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Recensione: Quando il diavolo mi ha preso per mano, di April Genevieve Tucholke

Creato il 19 aprile 2014 da Mik_94
Ciao a tutti, amici. Rieccoci con un nuovo post e, come vi avevo anticipato, con una nuova recensione. Between the devil and the deep blue sea – da noi Quando il diavolo mi ha preso per mano – è un romanzo tipicamente estivo, scorrevole e stranamente divertente. Ipnotico, crudo, nero come cioccolato fondente. Consigliato ai lettori giovanissimi, o – come scrive l'autrice nella prima pagina – a “tutti i lettori bambini”. Ringraziando la gentile Lucia per avermi dato modo di recensirlo, vi mando un abbraccio e vi auguro ufficialmente una felice Pasqua, accanto alle persone che amate. A presto, M. E' più facile perdonare qualcuno per averti spaventato, che per averti fatto piangere.
Recensione: Quando il diavolo mi ha preso per mano, di April Genevieve Tucholke Titolo: Quando il diavolo mi ha preso per mano Autrice: April Genevieve Tucholke Editore: Piemme “Freeway” Numero di pagine: 273 Prezzo: € 16,00 Sinossi: Nel paesino di mare dove abita Violet White non succede mai niente... fino a quando River West non affitta la casetta dietro la sua e incominciano ad accadere cose inquietanti: i bambini scompaiono, gli adulti hanno strane visioni e diventano inspiegabilmente violenti. Tutto mentre Violet è sempre più attratta da quel ragazzo misterioso che ormai entra indisturbato in casa sua. Ma River è soltanto un bugiardo dal sorriso irresistibile e un passato misterioso o dietro i suoi occhi ipnotici si nasconde qualcos'altro? La nonna di Violet l'aveva sempre messa in guardia dai giochi che sa fare il diavolo, ma lei non aveva mai pensato che potesse nascondersi dietro un ragazzo dai capelli scuri che si appisola in giardino, adora il caffè e ti fa tremare di passione...                                                  La recensione Recensione: Quando il diavolo mi ha preso per mano, di April Genevieve Tucholke Il vento è un fantasma che si arrampica sulla scogliera e che poi vola giù, lungo il dorso di pietra, tra le onde, in un ululato che si schianta e fa rumore. Disegna il profilo dello strapiombo, affila le rocce, monta a neve la spuma del mare. Fa scricchiolare le ossa, le case, le ossa vecchie delle case vecchie. Le imposte sbattono furiosamente, le lenzuola bianche – appese ad asciugare insieme al resto del bucato – si gonfiano, acquisiscono forma, fanno una paura matta. Il fantasma del vento le possiede, ruba la loro stoffa sottile per farne il suo corpo in terra. Il sole convive col vento, nella prigra Echo. Si vive un'estate di spifferi, oceani agitati, falò alti come roghi della santa inquisizione, castelli con ponti levatoi che s'inceppano e armature che si crepano, fiori selvatici, adolescenti selvaggi come linci. Le case sono scatole di fiammiferi colorate, i sentieri e i boschi sono la breccia e i muschi di un presepe, la piazza è un tondo perfetto, al centro di un gioco da tavola. Chi ne conquista il nucleo è il padrone del mondo, il re di Echo. A colpo d'occhio può cogliere il poco che c'è da cogliere: un caffé gestito da una calorosa famiglia italiana, una bottega di prodotti biologici, la posta, il pratone prediletto per pic-nic e proiezioni all'aperto, il cimitero con i suoi labirinti di mausolei e tombe storte, una casa immensa costruita qualcosa come cent'anni prima sulla pericolosa soglia del precipizio. Il tutto entrerebbe tranquillamente in una cartolina, nel flash di un fotografo professionista. Ma chi spedirebbe mai una cartolina da Echo. Chi manderebbe ai suoi parenti lontani un pezzo di carta con affettuosi saluti dal paese del Diavolo e del profondo mare blu? Nella remotissimo caso in cui ciò accadesse, l'ipotetico fotografo professionista potrebbe immortalare cose da non immortalare. Perché nelle strane estati di Echo succedono cose strane, molto... Nell'anonimato di quel puntino dimenticato da Dio e dal provvidenziale avvento della tivù via cavo, mostri in incognito, in fuga dalla loro natura maligna. E la famosa casa sul precipizio ha spettri, stanze e pericoli a sufficienza per diventare l'agognato castello degli orrori. Si chiama Candalù, come quella dell'intramontabile Quinto Potere. E' lunga, la sua storia, e apparteneva a un'anziana donna che conosceva i segreti di tutto il vicinato. I suoi nipoti l'hanno ricevuta in eredità e in quella roccaforte di paese hanno trovato tracce di una persona che non conoscevano. Una nonna che amava il charleston e i liquori di contrabbando, i pettegolezzi più sporchi, il nudo d'autore, le lettere di spasimato amore. Una vedova che non aveva amato un solo uomo per tutta la vita e che, alla fine, stanca e incurvata, si era rifugiata nel conforto della religione. Forse, per il perdono di Dio. Forse, per la paura del Diavolo. I gemelli White sono stati tirati su da genitori che, oltre a Candalù, hanno ereditato il lato più geniale e ribelle della compianta Freddie: sono artisti girovaghi, e gli artisti girovaghi non hanno tempo per i figli. Si sa. Recensione: Quando il diavolo mi ha preso per mano, di April Genevieve Tucholke Violet White è una ragazza bizzarra. Indossa con naturalezza gli abiti di parenti defunti, chiacchiera di omici a cena, vive di Cime tempestose e tazze di tè speziato. Ha la fissa per l'antiquariato e le storie d'amore dai risvolti macabri e vorrebbe viverne una tutta sua, possibilmente senza finire con il cuore infranto e la gola squarciata come accaduto – invece - a una cara amica d'infanzia della sua defunta nonnina. Ha un fratello gemello di nome Luke e una migliore amica, Sunshine, specializzata nell'arte del flirtare, dello sbaciucchiarsi in pubblico e del mettere in imbarazzo il prossimo. In comune con Luke – muscoloso, dispettoso, geniale – ha nove mesi di soggiorno nel pancione della stessa mamma e lo stesso tocco lieve. In comune con Summer, be', ha Luke: non stanno insieme, quei due, ma si baciano sulla bocca per A) infastidire Violet, B) non ammettere di essere fatti l'uno per l'altra. Lì nessuno chiude a chiave la porta di casa e le finestre vengono lasciate aperte per far entrare il profumo del mare in tempesta e la salsedine. Echo è un luogo per reginette di bellezza, limonata ghiacciata, gite al mare, leggende di matti e vergini massacrate. Il porto di mare in cui Violet conoscerà uno straniero senza passato, con gli occhi marroni e il sorriso da Stregatto: River. Un diciassettenne dipendente da caffé italiano, abbracci al cimitero, poteri oscuri. Nel tempo libero, fugge da sé stesso, si nasconde dai temporali, costruisce delicati origami con fruscianti banconote da cento dollari. 
