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Recensione: LO STAGISTA INASPETTATO con la strana coppia DeNiro-Anne Hathaway

Creato il 19 ottobre 2015 da Luigilocatelli

12017685_889197601135076_8696797706625037959_oLo stagista inaspettato (The Intern), un film di Nancy Meyers. Con Robert DeNiro, Anne Hathaway, Rene Russo, DrenaDeNiro, Nat Wolff, Adam DeVine.
12068959_889199017801601_5952940109590206430_oCome ti disinnesco il conflitto tra generazioni che oggi percorere l’Occidente in una commedia rosa e dolcificata. Con un DeNiro improbabile stagista settantenne alle prese con la giovane boss di una startup di vendita di moda online. Un po’ Il diavole veste Prada, ma senza l’acredine e gli acidi di quel film. DeNiro nei panni del vecchio zio simpatico, anche un po’ Mary Poppins, visto che dove passa lui tutto miracolosamente s’aggiusta e si rimette in ordine. Voto 4

12002611_889198994468270_8289176564772146392_oBenvenuti nel mondo di Nancy (Meyers), dove è tutto rosa carinissimo, e dolcificato al sapore di miele chilometro zero, dove ogni differenza e conflitto è smussato, addomesticato, lisciato e levigato con la lima per le unghie dell’estetista. Una regista, la signora Meyers, che riuscirebbe a buttare in commedia innocua le peggio tragedie del nostro mondo, le questioni più sanguinose, figuriamoci stavolta che si misura con una cosa seria ma non tragica, da lei comunque prontamente banalizzata e neutralizzata oltre ogni ragionevolezza, come lo spartiacque che separa in tutto l’Occidente (e in Italia anche più che altrove) e mette in opposizione i trenta-ventenni alle generazioni mature dei baby boomers. Con reciproci e incrociati pregiudizi, per cui il baby boomer sui sessanta vede nei giovani dei gran fancazzisti viziati con poca o zero voglia di lavorare, e il rottamatore trenta-ventenne gli anziani e quasi-anziani li vede come coloro che hanno avuto tutte le opportunità, han saccheggiato le risorse garantendosi posti, prebende, pensioni e vari privilegi. Ecco, su simili differenze e incomprensioni, appena appena accennate in corso di narrazione perché non sta bene e non conviene disturbare lo spettatore, su questo strappo Lo stagista inaspettato imbastisce il suo rammendo, il suo progetto di gettare un ponte e costruire perfino un’alleanza tra giovani e vecchi. Con il risultato di una storia altamente improbabile e però consolatoria, che di sicuro piacerà agli spettatori cinquantenni e oltre, mentre sarà evitata come il veleno dalla sushi-generation (o happy-hour generation). Che peraltro, come una recente ricerca dell’Istituto Toniolo e Università Cattolica di Milano dimostra (confermando quanto già si era intuito), al cinema non ci vanno più, preferendo scaricare o consumare altro intrattenimento, e in altre modalità rispetto alla sala. E però al box office i numeri di Lo stagista inaspettato son decisamente buoni. Nel Nord America finora sono 6o i milioni di dollari incassati, e il film continua a stazionare nella top ten, mentre in Italia lo scorso weekend, il suo primo di programmazione, è arrivato a quasi 850mila euro. Certo il mestiere a Nancy Meeyrs va riconosciuto, la sua melassa la sa confezionare presentandoci ambienti e personaggi sintonizzati sull’oggi e abbastanza attendibili, dando l’impressione di essere una che sa intercettare lo Zeitgeist. L’idea di partenza, il congegno d’innesco del film son piuttosto balordi, ma lo spettatore quasi non se ne accorge, abbagliato dall’ambiente tutto digital di una startup di New York (per essere precisi, di Brooklyn, terra promessa di tutti gli hipster e le hipsterie), dai dialoghi furbetti e dalle efficienti prestazioni d’attore di un roccioso Robert DeNiro e di un’Anne Hathaway che tende però a esagerare in faccette e smorfie e l’aria da clown scappato dal circo. L’idea di partenza si diceva. Eccola: in una startup (l’anzianità aziendale è di soli diciotto mesi, e il successo è già arrembante e i dipendenti oltre quota 200) di vendita di moda online, chissà perché – la cosa è spiegata sommariamente e in modo tutt’altro che convincente dalla sceneggiatura – decidono di prendersi un stagista senior. Insomma, un pensionato, la figura massimamente odiata e odiabile – perché considerata parassitaria e antica – da un medio hipster e medio nerd intrippato con le tecnologie. Vince tra i candidati il settantenne Ben Whittaker, quarant’anni come manager a occuparsi di cartacei elenchi telefonici, qualcosa di rottamato dall’avvento del digitale, quasi il simbolo incarnato del mondo che era e non è più. Vecchio, il Ben, perdipiù vedovo, stanco di girare il pianeta a non fare niente in viaggi scemi con altri pensionati, e che nell’opportunità datagli dalla startup vede l’occasione di rimettersi in pista e misurarsi con un universo umano e di lavoro a lui sconosciuto. Se la dovrà vedere con la capa, giovane donna in carrierissima con figlioletta e marito relegato (per carità, per sua scelta, mica costretto! ci tiene a far sapere la femminista Meyers) a fare il casalingo e il mammo, e ormai schiava di quella vendita online da lei fondata e che adesso per il troppo veloce successo le sta scappando dalle mani costringendola a una vita infernale. Sulle prime il veterano Ben non le piace niente, lo usa tutt’al più come lacché per farsi portare in tintoria camicie e tailleur (e qui gli echi di Il diavolo veste Prada son chiari e forti, con Anne Hathaway che là era la sottomessa e qui passata invece a far la soprastante; solo che di quel film non c’è il cinismo, la perfidia, e la sua Jules, così bizzarramente si chiama il personaggio, non è una stronza, anzi è un pezzo di pane solo qualche volta sgarbata per via della troppa pressione cui gli affari la sottopongono). Poi ovviamente la strana coppia (professionale) si fa inseparabile. Per via della sua esperienza di vita e lavoro Ben diventa indipensabile, a lei e a tutta la crew di ragazzi della startup, fino a impiantarsi nell’azienda come un riferimento per tutti, e Ben di qua e Ben di là, e dammi una dritta tu che sei un gentleman navigato su come riconquistare la mia tipa e su come mi devo vestire che ci ho un evento importante. Naturalmente Ben ficcherà il naso anche nelle private cose della padrona scoprendo che il marito la cornifica, e qui son consigli  e conforti tipo “cara, non devi vedere il tradimento di lui come la contropartita al tuo successo” e l’immancabile, osceno “non ti devi sentire in colpa” (a chi per primo si è inventato questo mantra del narcisismo di massa che ormai ci appesta da decenni dovrebbe essere comminata la pena capitale tra le peggio torture). Tutto si risolve, tutto si dissolve in una nuvola rosa cipria in questo Lo stagista inaspettato. Tutto, naturalmente come si usa dire, dalla parte delle donne, tutto un viva il potere femminile, con gli uomini a far da cortigiani o cavalier serventi o da casalinghi o, come nel caso dello stagista Ben, a fare lo zio vecchio e adorabile. Anche un bel po’ Mary Poppins e Mrs. Doubtfire, perché dove tocca lui tutto torna prodigiosamente al posto suo, tutto si sistema. Che una mattina il Ben perfino si alza alla sei per arrivare in ufficio, pardon al loft, prima di tutti gli altri e liberare quel tavolo da pacchi e cartacce affastellati che tanto disturba la sua capa. Certo, ogni tanto negli occhi di DeNiro balenano guizzi omicidi che lasciano intravedere i suoi vecchi personaggi di padrini e picciotti e goodfellas, e allora speri che metta finalmente mano alla pistola. Ma non succede.


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