Ciao
a tutti, amici. Rieccoci con un nuovo post e, come vi avevo
anticipato, con una nuova recensione. Between the devil and the deep
blue sea – da noi Quando il diavolo mi ha preso per mano – è un
romanzo tipicamente estivo, scorrevole e stranamente divertente.
Ipnotico, crudo, nero come cioccolato fondente. Consigliato ai
lettori giovanissimi, o – come scrive l'autrice nella prima pagina
– a “tutti i lettori bambini”. Ringraziando la gentile Lucia
per avermi dato modo di recensirlo, vi mando un abbraccio e vi auguro
ufficialmente una felice Pasqua, accanto alle persone che amate. A
presto, M.
E'
più facile perdonare qualcuno per averti spaventato, che per averti
fatto piangere.
Titolo:
Quando il diavolo mi ha preso per mano
Autrice:
April Genevieve Tucholke
Editore:
Piemme “Freeway”
Numero
di pagine: 273
Prezzo:
€ 16,00
Sinossi:
Nel
paesino di mare dove abita Violet White non succede mai niente...
fino a quando River West non affitta la casetta dietro la sua e
incominciano ad accadere cose inquietanti: i bambini scompaiono, gli
adulti hanno strane visioni e diventano inspiegabilmente violenti.
Tutto mentre Violet è sempre più attratta da quel ragazzo
misterioso che ormai entra indisturbato in casa sua. Ma River è
soltanto un bugiardo dal sorriso irresistibile e un passato
misterioso o dietro i suoi occhi ipnotici si nasconde qualcos'altro?
La nonna di Violet l'aveva sempre messa in guardia dai giochi che sa
fare il diavolo, ma lei non aveva mai pensato che potesse nascondersi
dietro un ragazzo dai capelli scuri che si appisola in giardino,
adora il caffè e ti fa tremare di passione...
La recensione
Il
vento è un fantasma che si arrampica sulla scogliera e che poi vola
giù, lungo il dorso di pietra, tra le onde, in un ululato che si
schianta e fa rumore. Disegna il profilo dello strapiombo, affila le
rocce, monta a neve la spuma del mare. Fa scricchiolare le ossa, le
case, le ossa vecchie delle case vecchie. Le imposte sbattono
furiosamente, le lenzuola bianche – appese ad asciugare insieme al
resto del bucato – si gonfiano, acquisiscono forma, fanno una paura
matta. Il fantasma del vento le possiede, ruba la loro stoffa sottile
per farne il suo corpo in terra. Il sole convive col vento, nella
prigra Echo. Si vive un'estate di spifferi, oceani agitati, falò
alti come roghi della santa inquisizione, castelli con ponti levatoi
che s'inceppano e armature che si crepano, fiori selvatici,
adolescenti selvaggi come linci. Le case sono scatole di fiammiferi
colorate, i sentieri e i boschi sono la breccia e i muschi di un
presepe, la piazza è un tondo perfetto, al centro di un gioco da
tavola. Chi ne conquista il nucleo è il padrone del mondo, il re di
Echo. A colpo d'occhio può cogliere il poco che c'è da cogliere: un
caffé gestito da una calorosa famiglia italiana, una bottega di
prodotti biologici, la posta, il pratone prediletto per pic-nic e
proiezioni all'aperto, il cimitero con i suoi labirinti di mausolei e
tombe storte, una casa immensa costruita qualcosa come cent'anni
prima sulla pericolosa soglia del precipizio. Il tutto entrerebbe
tranquillamente in una cartolina, nel
flash di un fotografo professionista. Ma chi spedirebbe
mai una cartolina da Echo. Chi manderebbe ai suoi parenti lontani un
pezzo di carta con affettuosi saluti
dal paese del Diavolo e
del profondo mare blu? Nella remotissimo caso in cui
ciò accadesse, l'ipotetico fotografo professionista potrebbe
immortalare cose da non immortalare. Perché nelle strane estati di
Echo succedono cose strane, molto... Nell'anonimato di quel puntino
dimenticato da Dio e dal provvidenziale avvento della tivù via cavo,
mostri in incognito, in fuga dalla loro natura maligna. E la famosa
casa sul precipizio ha spettri, stanze e pericoli a sufficienza per
diventare l'agognato castello degli orrori. Si chiama Candalù, come
quella dell'intramontabile Quinto Potere. E'
lunga, la sua storia, e apparteneva a un'anziana donna che conosceva
i segreti di tutto il vicinato. I suoi nipoti l'hanno ricevuta in
eredità e in quella roccaforte di paese hanno trovato tracce di una
persona che non conoscevano. Una nonna che amava il charleston e i
liquori di contrabbando, i pettegolezzi più sporchi, il nudo
d'autore, le lettere di spasimato amore. Una vedova che non aveva
amato un solo uomo per tutta la vita e che, alla fine, stanca e
incurvata, si era rifugiata nel conforto della religione. Forse, per
il perdono di Dio. Forse, per la paura del Diavolo. I gemelli White
sono stati tirati su da genitori che, oltre a Candalù, hanno
ereditato il lato più geniale e ribelle della compianta Freddie:
sono artisti girovaghi, e gli artisti girovaghi non hanno tempo per i
figli. Si sa.
