wonka, pianoforti le cui note corrispondono a un liquore di marca o alle spezie di un cocktail alcolico. Il cielo tagliato in due come una mela – da un lato la pioggia, dall'altro il sole -, le corse in una macchina di cartone, la scena da sogno del matrimonio di Chloé e Colin: con i pederasti d'onore, con un coro di voci bianche che canta i loro nomi, con un bellissimo bacio sottomarino. Splendido il graduale passaggio al bianco e nero, che omaggia The Artist e Tempi moderni, mentre la casa dei protagonisti implode su sé stessa e li stritola lentamente. Colin, allergico alla fatica e economicamente e sentimentalmente generoso, ha il volto dell'affascinante Roman Duris (Il truffacuori, Tutti pazzi per Rose) che, da rampollo fannullone, si cimenterà con i lavori più sottopagati e strani: annunciatore di disgrazie future, riparatore di sedie rigorosamente irriparabili, “covatore” di munizioni in un campo di artiglieria pesante. Chick, lo stralunato e fragile Chick, che ama più i libri che la sua Alise, è Gad Elmaleh (Una top model nel mio letto). Omar Sy (Quasi amici) interpreta, invece, il cuoco e il personale angelo custode di Colin, mentre Chloé non poteva che essere l'adorabile e dolce Audrey Tatou (Il favoloso mondo di Amelie). Il film è molto simile al romanzo, però qualche nota qui e qualche nota lì mi sono risultate discordanti, perfino in quel caos stonatissimo già così. Mi ha lasciato un senso di pesantezza e disorganicità. Lo sconsiglio, quindi, almeno parzialmente, a coloro che non hanno letto il romanzo: correrebbero il rischio di lasciare la sala di corsa, con le gambe lunghe, molli e snodate di un ballerino di Sbircia-Sbircia; non riuscirebbero a tollerarne tutti gli eccessi, probabilmente. Nemmeno io, con il ricordo delle parole di Vian ancora fresco come vernice color puffo, ho potuto farlo. La schiuma dei giorni – il romanzo e, nelle linee generali, anche il film – è una piscina di palline colorate con uno strato di siringhe infette nascotte sotto la superficie. Un dolce ricorto di sbuffi di panna “nuvolosi”, con una lametta letale nell'impasto... Ed è tante altre cose un po' così: dolci e truci. Burlesco, cinico, crudele, tenero, fiabesco. Disgustosamente variopinto, assurdamente creativo, follemente romantico. Per tenere a mente che tutti i migliori, forse, sono fuori di testa. Il mio voto: ★★★ Il film: ★★ Il mio consiglio musicale: Glen Hansard & Marketa Irglova – Falling Slowly
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