Recensione: Quando il diavolo mi ha preso per mano, di April Genevieve Tucholke Quando il diavolo mi ha preso per mano parla di loro. Io l'ho atteso con ansia dal primo momento in cui ho dato una sbirciata alla copertina. La volevo, e volevo il libro. Mai giudicare un libro dalla copertina, okay, ma se la copertina parla esattamente di quel determinato libro, il detto lascia il tempo che trova. Giusto? L'esordio di April Genevieve Tucholke è come te lo aspetti, come i grafici ce l'hanno mostrato. Oscuro, sensuale, inguaribilmente young. Fino al midollo. Demodè, retrò, vintage. Fino all'anima. E' un nuovo colore. Tra il seppia e il bianco e nero, tra il rosso e il nero. Una sfumatura di grigio tra il romanticismo e l'orrore. I periodi sono singhiozzanti, frammentari. Gli aggettivi seguono un climax che cresce: sempre tre, sempre legati tra loro da virgole e da brividi che corrono. L'autrice – giovanissima – mette a punto una storia d'amore e morte che ha un'originalità per nulla originale, ma un fascino che non ti sai spiegare. Il suo romanzo è una danza macabra che seduce e coinvolge. Tutti in pista. Tutti giù per terra. Ha una storia semplice, ma un'ambientazione favolosa. D'altri tempi. Ambientato ai giorni nostri, parla di adolescenti senza cellulari, Social Network e televisioni - unici abitanti di un castello di orfani dickensiani in lotta contro il destino e le paure da romanzo d'appendice. L'America della Tucholke è fatta di gente superstiziosa, esclamazioni enfatiche, uso e abuso d'avverbi. E' un pittoresco orfanotrofio per la progenie maledetta di Stephen King, dove gli innocenti fanno una brutta fine, i folli si uccidono in pubblica piazza come samurai, i fratelli vanno a caccia nei cimiteri. Alla ricerca di bambini perduti, sulle orme di un Diavolo che vorrebbero scacciare con piccole croci di legno impugnate tra le loro piccole dita. Ha una violenza e un'ira che gelano il sangue, una storiella d'amore che raramente fa aggrottare la fronte, uno spirito ambiguo. Dialoghi strani, assurdi, cantilenanti, che sembrano presi dalle filastrocche in rima dei bambini cattivi. Malizioso e irreale, ma nel senso buono, mi ha divertito per la sua passionalità. Il suo nero senza fondo, cioccolato fondente. A non avermi entusiasmato, invece, è stato il ritmo del tutto, troppo sostenuto. Quando il diavolo mi ha preso per mano conta un sacco di morti, ma zero tempi morti. Singoli episodi connessi tra loro in maniera un po' raffazzonata, che fanno apparire il poco che succede troppo. In un giorno arrivi alla fine e sai che i protagonisti ti hanno fatto troppa poca compagnia per rimanere impressi a tempo indeterminato. Scorre via senza che nessuno se ne accorga. E senza che nessuno possa sentirne davvero la mancanza. La storia di potenzialità non ne ha tante: lo capisci dalla sinossi. L'autrice, tuttavia, riesce a sfruttare il poco che ha. Con freschezza, inquietudine, un pizzico di furbizia. April Genevieve Tucholke mi piace. Ha una scrittura cinematografica, ma mi piace. Per i troppi caffé, i vecchi film che nessuno conosce, le soffitte con armadi per Narnia, o per l'aldilà. Il suo romanzo è un piacevole passatempo, per chi ha amato Blood Magic e per chi, momentaneamente, è orfano degli strani misteri di Mara Dyer. Cuce e taglia storie di paura. Episodi da brivido, ma uniti da legature spesse, spesse che non sfuggono agli occhi. Fili neri e sgraziati che - come lacci di scarpe - tengono chiuso il taglio ad Y sullo sterno di un cadavere. Una Biancaneve d'obitorio, in una bara di cristallo e acciaio inox. Il mio voto: ★★★ Il mio consiglio musicale: Ella Fitzgerald – Between the Devil and Deep Blue Sea

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