Violet White è una ragazza bizzarra. Indossa con
naturalezza gli abiti di parenti defunti, chiacchiera di omici a
cena, vive di Cime tempestose
e tazze di tè speziato. Ha la fissa per l'antiquariato e le storie
d'amore dai risvolti macabri e vorrebbe viverne una tutta sua,
possibilmente senza finire con il cuore infranto e la gola squarciata
come accaduto – invece - a una cara amica d'infanzia della sua defunta nonnina. Ha un fratello gemello di nome Luke e una migliore amica,
Sunshine, specializzata nell'arte del flirtare, dello sbaciucchiarsi in pubblico e del mettere in imbarazzo il prossimo. In comune con Luke –
muscoloso, dispettoso, geniale – ha nove mesi di soggiorno nel
pancione della stessa mamma e lo stesso tocco lieve. In comune con Summer,
be', ha Luke: non stanno insieme, quei due, ma si baciano sulla bocca
per A) infastidire
Violet, B) non
ammettere di essere fatti l'uno per l'altra. Lì
nessuno chiude a chiave la porta di casa e le finestre vengono
lasciate aperte per far entrare il profumo del mare in tempesta e la
salsedine. Echo è un luogo per reginette di bellezza, limonata
ghiacciata, gite al mare, leggende di matti e vergini massacrate. Il
porto di mare in cui Violet conoscerà uno straniero senza passato,
con gli occhi marroni e il sorriso da Stregatto: River. Un
diciassettenne dipendente da caffé italiano, abbracci al cimitero,
poteri oscuri. Nel tempo libero, fugge da sé stesso, si nasconde dai
temporali, costruisce delicati origami con fruscianti banconote da
cento dollari.
Quando il diavolo mi ha preso per mano parla
di loro. Io l'ho atteso con ansia dal primo momento in cui ho dato
una sbirciata alla copertina. La volevo, e volevo il libro. Mai
giudicare un libro dalla copertina, okay, ma se la copertina parla
esattamente di quel determinato libro, il detto lascia il tempo che
trova. Giusto? L'esordio di April Genevieve Tucholke è come te lo aspetti,
come i grafici ce l'hanno mostrato. Oscuro, sensuale, inguaribilmente
young. Fino al midollo. Demodè, retrò, vintage. Fino all'anima. E'
un nuovo colore. Tra il seppia e il bianco e nero, tra il rosso e il
nero. Una sfumatura di grigio tra il romanticismo e l'orrore. I
periodi sono singhiozzanti, frammentari. Gli aggettivi seguono un
climax che cresce: sempre tre, sempre legati tra loro da virgole e da
brividi che corrono. L'autrice – giovanissima – mette a punto una
storia d'amore e morte che ha un'originalità per nulla originale, ma
un fascino che non ti sai spiegare. Il suo romanzo è una danza
macabra che seduce e coinvolge. Tutti in pista. Tutti giù per terra.
Ha una storia semplice, ma un'ambientazione favolosa. D'altri tempi.
Ambientato ai giorni nostri, parla di adolescenti senza cellulari,
Social Network e televisioni - unici abitanti di un castello di
orfani dickensiani in lotta contro il destino e le paure da romanzo
d'appendice. L'America della Tucholke è fatta di gente
superstiziosa, esclamazioni enfatiche, uso e abuso d'avverbi. E' un
pittoresco orfanotrofio per la progenie maledetta di Stephen King,
dove gli innocenti fanno una brutta fine, i folli si uccidono in pubblica piazza come samurai, i fratelli vanno a caccia nei cimiteri. Alla ricerca di
bambini perduti, sulle orme di un Diavolo che vorrebbero scacciare
con piccole croci di legno impugnate tra le loro piccole dita. Ha una
violenza e un'ira che gelano il sangue, una storiella d'amore che
raramente fa aggrottare la fronte, uno spirito ambiguo. Dialoghi
strani, assurdi, cantilenanti, che sembrano presi dalle filastrocche
in rima dei bambini cattivi. Malizioso e irreale, ma nel senso buono,
mi ha divertito per la sua passionalità. Il suo nero senza fondo, cioccolato fondente. A
non avermi entusiasmato, invece, è stato il ritmo del tutto, troppo sostenuto.
Quando il diavolo mi ha preso per mano
conta un sacco di morti, ma zero tempi morti. Singoli episodi
connessi tra loro in maniera un po' raffazzonata, che fanno apparire
il poco che succede troppo. In un giorno arrivi alla fine e sai che i
protagonisti ti hanno fatto troppa poca compagnia per rimanere
impressi a tempo indeterminato. Scorre via senza che nessuno se ne
accorga. E senza che nessuno possa sentirne davvero la mancanza. La
storia di potenzialità non ne ha tante: lo capisci dalla sinossi.
L'autrice, tuttavia, riesce a sfruttare il poco che ha. Con freschezza,
inquietudine, un pizzico di furbizia. April Genevieve Tucholke mi
piace. Ha una scrittura cinematografica, ma mi piace. Per i troppi
caffé, i vecchi film che nessuno conosce, le soffitte con armadi per
Narnia, o per l'aldilà. Il suo romanzo è un piacevole passatempo,
per chi ha amato Blood Magic e
per chi, momentaneamente, è orfano degli strani misteri di Mara
Dyer. Cuce e taglia storie di
paura. Episodi da brivido, ma uniti da legature spesse, spesse che non
sfuggono agli occhi. Fili neri e sgraziati che - come lacci di scarpe - tengono chiuso il
taglio ad Y sullo sterno di un cadavere. Una Biancaneve d'obitorio,
in una bara di cristallo e acciaio inox.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Ella Fitzgerald – Between the Devil and
Deep Blue Sea