Magazine Cultura
La recensione
Io non sono un capolavoro. Sono solo un gran casino. Un muro imbrattato di vernice. E' bastato un secondo, il lampo di un'occhiata veloce, per capire che Muses sarebbe stato un terremoto nel panorama dell'urban fantasy. Una scossa sismica in grado di far cadere, dai loro posti privilegiati, tomi con in copertina canini sfoderati in baci di sangue e granelli di polvere di fata. Una scossa in grado scavare una frattura a forma di chiave di violino, nella quale, la terra che trema al ritmo di una melodia furiosa, ha scritto a lettere dorate il nome di un autore che, per affrontare la sua opera più sofferta e complessa, deve aver trovato la sua, di musa. Ha scavato, si è sporcato le mani e, nascosta sotto macerie di disperazione e sofferenza, seguendo quel canto di aiuto che nella sua mente ha arso intere notti insonni, ha trovato la sua protagonista, la prigioniera della sua fantasia che, dopo anni di lavoro, ha visto la luce e incontrato gli occhi dei lettori. L'ha trovata come si fa con un cucciolo affamato sepolto sotto la valanga di rifiuti di un cassonetto. In un luogo senza speranza. Sola, spaventata, sporca, aggressiva, con gli artigli sfoderati e la bocca spalancata, che, in realtà, vorrebbe soltanto chiudersi in dolci fusa. Si chiama Alice De Angelis. E, statene certi, non ha nulla in comune con le giovani donne di cui abbiamo spesso letto. Non ha peli sulla lingua, amore da offrire, un futuro radioso in cui sperare.
La sua violenza fa male, e fanno male le sue parole e i segreti del suo cuore silenzioso. A vent'anni, è intrappolata in una tortura cinese a forma di passato. Sul suo corpo si sono moltiplicati i tatuaggi, sulla sua pelle i lividi. La sua identità è stata seppellita sotto costellazioni di piercing e il vero colore dei suo capelli è un mistero ormai dimenticato. Ma la bambina sperduta che è stata un tempo continua a vivere dietro le apparenze - in un mondo abitato da mostri che hanno il viso del tuo stesso padre, in cui la verginità si perde a quattordici anni, e l'innocenza anche prima, e in cui il primo bacio ha il sapore di una pinta di birra e di paio di canne. Non esistono favole, non esistono principesse. Non esistono lieto fine. Questo degrado, reso con una scrittura affilata che scorre tra il violento e il poetico, rende il romanzo, nella prima parte, un coacervo di ombre oscure e - emozionato e commosso - ho pensato immediatamente all'adolescenza spezzata descritta dalla compianta Chiara Palazzolo nella trilogia di Mirta/Luna: quando gli adolescenti muoiono di overdose, le relazioni durano l'arco di una notte, la pioggia schizza come proiettili di dolore e il disagio e il caos trovano il loro riflesso su un pezzo di carta. Ha ragione, non importa se sono un Angelo Oscuro o una Musa. Un'assassina o una bambina. Una roccia indistruttibile o una foglia calpestata. Non importa se sono una santa o una puttana. Perché ognuna di loro è un pezzo di Alice. I paesaggi delle borgate romane, cedono il passo, nella seconda parte, agli splendori londinesi. La disperazione, pianta assieme alle lacrime ai piedi di una tomba spoglia, fa germogliare una gemma verde speranza. Un nuovo inizio o l'inizio della fine? E così, Muses si colora delle intense sfumature del fantasy. Sfumature intense e vivide, ma non tanto da offuscare, fortunatamente, lo spirito iniziale di un'opera scritta magistralmente e partita con la quarta ingranata. Giunti a questo momento, infatti, mi è sembrato che il romanzo si stesse perdendo nelle tipiche strutture del genere e che la nuova identità dell'Alice alle prese con nuove consapevolezze e abilità fosse di gran lunga meno intrigante di quella rinnegata in un baule di ricordi ancora sanguinanti. Una scoperta impensata, un' eredità segreta, una zia lontana, un labirinto di inganni in cui perdersi. Le splendide descrizioni usate per riesumare la bellezza sfiorita di villa Evans fungono anche da avvolgente corollario per le scene di un allenamento fisico e spirituale che, anche se scritto notevolmente meglio, ha finito per riallacciare i miei pensieri alle avventure, certamente meno memorabili, delle protagoniste di Switched e Starcrossed.
