Dante è Dante è se le cose stanno così un motivo ci sarà. Perché, a volerla mettere in termini semplicistici, tagliando e incollando, arrivando a fare i sempliciotti che sintetizzano e si ostinano a vedere le cose da una prospettiva stretta (ma in un certo senso persino più concreta), Dante Alighieri ha scritto il primo vero capolavoro horror della storia. Forse l'unico, a conti fatti. Perché nella Divina Commedia ci sono tutti gli ingredienti giusti tra mostri, demoni, torture, fantasmi (?) e persino una certa dose di splatter. Dannazione e salvezza, rinascita e perdita, redenzione e oblio, storia e leggenda, politica e intrattenimento. Ed era il 1300, ed era un poema in volgare e la sicurezza (a posteriori) che niente sarebbe stato più lo stesso.
Per questo è altri mille motivi Dante e la sua Commedia sono stati saccheggiati a oltranza, spesso senza cognizione di causa, da cinema e altra letteratura. Tra l'altro me lo aspetto - me lo sono sempre aspettato - un rifacimento, in chiave horror di questo capolavoro della letteratura mondiale (nostro, perché un tempo gli italiani lo sapevano fare meglio) sperando che qualcuno non l'abbia già fatto e che io non me lo sia perso perché, sono sicuro, si tratterebbe di un qualcosa di epico e inguardabile allo stesso tempo. Ma, dicevo, si tratta di topoi affermati, che Dante allo stesso tempo aveva preso e traslato ma che sono divenuti con lui prassi quasi accertata.
IL FILM
Per azzaccare il film giusto bisogna prendere i giusti elementi e combinarli insieme nel modo migliore, ma anche questo a volte non basta. Certamente se sei un regista che sa quel che si deve fare e, soprattutto, come farlo, allora la strada è tutta in discesa. Se la produzione ti appoggia e i collaboratori sono professionisti, anche. Che la sceneggiatura sia scritta bene conta ma (nell'horror) abbiamo visto spesso come non conti poi così tanto, che la location sia quella giusta è un bel vantaggio. Ecco, la location. Un horror coi controcazzi è in grado di sfruttare la location e di trasformare un punto di forza in una carta vincente, ma un horror mediocre con una gran location si riesce a salvare in corner se la location è davvero grande. Questo è il caso di Necropolis - La città dei morti, film del 2014 frutto dell'ennesima collaborazione tra il regista John Erick Dowdle e il fratello sceneggiatore Drew. Due di cui ho già parlato poco tempo fa (andatevi a leggere la recensione di The Poughkeepsie Tapes), due che non sono di certo il punto di riferimento per l'horror contemporaneo, due che non sanno fare di certo grandi film. Eppure Necropolis, che nella sua mediocrità è un film da poco, sfrutta il punto di forza dell'ambientazione più qualche altro asso nella manica e riesce a non scivolare nel baratro del becero.
Scarlett è una giovane archeologa che, per far avvereare il sogno/ossessione paterno, decide di scendere nelle misteriose e spaventose catacombe parigini alla ricerca della Pietra Filosofale. Ad accompagnarla il cameramen Benji, l'amico George e un gruppetto di francesi spericolati. Ma il viaggio nelle catacombe sarà anche un viaggio in loro stessi e nell'orrore... un viaggio all'inferno.
Necropolis - La città dei morti è l'ennesimo mockumentary. Eppure bisogna ammettere che le pretese di veridicità di un film come questo sono minime, se non nulle. Sembra quasi che John Erick Dowdle, già padrone del genere dopo il su citato The Poughkeepsie Tapes e Quarantena, avesse deciso di fare a meno di trucchi e lazzi e di puntare tutto sul mockumentary in quanto tecnica di ripresa: a lui non frega nulla di far passare il film per un qualcosa di veramente accaduto, a lui interessa trasformare il film in un grande videogioco a metà strada tra Tomb Rider e Silent Hill e, con ogni mezzo possibile, di far paura. E ci riesce, in taluni momenti, quasi mai avvalendosi dei classici "buuuu" telefonati (cosa non da poco) e avvalendosi invece del fascino delle catacombe parigine, uno dei luoghi più spaventosi del mondo, una serie di cunicoli risalenti al 1800 lunghi più di 100 Km e che ospitano le ossa di più di 6 milioni di persone. Un luogo che di per se fa paura ma che, attraverso l'espediente mediatico, diventa insopportabile e claustrofobico. L'inferno, nudo e crudo.
Quando parliamo di inferno, inutile raccontarci storie, il primo che ci viene in mente è quello dantesco. Niente di male: siamo italiani e l'abbiamo studiato a scuola, è quello per noi - culturalmente - il posto dove vanno i cattivi dopo la morte. Io credo che anche i fratelli Drew, però, abbiano letto Dante. Altrimenti non si spiegherebbe quel continuo riferimento alla legge del contrappasso, quei riferimenti linguistici ("Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate"), quel viaggio verso il centro della terra per poi uscire in un mondo al contrario, con prospettive ribaltate, che però è sempre lo stesso. Non che la Commedia sia l'unico riferimento, perché c'è un po' di tutto in questo Necropolis: il mondo videoludico, il The Descent di Neil Marshall, Rec 2 e Quarantena (appunto) per arrivare a Lovecraft, Doctor Who, l'alchimia e Paracelso, la metafora dello specchio, il tema della follia come riflesso delle proprie colpe e paure. Un calderone di immagini, intuizioni, riferimenti e citazioni. E poi nessuno mi toglie dalla testa che una cosa simile nella sua diversità l'aveva fatta - forse pure meglio e con molto meno - il friulano Lorenzo Bianchini nel 2001 con Radice Quadrata di Tre (Lidrîs cuadrade di trê). Senza voler insinuare niente.
Ed ecco che, proprio nel suo essere calderone di tante cose, Necropolis - La città dei morti si perde. Perché quel che succede in quelle catacombe, sottoterra, diventa meno chiaro man mano che il tempo passa e il film va avant. Quando tutto si fa confuso, addirittura superficiale, certamente incoerente. Colpa anche di attori cani, delle riprese traballanti o di una sceneggiatura appena abbozzata, sbagliata fino al finale lieto e sbrigativo che mal cozza con tutto il resto. Sarebbe bastato così poco per risollevare il film, un ultimo colpo di reni coraggioso che però non arriva, e non è la prima volta. Le intuizioni ci sono, le belle idee non mancano e in certi momenti l'ansia è difficile da sostenere, serpeggia per tutto il film ma stritola quando è giusto che sia. Basta il volto truccato di una sacerdotessa di chissà quale culto blasfemo a far venire la pelle d'oca o le ossa ammucchiate fin su a costruire un muro. Ma poi, quando si tratta di dar corpo al film, di far vedere la spina dorsale, il castello di suggestioni conturbanti crolla. O rimane lì, nella sua incompiutezza visionaria. Ed è questo che dispiace di più.
CONCLUSIONI
Necropolis - La città dei morti non è un film brutto nella comune eccezione del termine. E' non è un film bello. Necropolis è un film che pecca su molti livelli: scritto male, recitato peggio, che chiede troppo e non riesce ad ottenere tutto quel che vuole. Forse per presunzione o per mancato coraggio, certamente per incapacità a livello di script. Eppure è un film "fascinoso", con intuizioni interessanti, una certa dose di visionarietà e un'ambientazione da