E’ che tutti nella vita abbiamo avuto un oste di fiducia. Uno di quelli che ti salutava per nome, ti faceva sedere e non ti chiedeva la comanda: si limitava a scomparire in cucina per riemergervi, a intervalli irregolari di tempo, con primo-secondo-contorno fumanti e abbondanti, e ogni volta rischiavi di restarci secco per quanto erano buoni.
Eccoci qua, ho appena terminato l’ultimo libro di Baricco e mi sento come se mi fossi seduto al solito tavolo, e invece della tradizionale e corposissima cena mi siano stati serviti tre piattini di micro-antipasti. Oh, sia chiaro, buoni eh!, ma un po’ di amaro in bocca resta qui a farmi compagnia.
Perché con me Baricco funzionava cosi: mi ci immergevo totalmente, tornando in superficie per qualche boccata d’aria, perché avevo letto e magari sottolineato furiosamente una frase o un pensiero che da soli valevano il prezzo indicato in quarta di copertina.
Ora, non dico che “Tre volte all’alba” sia completamente privo di momenti del genere, no. E’ anzi uno dei testi di Baricco in cui emerge con maggior forza quel talento incredibile per i dialoghi, che di un romanzo sono sempre punto fra i più critici. Ed anche le tre storie, tra loro integrate, che sviluppano la trama del volume si fanno decisamente leggere: nelle vicende di questi sei personaggi – che si incrociano fino a sembrare tre e poi tornare sei – ti perdi come sempre volentieri, con una spiccata preferenza per i personaggi femminili che l’autore scolpisce con vivezza e spessore invidiabili ai più.
Eppure, alla conclusione della lettura, resta nell’aria una sorta di sospensione che non ho gradito, una incompiutezza che potrà essere apprezzate da molti ma che a me, forse ben abituato dalle trame circolari e perfette dello scrittore torinese, non ha convinto del tutto. E mi è sembrato un peccato, perché nelle storie di questi personaggi che si incontrano nella hall di un albergo e condividono l’illuminarsi stentato del mondo all’alba c’erano tutti i presupposti per annodare una rete più fitta di sensazioni, emozioni, vita.
La citazione:
Si ricomincia da capo per cambiare tavolo, disse. Si ha sempre quest’idea di essere capitati nella partita sbagliata, e che con le nostre carte chissà cosa saremmo riusciti a fare se solo ci sedevamo a un altro tavolo da gioco. Lei aveva lasciato il bambino a sua madre e aveva ricominciato da un’altra città, da un altro mestiere, da un altro modo di vestire. Probabilmente voleva anche lasciarsi dietro un po’ di cose che non era possibile rimettere a posto. Adesso non riusciva a ricordare bene. Ma certo era stufa di perdere. Come le ho detto, aggiunse, cambiare le carte è impossibile, non resta che cambiare il tavolo da gioco.