Sinossi:
Circondate da un'aura romantica e misteriosa, le geishe hanno spesso esercitato sugli occidentali un'attrazione quasi irresistibile, amplificata dalle leggende che circondano la loro esistenza. Come e perché si diventa geishe? In quale modo le fanciulle vengono istruite? Quali sono i rituali e le "abilità" da apprendere? A queste domande risponde il racconto in prima persona di una geisha, Sayuri, attraverso le complesse, affascinanti tradizioni giapponesi e l'intima essenza, il significato più profondo, nel bene e nel male della vita della geisha. E benché Sayuri racconti la sua storia con la pacata saggezza di chi ha ormai percorso gran parte della vita, la sua voce tesse una trama precisa e vivida, permettendo di entrare in un universo al contempo splendido e crudele.
Un romanzo che si finge storia vera
Avevo iniziato questo libro con le più rosee aspettative: la quarta di copertina e le sue “alette” mi avevano incuriosito, la “nota del curatore” mi aveva subito emozionato con la scelta di Sayuri di consentire la pubblicazione delle sue memorie solo dopo che sarebbe morta lei e tutte le altre persone coinvolte, poi si accenna che “fu costretta a emigrare negli Stati Uniti”, il che mi aveva subito portata a chiedere cosa mai le fosse successo... Cominciano i capitoli, narrati in prima persona dalla protagonista, e per me erano già lacrime: la madre gravemente malata, il padre anziano che lavora duramente per mantenere quella che è una famiglia povera che vive in una casa diroccata, ribattezzata da Sayuri, “ubriaca”. Ma queste sono solo piccolezze in confronto a ciò che accade dopo: Sayuri e sua sorella maggiore, Satsu, trascorrono una giornata nella casa del signor Tanaka, un uomo per cui Sayuri stravede, e che dalle sue parole ne intuisce l’intenzione di adottare lei e Satsu dopo la morte della madre; Sayuri non capisce perché le faccia visitare da una vecchia dai modi bruschi, ed è ancora lontana dalla verità persino quel giorno, quando egli le fa caricare su un treno per Kyoto e lì le abbandona, nelle mani di un losco figuro che non dice nulla a riguardo. Le aspettative deluse, l’allontanamento dalla famiglia senza nemmeno un saluto, la separazione forzata dalla sorella... tutto questo per essere venduta a un “okiya”; la casa delle geishe. Forse il signor Tanaka aveva agito pensando che fosse davvero la scelta migliore per le due sorelle, prossime a rimanere orfane, e aveva visto del potenziale negli occhi grigio-azzurri di Sayuri (come ovvio, insoliti per una giapponese), ma d’altra parte condanna la ragazza a vivere per ripagare l’okiya dell’enorme debito dovuto al suo mantenimento, dall’acquisto (anche se dovrebbe essere un investimento) alle spese per la sua istruzione; le geishe sono artiste che suonano, danzano, versano il té e intrattengono gli uomini secondo un preciso “rituale”. All’inizio, Sayuri pensa solo a fuggire e a ritrovare la sorella, cosa che le costa la punizione peggiore, ossia, l’essere bandita dalla possibilità di diventare geisha, destinandosi a una vita da domestica; la povera Satsu se la passa persino peggio. Fare la domestica equivale a vivere una vita di stenti e Sayuri sembra essersi rassegnata, almeno fino al giorno in cui incontra un uomo, l’unica persona che le mostri un po’ di compassione – nell’okiya è anche bersagliata dalla perfida geisha Hatsumomo, l’unica vera geisha dell’okiya, pertanto, colei che mantiene la struttura – ossia il Presidente della Iwamura Elettrica; Sayuri, vedendolo in compagnia di una geisha, pensa che anche a lei piacerebbe intrattenere un uomo gentile e affabile come lui. Da qui, la decisione e la battaglia personale per diventare una geisha.
Dovevo essere a tre quarti del libro quando mi capitò, per caso, di leggere i ringraziamenti alla fine: “Memorie di una Geisha è un romanzo e il personaggio di Sayuri e la sua storia sono frutto della mia immaginazione”; rimasi sconvolta. E’ facile che si crei un equivoco del genere quando nella trama si legge: “l’emozionante semplicità e la straordinaria immediatezza di una storia vera”, oppure, come dicevo all’inizio, quella “nota del curatore”, anche se il nome di Jakob Haarhuis, docente di storia giaponese New York University, lo avevo confrontato col nome dell’autore del libro e non capivo perché non ci fosse corrispondenza (ho controllato e ci sono cascata lo stesso!), inoltre, Sayuri non fa che menzionare date e persone come se fossero fatti reali, ma, dopottutto, basta già il termine che da il titolo al romanzo, “memorie” a trarre in inganno, perché con quella parola si pensa automaticamente che si tratti di qualcosa di vissuto. Forse non sarei rimasta delusa se ci fosse stato scritto “questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti e persone e puramente casuale”, ma se non compare questa dicitura c’è un motivo: cercando su Internet ho scoperto che la geisha menzionata dall’autore nei ringraziamenti, Mineko Iwasaki, ha denunciato lo stesso per diffamazione; in questo romanzo sembra esserci un bel po’ della sua vita! Iwasaki-san sostiene anche che l’autore, con la sua opera, abbia erroneamente ritratto le geishe come delle prostitute di lusso, per cui ha pubblicato un libro, quello delle sue memorie, quelle vere: “Storia proibita di una geisha” (Newton Compton). Inutile dire che lo leggerò per avere un chiarimento sulla figura delle geishe, e per la curiosità di sapere quanto “Memorie di una geisha” abbia preso dalle pagine della sua vita. Il fatto che su Internet abbia letto che non sono l’unica ad aver frainteso è una magra consolazione. Forse lo è piuttosto il fatto che l’abbia scoperto molto prima della fine della lettura. C’è da dire, però, che è scritto in prima persona, dal punto di vista di una donna, per di più, di una cultura molto diversa da quella americana, per cui, se in tanti abbiamo creduto davvero che fosse Sayuri a parlare, allora Arthur Golden è un ottimo scrittore. O meglio, ha un ottimo stile, è bravo a scrivere. Non si può dire altrettanto riguardo la storia: mi sembrava troppo lineare, troppe coincidenze perfette per essere vere tanto che dubitai che fossero create a tavolino; cosa che è realmente così. Una cocente delusione perché mi ero affezionata a Sayuri, mi piaceva il suo modo di parlare e la sua arguzia, i buffi paragoni e le poetiche similitudini, o ancora, le massime sulla vita. Sarà forse per questa delusione generale, ma il finale non mi è piaciuto: scontato come le coincidenze nella storia di Sayuri.
In conclusione, un romanzo che si legge bene e scorre veloce, realmente piacevole da scoprire attraverso le parole della giovane Sayuri, tenendo presente, però, che le memorie sono “solo” ispirate (in parte) da una storia vera. Preso come una favola, il voto potrebbe salire di una stella in più.
Importante: ho appena notato che la sinossi del libro nella nuova edizione, pubblicata da TEA, è diversa; c'è scritto esplicitamente che è un romanzo frutto di una documentazione da parte dell'autore!
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