Buongiorno
a tutti, amici. Come state? Qui tutto bene. In questo weekend di
solitudine, lontano da casa, credo che coglierò l'opportunità per
recuperare qualche episodio della cara, vecchia Veronica Mars:
ieri ho visto il film – e ve ne parlerò al più presto – e mi è
proprio piaciuto. Carinissimo! Oggi, comunque, vi parlo della mia
ultima lettura. Un romanzo indubbiamente interessante, un tema
importante, ma su cui – tuttavia – ho avuto qualcosina da ridire.
Augurandovi buona domenica e ringraziando la gentilissima casa
editrice, vi abbraccio. M.
I
pensieri necessitano di parole. Le parole necessitano di una voce. Io
amo il profumo dei capelli di mamma appena lavati. Io amo la
sensazione della barba di papà prima di rasarsi. Ma io non
sono mai stata capace di raccontare tutto questo ai miei genitori.
Titolo:
Out of my mind – Ho 11 anni e non ho mai parlato
Autrice:
Sharon M. Draper
Editore:
Edizioni Anordest
Numero
di pagine: 240
Prezzo:
€ 13,90
Sinossi:
Melody
non è come gli altri bambini. Non può camminare, né parlare, ma ha
una formidabile memoria fotografica; si ricorda ogni minimo dettaglio
di tutto ciò che vive. È più intelligente della maggior parte
degli adulti che provano a curarla e più intelligente dei suoi
compagni di scuola. La maggior parte del tempo, però, Melody si
sente come un uccellino in gabbia; è in grado di osservare il mondo
intorno, ma non riesce ad interagire con esso. Sono tante le parole e
i sentimenti che si accumulano e restano intrappolati dentro di lei.
Ma Melody si rifiuta di essere definita cerebralmente paralizzata. Ed
è determinata a farlo sapere a tutti... in qualche modo. L'autrice
conosce bene l'argomento in quanto anche sua figlia Wendy è
paralizzata cerebralmente. E anche se Melody non è Wendy, la
veridicità della storia è lampante. Raccontato dalla voce di
Melody, questo romanzo commovente da subito fa risaltare la sua
intelligenza e la sua determinazione a superare quegli ostacoli che
paiono insormontabili.
La recensione
“La
normalità non esiste.” Noi viviamo di parole. Adesso,
immaginate se non le avessimo. Non potremmo dire alla persona che ci
piace quanto sia bello il suo sorriso, non potremmo dire ai nostri
genitori quanto profondamente li amiamo, non potremmo vivere nel
mondo. Semplicemente, moriremmo dentro. Le parole sono vita, in
fondo. Melody ha undici anni e non ha mai parlato. Conosce milioni e
milioni di vocaboli e lemmi, gioca a memorizzare a tempo record i
numeri verdi delle pubblicità, sa a memoria i versi delle sue poesie
preferite, ama la musica e le emozioni uniche che le note
trasmettono. Eppure niente, le sue labbra rimangono mute. E'
prigioniera della malattia, mentre il mondo le esplode dentro. Boati,
scosse sismiche, eruzioni emotive che all'esterno non arrivano.
Nascono dentro, riecheggiano dentro. Melody ha un nome che è
musica, ma il destino ha una grottesca ironia. Lei è l'opposto della
musica. Lei è un film muto, pellicola consumata. Un soprammobile
pieno di difetti di fabbrica. I suoi pensieri, tuttavia, dicono
altro. Perché lei pensa e, in questo romanzo, sono i suoi pensieri a
parlare in sua vece. Il lettore non può che immaginare una bambina
come tante, perfino più sveglia della media – i vestiti abbinati
alle scarpe, lo zaino delle Barbie, il primo cellulare, la danza
ritmica, il primissimo fidanzatino. La sua voce lieve, buffa, onesta
abbozza i tratti tondeggianti di una bimba felice. E' un peccato
avere undici anni ed essere tristi: la vita è lunga, infatti, e per
il dolore e il rimpianto c'è sempre tempo. Invece no. La verità è
un'altra. Melody è una di quelle persone che sono nate
all'improvviso, mentre Dio non guardava. Venuta al mondo senza la
benedizione dell'Altissimo. Non è solo autistica, come inizialmente
immaginavo, ma è paraplegica. Una di quelle bambine scomposte, dalle
ossa fragili, accartocciate sulla loro sedia a rotelle come
gamberetti. Un filo di bava sulla bocca, lo sguardo vuoto,
l'incapacità di mangiare senza sporcarsi e di usare il bagno da
soli, senza accompagnatori. Lei sa che chi la guarda pensa a un
guscio vuoto. Lì dentro, in quel corpo strano, non c'è nessuno.
Toc, toc... Melody è in
casa, ma non può andare alla porta e lasciare che qualcuno entri nel
suo universo. Mamma e papà sono due ordinari supereroi e hanno
creato, nonostante la paura di un altro sbaglio genetico, un'altra
figlia, Penny, che è piccola, profumata, colorata e perfetta. Le
hanno comprato un computer che parla e perfino un'amica vera, che da
semplice baby-sitter è diventata il personale guru della porta
accanto della nostra protagonista. Ma in questa storia ci sono adulti
affettuosi e adulti inensibili, persone buone e persone cattive. Le
maestre e i dottori guardano Melody con occhio clinico. La scuola è
un zoo e lei è l'esemplare più strano che ci sia: in gabbia da
quando è nata, si è nutrita di parole e si è resa conto di non
avere i mezzi necessari per condividerle.
Vive l'età in cui i
bambini sono cattivi, come pappagalli indiscreti e scimmie curiose.
Non hanno peli sulla lingua, sono egoisti e, ingenuamente, ripetono
tutto quello che sentono. Non hanno opinioni loro, ma vanno formando
le loro coscienze di futuri adulti. Out of my mind è
una storia che si sviluppa tra tenerezza e crudeltà. Un'idea interessante, per un intreccio elementare, ma tutt'altro che
stucchevole ed edulcorato. Coraggioso, drammatico, ma – a volte –
non abbastanza. Ha incredibili picchi di sincerità, pagine che
trapelano commozione, ma – in alcuni momenti – ho trovato il
piglio di Sharon M. Draper un po' statico. Scarico. Mi aspettavo che
questo romanzo sapesse scuotermi nel profondo, invece è così breve,
così scorrevole, così veloce che i tremolii sono solo superficiali
e i solchi non sono destinati a rimanere aperti poi tanto a lungo. Mi
aspettavo che mi artigliasse lo stomaco forte. Sensazioni, necessità,
queste, che sono state, purtroppo, deluse. La Draper, che ha un
figlio nelle condizioni della piccola Melody, ci va cauta: ha la
scrittura cristallina delle autrici di romanzi per bambini di una
volta e sembra essere legata a un certo tipo di narrativa. Mette
tanto di personale, probabilmente, nelle descrizioni delle giornate
della protagonista – tra scuola, studio, famiglia - ; personalità,
però, che manca nella più intima essenza di Out of my
mind. Un romanzo che ha tanta
anima, ma poca sostanza, secondo me. E mi struggo al pensiero di
quanto indimenticabile potesse, invece, essere. Bastavano pochi
accorgimenti nel plot; bastava uno stile incisivo, accattivante,
sperimentale. Non una cosetta da nulla, e lo so.
Ma
quanto sarebbe stato bello se al posto dei pensieri semplici semplici
della Draper ci fosse stato un meraviglioso caos di sensazioni,
pulsioni, frasi, parole? Melody non parla. Melody è arrabbiata.
Melody urla, piange, fa facce strane quando vorrebbe comunicare a chi
le è accanto qualcosa di importante. In Out of my mind
– che dovrebbe avere la sua voce – non c'è quel naturale
scompiglio, quel fare battagliero di eroina confusa e costretta a
forza alla cattività. Il tutto è molto sobrio, molto... "americano".
I quiz a premi, le gare di spelling le battaglie tra piccoli geni e i
laboratori pomeridiani ricordano vecchi film - Il mio
piccolo genio, Una
parola per un sogno, Il
quiz dell'amore. A un certo
punto, inevitabilmente, si è creata una scissione tra com'era il
romanzo e tra come avrei voluto, invece, che fosse stato. Educativo e a modo,
comunque, fa riflettere su come reagiamo davanti alla malattia.
Quando incontriamo una persona con degli handicap fisici, le cediamo
il nostro posto a sedere o evitiamo il loro sguardo, come si fa con
gli animali morti lungo l'autostrada? Che possiamo offrire loro:
pietà o indifferenza? Out of my mind invita
ad offrire amicizia. Semplicemente. Ad accontenarci di quello che
abbiamo, anche se ci sembra poco. A guardare il bicchiere, sul bordo
del tavolo, e a considerarlo mezzo pieno.
Il
mio voto: ★★★ (-)
Il
mio consiglio musicale: Cyndi Lauper – True Colors (Glee Version)