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Recensione La vendetta del dragone

Creato il 19 dicembre 2015 da Lightman
    Recensione La vendetta del dragone

Un inedito Jackie Chan finisce invischiato in una guerra senza esclusione di colpi tra i boss della yakuza in La vendetta del dragone, drammatico e violento noir di ambientazione nipponica diretto da Derek Yee.

Recensione La vendetta del dragone

Siamo sempre stati abituati a conoscere Jackie Chan per la sua innata comicità di marchio slapstick e per le sue incredibili evoluzioni coreografiche, caratteristiche che lo hanno reso una star internazionale e idolo di grandi e piccini. Proprio per questo il suo grande amico Derek Yee, autore di veri e propri cult del cinema hongkonghese come One Night in Mongkok e Protegé, nel 2009 decide di offrirgli il primo ruolo parzialmente negativo e dalla forte impronta drammatica in La vendetta del dragone. Un progetto rimasto in naftalina per un decennio e addirittura non distribuito nei cinema in patria a causa dell'eccessiva violenza (il Paese infatti non ha un vero e proprio sistema di censura e i film non subiscono divieti). Un noir post-moderno di rara ferocia ambientato in terra giapponese e incentrato sul dramma degli immigrati cinesi, fenomeno molto attivo negli anni '90 e in seguito andato a scemare dopo il progressivo boom economico della Repubblica Popolare.

Paese che vai, usanze che trovi

Recensione La vendetta del dragone

Steelhead è un contadino delle campagne cinesi che dedice di entrare in Giappone come immigrato clandestino per ritrovare l'amata Xiu Xiu, trasferitasi già da qualche anno in terra nipponica e della quale non ha più notizie da diverso tempo. I primi tempi sono duri per lui ma riesce ad ambientarsi grazie all'aiuto del vecchio amico Jie e di altri connazionali immigrati lì da prima di lui. Una sera, dopo che Jie viene brutalmente ferito dalla gang di Taiwan, Steelhead si trova quasi per caso a salvare la vita di Eguchi, un boss della yakuza, che lo prende sotto la sua protezione. Involontariamente Steelhead si ritrova invischiato in un gioco pericoloso che lo porterà a diventare il leader della minoranza cinese, non senza drammatiche conseguenze...

Il lato oscuro di Jackie

Derek Yee dirige un film cattivo, opera che non fa sconti nella rappresentazione di una violenza fisica e interiore che non risparmia niente e nessuno. Un post-noir intenso e accattivante che vive una rabbiosa evoluzione nelle due ore di visione, passando dalle atmosfere vagamente leggere della prima parte ad un'esplosione di rancori e rimorsi nella seconda, con una parte finale in cui il sangue e i morti scorrono a fiumi. La vendetta del dragone riflette sulle differenze culturali e sullo scontro acceso tra i nazionalismi nipponici e gli estranei cinesi, con una particolare attenzione alle sfaccettate caratterizzazioni di entrambe le parti in causa, con un equilibrio di grigi a cesellare i vari rapporti interpersonali tra i personaggi. Se in alcuni spezzoni si può intravvedere una leggere mancanza di ritmo e di coerenza, è innegabile l'intensità emotiva che traspare dal tormento del protagonista, criminale per amore e per necessità, che si trova catapultato in un mondo oscuro e spietato senza vie d'uscita. Interessante a tal riguardo il legame che lega la figura di Steelhead al detective giapponese, simbolo di possibile speranza in una realtà criminale dominata da corruzione e tradimenti nella quale gli amici possono diventare in un batter di ciglia i peggiori avversari. Sorretto da una dolente carica malinconica intrisa di ricordi del passato e di possibilità inespresse, il film è pregno di un'amarezza che si imprime a fondo in un vortice oscuro di povertà e disperazione; disperazione che emerge anche dalle sequenze più crude e movimentate, totalmente prive delle spettacolari coreografie in stile JC. Qui l'attore lavora in una totale, toccante e credibile, sottrazione che conquista e commuove, arrivando a sporcarsi le mani in prima persona evitando la sua prorompente atleticità in favore di una performance drammatica di assoluto rispetto, in un cast di prim'ordine nel quale ritroviamo anche altre due familiari sicurezze del cinema di Hong Kong come Daniel Wu e Lam Suet.

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