Recensione| Marvel’s Agent Carter – 1X01-02

Creato il 13 gennaio 2015 da Parolepelate

Definito come un “rimpiazzo di lusso” durante la pausa di Agents of Shield, Agent Carter è anche il primo prodotto del Marvel Universe ad avere come unica protagonista una donna. E decide di farne un marchio di fabbrica.

“Peggy, relax. War’s over. We’ll handle the rough staff.”

La guerra è finita e ci si aspetta che le donne ritornino al loro posto. Dopo aver sperimentato una realizzazione anche professionale, loro non sono tanto entusiaste di tornare a fare gli angeli del focolare. Nella serie, vediamo non solo Peggy che soffre per il ruolo da simil-segretaria a cui è rilegata nell’ufficio dell’SSR (Strategic Scientific Reserve, una sorta di antenato dello Shield) ma anche Colette che teme di essere licenziata come le ex-colleghe rimpiazzate dagli uomini di ritorno dal fronte e Angie che lotta per la propria indipendenza economica con esplicita insofferenza per la vicina di casa troppo fragile per sostenersi da sola. Il setting pertanto mette in netta contrapposizione il mondo maschile e quello femminile, soprattutto la protagonista, anzi, nel primo episodio le battute pseudo-machiste dei colleghi sono talmente tante che credo gli sceneggiatori abbiano un po’ esagerato.

Ma cosa succede in questi due episodi? E’ il 1946 (l’anno del voto alle donne in Italia, tra l’altro) e Peggy Carter continua il suo lavoro per l’SSR, dove si ritrova a essere una completa outsider: l’unica donna, per di più neanche americana. Contattata da Stark senior (quanto lo amo!), che ha subito il furto di alcune tecnologie belliche pericolose messe in vendita al mercato nero e ora è accusato di tradimento dal Congresso degli Stati Uniti, decide di aiutarlo a scagionarsi scoprendo chi è il vero colpevole. Per aiutarla, Howard fornisce nientemeno che il maggiordomo di casa Stark, Edwin Jarvis. Abbiamo così un’eroina d’azione (da film di spionaggio in costume, con tanto di gadget) e un sidekick uomo un po’ imbranato quando si tratta di fare a pugni ma in grado di rivelare doti nascoste che vanno al di là del servire un perfetto Martini o del difendere l’argenteria.

Ironicamente, il rossetto al sonnifero si chiama Sweet Dreams (ha anche un bel colore, molto femme fatale), inoltre vediamo Peggy procurarsi l’occorrente per disinnescare una bomba rovistando tra i detersivi e armeggiando con pinzette e bottigliette di profumo.

Peggy è più sveglia, più abile e in generale migliore nel suo lavoro degli uomini che la sottovalutano: questo funziona, per ora, perché dopotutto è la protagonista lei ha avuto sia un’addestramento migliore che più esperienza sul campo. Spero comunque che lo show non si affidi ancora troppo allo schema Peggy-viene-sottovalutata-ma-è-quella-più-in-gamba. Nel secondo episodio, in effetti, sembra che i suoi colleghi comincino a rendersi conto che l’Agente Carter ha qualcosa di più di un bel faccino su cui contare. L’unico che prende le sue parti fin dall’inizio è l’agente Daniel Sousa, reduce di guerra che ha perso una gamba ed è appena meno emarginato di lei. Inoltre è anche l’unico ad avere un po’ di caratterizzazione, degli altri non ricordo neanche i nomi, tanto che ho finito per riferirmi a loro come a “il capo”, “lo scemo”, “Chad Michael Murray”.

A parte il sottotesto “sociale”, Agent Carter è soprattutto una bella serie d’azione che intrattiene sia durante indagini, momenti di suspance e scazzottate che con l’ironia e l’umorismo (spesso molto sassy). Personalmente, l’ho apprezzata più dei primi episodi di Agents of S.H.I.E.L.D. Naturalmente la costruzione dei personaggi è più semplice quando si ha un singolo protagonista ma ho trovato superiore anche la recitazione (James D’Arcy è un ottimo Jarvis, Hayley Atwell mi è piaciuta tantissimo, Enver Gjokaj ha carisma da vendere e anche Lyndsy Fonseca mi sembra abbia fatto un’ottimo lavoro). Inoltre la serie si regge sulle sue gambe senza aver bisogno di riferimenti ai film o di guest star d’eccezione per attirare un po’ d’attenzione. Le due serie hanno in comune la presenza di un misterioso villain dal nome esoterico (qui i Leviatani, presumibilmente non quelli di Supernatural) e praticamente nient’altro, fino a questo punto.

Bella la colonna sonora “d’epoca”, che aggiunge ironia anche ai momenti più intensi e brillante l’invenzione dello sceneggiato radiofonico su Capitan America e Betty Carver, la donzella in difficoltà, contrapposto alle scene d’azione dell’Agente Carter e al suo sguardo insofferente ogni volta che si ritrova suo malgrado a doverlo ascoltare. Non mancano gli Easter Egg nascosti, voi quali avete scovato?

Questa sera andrà in onda negli Stati Uniti il terzo episodio, Time & Tide, io non me lo perderò sicuramente e voi?

Ringraziamo: TelefilmSeries.Com | Diario di una fangirl. | Telefilm. ϟ


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