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Titolo: Nell'angolo più buio Autrice: Elizabeth Haynes Editore: Giano Numero di pagine: 445 Prezzo: € 12,90 Sinossi: È un venerdì sera del 2003, a Lancaster. È Halloween e i bar in città sono pieni come calderoni straripanti. Vestita da sposa di Satana, con scarpe di seta color ciliegia e un abito di satin rosso aderente con cui ha già rimediato più di un palpeggiamento nei bar dove si è rifornita di sidro e vodka, Catherine Bailey entra al River, l'ennesimo club della serata. Per stare dietro a Kelly, una tizia incontrata al bancone di un bar eccentricamente vestita come una strega senza scopa, punta verso il prive. Bloccata da un muro in abito color carbone, solleva lo sguardo e incrocia due incredibili occhi azzurri sormontati da capelli corti e biondi. È il colpo di fulmine per Cathy, l'incontro che pone fine alla sua spensierata esistenza di ventiquattrenne single attratta dai tipi di una notte soltanto, di cui non ricordare nulla, nemmeno un dettaglio, perse, come si è, nei fumi dell'alcol... È un giorno del 2008, a Londra, quando Catherine Bailey si accinge a uscire da casa. Tira le tende del salotto e della sala da pranzo lasciando la solita apertura, passa e ripassa la mano sul telaio delle finestre per verificarne la chiusura, controlla che la maniglia della porta sia girata sei o, meglio, dodici volte. Deve essere precisa, perché se trascura una sola piccola cosa, se sbaglia di un solo centimetro nel sistemare, per esempio, le tende, occorre ricominciare daccapo. La recensione
“Voglio non essere più vittima, di me stessa, o di chiunque altro. Ho bisogno di diventare più forte, per affrontare le cose brutte che ci riserva la vita. Ho bisogno di riprendere il controllo.” Storie di ordinaria violenza domestica riempiono le colonnine grigie dei quotidiani, i salotti fasulli dei talk show, la cronaca nera, gli ospedali. Le donne che, in lacrime, parlano delle loro storie da incubo sembrano apparentemente tutte simili, figlie dello stesso dolore e madri degli stessi lividi violacei. Gemelle nella morte. Sono piccole, spaventate, indifese, schive, con le ossa fragili di un uccellino implume che, troppe volte, è stato sbalzato fuori dal nido da una forza superiore. La forza degli uomini. Chi assiste alla loro sofferenza dall'esterno vede tutto in bianco e nero, con i paraocchi che il suo comodo divano gli garantisce ogni benedetta volta. Gli spettatori o i lettori si ripetono che non tutti gli uomini sono potenziali carnefici e che non tutte le donne sono potenziali vittime, che c'è sempre una scelta. Le spettatrici o le lettrici, invece, assistono alle confessioni mormorate da quei resti sanguinanti di donne e, con la loro bella laurea appesa al muro, con i loro capelli freschi di parrucchiere e con una città civilizzata ed evoluta che romba fuori dalle finestre, sono sicure che a loro quello non succederà mai: perché hanno cultura, non vivono nella desolazione della provincia, hanno rispetto per loro stesse. Farsi picchiare non è da loro. Si commuovono per quelle donne ferite nel corpo e nell'anima, firmano petizioni per combattere le scariche di calci e pugni che hanno ricevuto spaventosamente a lungo tra la camera da letto e la cucina, ma, come rivela una giornalista inglese che prima di me ha recensito il grandioso esordio di Elizabeth Haynes, sono fermamente convinte che quella drammatica sorte non toccherà anche a loro. Nei panni delle vittime, loro che hanno studiato e conoscono le leggi a menadito, denuncerebbero immediatamente le violenze del loro compagno. Non si farebbero schiacciare. Come sempre accade, più di conferenze e servizi alla TV, basta un buon romanzo per mettersi dall'altra parte: nei panni di chi non ha potuto scegliere di essere libero. Di chi non aveva pianificato che il suo matrimonio sarebbe sfociato nel rosso del sangue caldo e non delle rose appena colte. Di chi, come la donna in ombra sulla copertina, con le ginocchia strette e le mani tremanti, si è reso conto troppo tardi del mostro in incognito che dormiva dall'altro lato del letto. Nell'angolo più buio racconta la storia di due donne che, in realtà, sono la stessa persona. O, almeno, così era un tempo.
Cathy Bailey, la protagonista assoluta del romanzo, è morta e rinata nell'arco di un paio d'anni soltanto. Tra la vecchia e la nuova lei, un abisso buio che ha gli occhi di ghiaccio di Lee Brightman. Vedendola adesso, la noteresti a stento per strada: capelli cortissimi, vestiti monocromatici, occhi bassi, fianchi spigolosi. Ha paura dei rumori improvvisi, degli estranei, degli uomini. I colleghi parlottano tra loro; fanno commenti sessisti e sospettano che, androgina com'è, sia segretamente lesbica: ecco spiegato il perché rifiuti ogni avance e qualsiasi invito a cena. Tre anni prima era un'altra donna. Bella e seducente, sicura di sé e sfrontata, amava i colori accesi e il sesso occasionale, fare le ore piccole e andare in giro per night con le sue amiche. Era un sensuale e fiero animale notturno; poi un amore sbagliato l'ha messa in gabbia, riducendo le sue ali di seta scarlatta a brandelli. Il suo personale cacciatore aveva le spalle larghe e i capelli biondi, i denti perfetti e la pelle olivastra anche nel bel mezzo dell'inclemente inverno londinese: era un agente di polizia. Cathy ha dovuto sopportare una serie infinita di torture fisiche e psicologiche prima di vederlo dietro le sbarre, ma la Giustizia ha parlato in fretta e ha detto che tre anni di carcere, per Lee, bastano e avanzano. Presto sarà un uomo libero. E Cathy sa che tornerà per lei, seguendo la scia della sua paura che cresce.
