Magazine Cinema

Recensione: ONIRICA – FIELD OF DOGS. Dalla Polonia un cinema arty molto anni ’60

Creato il 25 aprile 2014 da Luigilocatelli

1941359_227437670779402_789355106776314397_oOnirica. Field of Dogs, un film di Lech Majewski. Con Michal Tatarek, Elzbieta Okupska, Jacenty Jedrusik, Szymon Budzyk, Jan Wartak. Distribuzione CG.
1658276_221571001366069_1547699445_oDal regista del bruegheliano I colori della passione, un nuovo film debitore figurativamente (e non solo) al mondo dell’arte. Con in più ampie citazione della Commedia dantesca. Il tutto per raccontare il malessere, la crisi, i sogni, gli incubi, le visioni, i deliri di un uomo che ha perso in un incidente la moglie e il migliore amico. Sembra di ripiombare in certi film da cineforum di qualche decennio fa irti di simboli, metafore e criptomessaggi. Mah. Voto 5+
884449_227190574137445_2949569329320703161_o10273345_227436920779477_874337035888821773_o-1I colori della passione del 62enne polacco Lec Majewski fu da noi, un paio di anni fa, un piccolo caso, o se volete un piccolo miracolo. Perché quel film-sfida, che metteva in cinema un Brueghel dei più famosi, La salita al Calvario, riproducendone maniacalmente la composizione figurativa e i dettagli, in una sorta di fotocopia e clonazione e mimesi del cinema rispetto all’arte, raccolse l’ammirazione di molti spettatori italiani sempre in cerca di opere alte e massime e di livello culturale certificato, e raccolse anche qualche euro al box office. Qui a Milano tenne al Palestrina per un mese e mezzo, se ricordo bene, con gran gaudio delle mitiche, berselliane professoresse democratiche cui non pareva vero di avere a che fare con un film in grado di resuscitare i fasti e gli stupori (e i dibattiti) dei cineforum anni Sessanta. I colori della passione mi affascinò e avvinse moderatamente, lasciandomi se mai parecchio perplesso per la smaccata esibizione e profusione di Cultura (con maiuscola, certo). Non proprio il mio cinema, ecco. Adesso, qualche anno dopo, è arrivato questo suo nuovo Onirica, confermando, anzi intensificando, le perplessità di allora. Che dire? Majewski continua nel suo fare cinema come mimesi della pittura, rischiando sempre il debito, la derivazione, la subalternità ancillare. Anche se i riferimenti stavolta sono impliciti, e investono uno spettro iconografico amplissimo, compresi – mi pare – il simbolismo tra Otto e Novecento, e un qualcosa, mi pare, del surrealismo e di tutte la avanguardie storiche. Con tanto di abbondanti letture in voice over (di un attore italiano, Massimiliano Cutrera) di brani della Divina Commedia dantesca. E giù riferimenti e rimandi e citazioni e clin-d’oeils a Gustave Doré, ad aumentare il già elevato tasso di artisticità dell’operazione. E onirismi e viaggi nell’inconscio con relative materializzazioni in immagini per raccontare lo stato deprssivo e la mente sull’orlo del tracollo di un brav’uomo, un giovane uomo, di nome Adam, al quale proprio non riesce di elaborare il lutto per la doppia perdita in un incidente automobilistico della moglie Basia e del suo migliore amico Kamil. Con pure il ben noto senso di colpa del sopravvissuto, essendo lui uscito solo con una ferita longitudinale sulla faccia (e però parecchie più ferite dentro). Adam ha lasciato l’università dove insegnava poesia polacca (specializzato nella corrente chiamata Nuova Polonia) per lavorare in un ipermercato, dove frequentemente – e non solo lì peraltro – cade vittima di crisi di narcolessia. Sicché vive in uno stato di perenne alterazione della mente, sospeso tra sonno e veglia, e in preda a sogni, incubi, vision, deliri. Che consentono ovviamente a Majewski di scatenarsi in un crepitare immaginifico qualche volta efficace, molte volte greve e indigeribile. Penso alla donna col serpente, penso alla scena tremenda del padre contadino che passa con l’aratro tra i corridoi dell’ipermercato. Il tutto avvolto dalle parole dantesche, in un cinema sussiegoso – e un filo intimidatorio verso le spettatore – che si prende tremendamente sul serio e cui manca ogni traccia di levità. Si salva il personaggio della zia, adorabile nel suo sincero preoccuparsi per le sorti del nipote (e ne ha ben donde, poveretta), tradutrice e un po’ filosofa, che procede a colpi di citazioni, compreso l’oscuro Heidegger. A un certo punto par di capir che Adam ripercorra il cammino di Dante e, dopo aver attraversato il suo inferno, appordi forse (forse) al paradiso. Storia privata che ricalca una grande narrazione che è anche un archetipo psichico collettivo, una costruzione mitologica condivisa globalmente. Ma come sempre – al cinema, a teatro, in letteratura, nell’arte – contano poco le intenzioni dell’autore e le sue esibite citazioni colte, contano i risultati. E allora, se sul discorrere di Majewski per interposte persone e personaggi non mi pronuncio, dico che la resa figurativa è piuttosto vetusta. Cinema visionario, d’accordo. Che però non ha niente a che spartire con un David Lynch e sembra rimasto a quel cinema anni Sessanta denso di metafore, simboli e quant’altro che era la materia viva dei cineforum di cui sopra. Il Bergman più esteriore e anche declamatorio, certo Fellini rigurgitante di sogni, visioni e barocchismi. Trapela perfino (nella scena del bosco dopo l’arresto del treno in piena campagna) un qualcosa del cine-surrealismo belga dell’André Delvaux (no, non Paul) di Una sera, un treno. Solo che, a mezzo secolo da quegli originali, il ricalco di Majewski sembra fuori tempo massimo, e con un che di sepolcrale, di vampiresco perfino. Onirica è un oggetto filmico con scarse o nulle parentele con l’oggi e il cinema d’oggi e come un’astronave aliena viaggia per conto suo in un vuoto cosmico, siderale. Forse bisogna conoscere bene la Polonia, le sua cultura, per afferrarne risonanze e consonanze. Ma io, che pure qualcosa della letteratura polacca più visionaria e eccentrica ho letto (per dire: Il manoscritto trovato a Saragozza di Potocki, e Wiktiewicz, e Gombrowicz), non ce l’ho fatta a penetrarlo, e a farmelo piacere. Sorry. (Però il protagonista Michal Tatarek è meraviglioso e commovente, degno di un Bergman-movie dei tempi migliori, e la scena finale dell’inondazione della chiesa è bellissima).

 


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :