Collodi e il suo avventuroso “Pinocchio” ancora oggi riescono a catturare l’attenzione di grandi e piccini. E dopo Comencini e Benigni è la volta di Enzo d’Alò in regia per cimentarsi con la favola dal glorioso passato sfruttando il magico mondo dell’animazione.
Il “Pinocchio” al momento in sala è fedele alla favola che tutti ricordiamo, è solo raccontato con un tono più alto per offrire qualcosa che sia un po’ più loud e sicuramente al passo coi tempi. Nel 2013 è tutto meno strappalacrime e introspettivo di un tempo, la narrazione è quindi molto più veloce, il burattino è scapestrato e adrenalinico come non mai e Geppetto lo subisce sino allo sfinimento.
In ogni fotogramma di questo cartone animato si percepisce la cura per il dettaglio, la voglia di svecchiarlo e renderlo solare e fruibile sia dai piccoli virgulti nati nel nuovo millennio sia dai loro accompagnatori, nei cui cassetti della memoria risiedono vecchi traumi scolastici e un minestrone di fotogrammi delle pellicole che hanno preceduto questa co-produzione durata oltre tre anni.
Enzo D’Alò chiama a sé molti talenti italiani, veri maestri nella propria arte, per affrontare la concorrenza dell’animazione d’oltre oceano, dove regnano colossi del calibro di Pixar e Dreamworks che molto filo da torcere possono dare a produzioni con budget di tutto rispetto ma nettamente inferiori a quanto possano ottenere loro. Così accanto al regista son rimasti per anni sia Lucio Dalla sia Lorenzo Mattotti e grazie a quest’ultimo oggi abbiamo un cartone animato con personaggi che paiono tratteggiati a mano e non figure molto plastiche come vuole la moda del momento, complice l’inflazionato 3D, il che conferisce all’opera una magia unica.
Il risultato è coloratissimo, ritmato, davvero leggero rispetto a quanto subito tra i banchi trent’anni fa, anche se qualcosa manca. Nonostante l’evidente aderenza al testo, è come se a questa rinnovata versione della favola mancasse un non-so-che, Collodi senza il bagaglio triste (o come alcuni affermano gotico) non pare più lo stesso e ciò è davvero singolare. Una matrice “educativa” più leggera e meno moralista che renda più solare e d’intrattenimento il cartone animato è un pregio, eppure è come se non bastasse.
Comunque, nessun timore, Geppetto fa un burattino che tratta come un figlio, trasferisce su un pezzo di legno i suoi desideri e cerca di forgiare il bimbo che non ha mai avuto. Gli aspetti psicologici rimangono, il gatto e la volpe tessono la loro tela di inganni come previsto dal copione originale e la fatina non tarderà a fare il suo ingresso in scena. Quindi tutti contenti e forse meno traumatizzati di un tempo, il che non male :)