Un senso di déjà vu ha accompagnato, quindi, la lettura di queste pagine, ma la curiosità crescente di proseguire mi ha fatto da stimolo, accompagnandomi in una serie di colpi di scena e di depistaggi in cui la verità è diventata fragile e tagliente come un vetro rotto in mille pezzi. Buoni che diventano cattivi, cattivi che diventano buoni, amori estremi che si rivelano eterne promesse. I pochi personaggi maschili scompaiono nell'aura di questa prima donna. La luce dei riflettori illumina solo lei – anima, voce e rabbia in uno spettacolo di struggente intensità. Lei, un violino in spalla e un timbro in grado di piegare gli animi, è l'erede di Euterpe, Musa della musica. Alice, però, si scopre parte di una famiglia in continua espansione che, nel mondo dei Social Newtork e dei Blog letterari, conserva solo poche delle caratteristiche possedute dalle nove, eteree fanciulle che, nell'antica Grecia, dimoravano sul monte Elicona. Braccate dai Pragmatici e bramate dagli Eclettici, sono le pedine decisive in una battaglia combattuta tra sparatorie e sottili sotterfugi; in palio: il destino degli uomini. Lourdes, una Lisbeth Salander tutto pepe, è la musa della Net-Art – punto fermo nella vita della protagonista che, per la prima volta, sente il sostegno di un'amica. Patricia, invece, è la viziosa Musa dell'Arte.
Tra paillette e note disco, entra in scena in corsetto di pizzo e perizoma, predicando l'amore libero e districandosi in feste in maschera alla Eyes Wide Shut, su uno scenario di psichedelico e lento erotismo degno dei film di Brian De Palma. Più abituata a stare sui rotocalchi che nei libri di storia greca, è a metà strada tra Lady Gaga e Madonna e in sé ha lo spirito dell'intero romanzo. Teatrale e suggestivo.
La forza spaccacuore di alcune immagini rimarrà a lungo con me.Una stronza incazzata con la vita che, merito della magia di un musical Disney, si scioglie davanti al bacio che suggella l'agognato lieto fine. La stessa ragazza infelice che, venduta la sua dignità e il suo corpo al migliore offerente, trova tracce della sua identità negli occhi vitrei del coccodrillo Bolak – un peluche decapitato e rattoppato grossolanamente che, per me, rappresenta alla perfezione la paura e il bisogno di Alice di amare e lasciarsi amare. Un canto tanto magico da far fiorire un giardino, spegnere il sole e rendere il più duro degli uomini un gentiluomo che ti porge una margherita delicata. Il futuro scritto nel libro di Dolores che, a un passo dalla fine, si concretizza, smuovendoci dalla convinzione che, negli ultimi capitoli, non si trovino mai sorprese memorabili. Complessivamente, Muses prende le distanze dal genere e, ricadendo di tanto in tanto nelle stesse trame, finisce per non apportarvi nulla di nuovo. Come cantava Gianni Morandi in uno dei suoi più celebri successi, anche “questa musica leggera” ha un peso e il peso lacerante e greve delle parole di Francesco Falconi si avverte nella sua ingombrante interezza in ognuna delle “sudate” pagine che compongono il suo ultimo lavoro. Conferisce la perduta dignità al genere fantasy e ce ne mostra aspetti e situazioni che avevamo lasciato sotto il cumulo di buoni sentimenti e cliché - presenti nell'ultimo, annunciato caso editoriale. Questo, è un romanzo che ha la bellezza pura e indomabile delle cose imperfette. Scorre sinuoso e rapido, ma lascia echi che continuano a ridondare. Ha la capacità di renderti insicuro per poi sorprenderti continuamente. L'effetto che si prova ascoltando un cantante la cui voce tremante, molto probabilmente, non riuscirà a raggiungere mai le note alte di un intramontabile canzone da repertorio. Eppure ci riesce. La voce diventa più forte, i vibrati più sicuri, le gambe meno molli. E ogni acuto è preceduto da un brivido costante e da un dubbio onnipresente. Riuscirà la sua voce a volare dove osano le aquile? Ci riesce. Ancora. E ancora..Quella voce l'ho sentita nitidamente intonare Dark Angel. Le pagine, come uno spartito, mi hanno mostrato la melodia e il cristallo della voce della leader degli Evanescence e il fuoco di quella degli Skunk Anansie si sono uniti - nel mio immaginario - fino a far risuonare il grido potente e ancestrale di Alice. Nel finale, quel grido potrebbe confondersi col nostro e sovrastare il martellare perpetuo dei bassi. E lo scandire del conto alla rovescia che ci separa dalla seconda impresa di questo Cigno Nero dall'inestimabile canto. Il mio voto: ★★★★Il mio consiglio musicale: Skuns Anansie – Because of you
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