Elizabeth Haynes firma un'autentica storia del terrore. Un thriller a tinte fosche che ti inchioda alla sedia, ti rende cieco per la rabbia, ti fa orrore. Puzza forte di violenza e urina calda - perché nessun detersivo può combattere certe macchie e nessuna medicina può cancellare certi traumi – ma non è totalmente senza speranza. Sprizza forza e voglia di vivere da tagli ancora non rimarginati e, a piccoli passi, prende le distanze dall'angolo più buio del titolo. La protagonista si è ammalata della terribile malattia dei ricordi e guarire in un solo giorno non è possibile, se non si vive in un film horror con un consolatorio lieto fine. Il film di Cathy non ha ancora avuto fine del tutto: il portone spalancato, un'ombra in un vicolo, un vecchio bottone ritrovato nelle tasche dei jeans o i cassetti della cucina messi a soqquadro potrebbero farla piombare, da un momento all'altro, nel temuto sequel che, al solo pensiero, la fa tremare come una foglia. Nella seconda parte del film che non vorrebbe vedere. Tenere le cose sotto controllo l'aiuta, anche se ai suoi traumi si è aggiunto un maniacale disturbo ossessivo-compulsivo che l'ha resa schiava ancora: non di un uomo, questa volta, ma di sé stessa. Controllare per sei volte che le porte e le finestre siano perfettamente chiuse è bene. Prendere il tè alla stessa ora e non uscire di casa nei giorni dispari è tranquillizzante. Evitare gli spazi chiusi, la folla e gli abiti rossi è necessario per respirare. Ancora più disturbante che leggere degli stupri a cui venne sottoposta, dei tagli che le furono inflitti, della sua prigionia forzata presso il suo stesso appartamento, più inquietante ancora, è vedere il modo in cui un solo essere umano può ridurne un altro, diventando il suo Dio e rendendolo vittima delle sue stesse fobie. La descrizione minusiosa e reiterata delle ossessioni delle protagonista è da infarto ed è molto complicato stare al passo con i suoi pensieri. Non è una narratrice affidabile e, come nei migliori noir, fino alla fine, si ha un dubbio strisciante, ma del tutto umano. Si ci chiede a che punto si ci possa fidare di una ragazza tanto disturbata nel profondo. I cuori spesso vacillano, vedendola camminare tra le strade di un'Inghilterra piovosa e indifferente, in cui tutti i volti maschili – per un attimo – sono quello di Lee. In un mare di facce tutte uguali, in una stanza degli specchi in cui il nostro nemico ci fissa da ogni lato lasciato al buio, come sapere dove finisce l'incubo e inizia la verità? Come sapere se lui è lì insieme a noi, o si tratta soltanto di un flashback particolarmente vivido e violento? Di chi fidarsi? Elizabeth Haynes scrive il diario di una persona spogliata della sua dignità di donna, della sua vitalità di essere umano. Lo fa splendidamente, in una maniera lucida e secca che non lascia mai fuori il sentimento. Uno spiraglio piccino è lasciato per l'amicizia, per il lavoro ed i colleghi, per la scoperta di un nuovo amore che abita giusto al piano di sopra. Un amore giusto, sano; un amore vero, incarnato nella persona del gentilissimo Stuart - uno dei personaggi più affettuosi e disponibili di cui io abbia memoria, nella mia carriera di lettore, e di persona. Profondamente affascinate e malato è il personaggio di Lee, figura che, a prima vista, farebbe innamorare qualsiasi donna. Quasi l'Ufficiale Gentiluomo di Richard Gere, ma con la doppia e insospettabile vita del Christian Bale di American Psyco Un uomo crudele e sadico senza un perché, come ce ne sono tantissimi anche tra noi, che ricorda in maniera impressionante, nelle fattezze e negli atteggiamente, il noto Christian Grey e il prototipo di uomo ideale che tanti insulsi romanzi stanno spacciando, in maniera errata, per verità. L'autrice, con voce forte e chiara, urla a tutte le donne che no, quello non è amore: anche se dopo il primo pugno sferrato si chiede umilmente scusa. A differenziare questo romanzo dai vari Via dall'incubo e Attrazione Fatale c'è il fatto che il nero dell'inchiostro si mescoli in maniera omogenea e naturale con il nero della cronaca odierna. Non è un thriller fine a sé stesso, con colpi di scena annunciati e immagini da film hollywoodiano. E' ripetitivo, lento, faticoso, estenuante, spaventoso. Un romanzo scritto sul filo del rasoio, con un esemplare struttura ad anello e i nervi ben saldi di un'autrice dal sangue freddo. Paradossalmente, bello e orribile. Uno di quelli che apri con i brividi e chiudi con i brividi; però acuiti, raddoppiati... triplicati. Il mio voto: ★★★★ ½ Il mio consiglio musicale: Skin – Tear Down These Houses
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