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Recensione: La teoria del tutto

Creato il 18 gennaio 2015 da Justnewsitpietro

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Pochi giorni fa, prima di vedere “La teoria del tutto” e prima dell’assegnazione dei Golden Globes di quest’anno, avevo pronosticato nella mia recensione di “The Imitation Game” la vittoria di Benedict Cumberbacht come miglior attore protagonista.

Mi dispiace per l’ottimo Benedict, ma mi son dovuto ricredere dopo aver assistito all’incredibile performance dell’attore britannico Eddie Redmayne nei panni del cosmologo Stephen Hawking, noto per le sue teorie sul tempo e sui buchi neri e, purtroppo, afflitto dalla malattia del motoneurone (SLA) almeno dal 1963.

Il film di James Marsh (“Man on Wire”, “Doppio gioco”) è l’adattamento cinematografico del libro autobiografico Verso l’infinito di Jane Wilde Hawking, prima moglie dell’astrofisico, interpretata dalla bella e brava Felicity Jones, il cui volto mi ricorda tantissimo quello altrettanto dolce e delicato di Naomi Watts, altra attrice che adoro. Peraltro, sia Eddie che Felicity sono stati candidati agli Oscar rispettivamente come miglior attore e miglior attrice protagonisti.

La teoria del tutto”, nonostante possa sembrare un puro e semplice biopic su uno dei grandi geni della scienza, in realtà racconta dell’incredibile, paradossale e appassionata storia d’amore tra Jane, letterata e fervente credente e cattolica (CdI – Chiesa di Inghilterra), e Stephen, fisico per cui “la cosmologia è la religione degli atei intelligenti”. Dunque, due mondi agli antipodi che, come due pianeti a una certa distanza tra loro, si attraggono con una forza, la forza dell’amore, che nemmeno la variabile della malattia potrà smorzare. I due ebbero tre figli e il loro matrimonio durò trent’anni, dal ’65 al ’95. Stephen e Jane sono rimasti amici e collaboratori.

Come detto inizialmente, a sorprendere veramente in questa delicata pellicola è l’interpretazione di Eddie Redmayne, che ci regala una delle migliori performance maschili degli ultimi anni, per lo meno in film biografici. L’Alan Turing di Cumberbatch non ha scampo di fronte al suo Hawking, in cui l’attore inglese si è immedesimato a tal punto da far sembrare il film un documentario su di lui. Pensate che il giovane e talentuosissimo Eddie, per trasformarsi al meglio nel problematico astrofisico di Cambridge, oltre ad aver perso qualche chilo, si è allenato per mesi con un coreografo per imparare i movimenti fatti da un corpo afflitto da una malattia invalidante. Oltre a ciò, ha incontrato circa quaranta pazienti affetti da SLA e realizzato una tabella con soprascritto l’ordine dei muscoli che man mano dovevano atrofizzarsi. Rispetto alla sua preparazione fisica e psicologica, quella di Matthew McConaughey per “Dallas Buyers Club”, premiata con l’Oscar, fa ridere.

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Sul fronte femminile, Felicity Jones tiene testa al suo collega. L’attrice, infatti, il cui ruolo è quello di Jane Hawking, autrice dell’autobiografia da cui il film è tratto, ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo narrativo della trama e, soprattutto, per Stephen, suo marito, che non abbandona nei primi momenti di disperazione e che sprona a reagire perché finché c’è vita, c’è speranza. Sarei felicissimo se la notte del 22 Febbraio trionfassero questi due attori che, nono-stante la giovane età, sono già una spanna sopra a tanti altri finti veterani del cinema (specialmente americano).

In definitiva, guardando “La teoria del tutto” il tempo è volato. La pellicola di Marsh, candidata peraltro agli Oscar come miglior film, risolve l’equazione della grande tradizione del cinema classico, composta da fotografie morbide e delicate, una colonna sonora emozionante nella sua leggiadra semplicità e una regia perfetta impreziosita da sparute ma necessarie idee brillanti (come il riavvolgimento del tempo nel finale). Correte al cinema a gustarvi questa perla su complicate teorie astrofisiche, astronomiche, temporali e su una semplice storia d’amore che, con la sua eterna passionalità, le ha infrante tutte.

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