Autore: Alessandro Turati
Editore: Neo.
ISBN: 9788896176092
Numero pagine: 112
Prezzo: € 12,00
Voto:
Trama:
13 sono le cose da fare. Le ha segnate Emilie su un foglio di carta otto anni fa. Da allora, Alessio lo tiene sempre in tasca. Ogni tanto lo apre e lo legge come fosse un rituale, un esercizio da fare per sopportare un’assenza.
Si dice che il problema sia di chi resta, non di chi se ne va. Emilie se n’è andata, portata via da un cancro. Alessio le è sopravvissuto. Sono passati otto anni ed è ora che tutto ha inizio.
Le 13 cose ci afferra dalle prime righe e ci trascina in un piccolo paese di provincia che pare evacuato, sempre pronto a riversarsi in un al di là parallelo simile a un campo sfollati. Alessio Valentino, protagonista suo malgrado, lega la propria vita ad assurdi vicini di casa e a personaggi improbabili. Figure sghembe e grottesche che innescano intrecci e situazioni inneggianti alla vita più stramba. Il suo mondo sembra uno sgangherato e divertente luna-park, di quelli che stanno alle periferie dell’esistenza, dove la pena e la catarsi si tengono abbracciati, come amanti su un ottovolante per cui non hanno pagato il biglietto.
Recensione:
Non mi era mai capitato di imbattermi in un libro che mi mettesse in difficoltà sul giudizio finale. Di solito mi baso su trama e stile, che nella maggior parte dei casi sono due rette più o meno parallele, ma mai come in questo caso sono rimasto perplesso.
La trama è, in una parola, inesistente. Non c’è un filo narrativo, non è una storia raccontata con un inizio e una fine, è semplicemente un continuo susseguirsi di flashback e azioni sconclusionate di un protagonista derelitto ai margini della società e della vita stessa, che prende tutto come viene senza porsi problemi o domande, e trovano nella sua apatia una certa serenità.
Lo stile invece si trascina avanti tra volgarità, bestemmie, frasi che sembrano voler dire qualcosa di concreto e si risolvono invece nel nulla assoluto, spezzoni, si ha l’impressione di non avere davanti più di qualche delirio alcolico del quale non rimarrà traccia.
Le due cose, opposte, finiscono però per conciliarsi alla perfezione in un insieme armonioso dal quale non si riesce a staccarsi pur riconoscendone la vacuità. È un po’ come essere trascinati nella mente di uno psicopatico, conoscere l’uscita ma non volersene andare, continuando piuttosto ad ascoltare quelle frasi smozzicate che potrebbero tanto nascondere il senso della vita quanto essere il massimo dell’inutilità.
Se non altro, però, c’è da dire che mi sono divertito parecchio a leggere questo romanzo, ed è stato questo particolare che ha finito per essere decisivo in una valutazione tutto sommato positiva: è qualcosa di demenziale, ma anche di accattivante e geniale. E poi c’è un’amarezza di fondo, una disillusione che non lascia spazio alle rassicurazioni, ingredienti che danno a tutto il testo una patina di realtà e credibilità per quanto deprimente.
L’editing è tutto sommato ben curato, con la sola eccezione delle virgole che spesso non sono rispettate. Una revisione in più avrebbe magari contribuito a rendere la lettura meno difficoltosa, anche tenendo conto del fatto che è già di per sé complicato seguire una narrazione dichiaratamente priva di un filo logico.
Un’ultima nota da ribadire: non è un libro per bigotti e persone eccessivamente raffinate. Il linguaggio crudo è ben intonato alla tematica, ma non tutti potrebbero restare tranquillamente indifferenti davanti a volgarità di carattere religioso e ostentazioni di una vita malsana al limite del bestiale.