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Recensione: Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato, di Joachim Meyerhoff
Creato il 04 maggio 2015 da Mik_94Titolo: Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato Autore: Joachim Meyerhoff Editore: Marsilio Numero di pagine: 320 Prezzo: € 19,00 Sinossi: Per il piccolo Josse, figlio del direttore di un ospedale psichiatrico per l'infanzia e l'adolescenza, crescere in mezzo a centinaia di malati di mente è del tutto naturale, anzi, la cosa gli piace moltissimo. I "dementini", come affettuosamente e spietatamente ama chiamare i pazienti, sono parte della sua famiglia; la grande area dell'ospedale è la sua casa. Qui Josse è felice di galoppare sulle spalle di un ragazzo gigantesco che se ne va in giro facendo suonare due pesanti campane dorate; qui si addormenta cullato dalle urla tranquillizzanti che ogni sera lo accompagnano nel sonno. Ama l'eccesso, l'isteria festosa, la gioia incontrollata, la normalità per lui ovvia di quel luogo della follia. Questo mondo a sé, che alte mura proteggono dall'esterno, è soprattutto il regno di suo padre, l'uomo grasso dagli occhi gentili e curiosi che lui ammira sopra ogni cosa e che gli ha insegnato a diffidare delle apparenze e a cercare la bellezza dove davvero si fatica a trovarla. Un padre che sembra avere tutto sotto controllo e che troppo spesso finisce col mancare i propri obiettivi. Con infinita tenerezza e molto buon umore, Meyerhoff ricostruisce la storia di un'insolita famiglia - padre, madre, tre figli maschi e un cane - che vive in un insolito luogo. La recensione Ultimamente vanno molto, in libreria, le storie di persone qualunque. E trovo sia una cosa bellissima, dopo il continuo affannarsi di molti alla ricerca di un'originalità che non esiste. Tutto è stato detto. Le parole fanno la differenza. Come la si dice, una cosa; come la si vive sulla propria pelle. Il nuovo, quello vero, è raccontarsi a cuore aperto, giacché “immaginare significa ricordare”. Scommetto che in pochi, presi dalle uscite più disparate, avranno notato l'arrivo in Italia di Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato. Io non lo avevo aspettato, non mi ero informato sulla trama, ma avevo l'impressione che fosse una lettura di quelle non dico uniche ma rare. Il titolo, lunghissimo, è una meraviglia, e anche quel bambino in copertina, che nelle foto esce arrabbiato, così come arrabbiato – o meglio, triste – uscivo anch'io. L'esordio del tedesco Joachim Meyerhoff – nome aspro e una scrittura delicatissima, come da perfetto contrappasso – faceva simpatia. Una storia di straordinaria follia letta con gli occhi dell'infanzia; una cosa così. In realtà, leggendo leggendo, ho scoperto che lo scrittore si fa conoscere con una fiaba strana che è la sua parziale autobiografia. Di solito, l'assoluta sincerità si rimanda a dopo la fama. Qui la fama – perché il romanzo, in patria, è stato premiatissimo – procede a senso inverso. L'ultimo romanzo della Marsilio, perciò, a primo impatto si è rivelato altra cosa; un incidente di quelli piacevoli. La rievocazione di un'infanzia – con la giusta dose di sorrisi e commozione – adesso che si è disincantati, solitari, grandi. Un viaggio della memoria su sentieri battuti mille volte, con le caviglie più sottili e un numero di scarpe più piccolo, tra i reparti di un ospedale psichiatrico caduto in disgrazia. Il punto di vista, inedito, non di un ex paziente, bensì del mancato erede di un regno di matti e briganti, in cui senza le urla e gli strepiti degli ospiti, quando è notte, a stento si riesce a dormire. Ultimo di tre fratelli anonimi – nel senso di sprovvisti di nome, non mancanti di personalità: il fratello maggiore scienziato e quello di mezzo, aspirante dandy, chi se li scorda – Josse è un bambino come tanti in una casa come poche. Mamma e papà medici, un giardino curato e una villetta che, a destra e sinistra, confina con reparti in cui si aggirano adolescenti in compagnia delle loro preoccupanti patologie: un giorno in una siepe ecco che trovi un morto in vestaglia; un altro, invece, tuo amico per la pelle diventa un coetaneo che chissà se uscirà mai da lì senza uccidersi; un altro, ancora, al pranzo di Natale accorreranno, su invito di papà, uno storpio, un potenziale serial killer e una tipa che quando parla non ci capisci nulla. I temi del nostro narratore, alle elementari, dovevano essere pienissimi; ma la maestra gli dava del bugiardo – certe cose spaventano, quindi perché crederci? - e lo accusava di andare puntualmente fuori traccia. E allora Josse si infuriava, scoppiava a piangere, minacciava di distruggere tutto: banchi, nasi, facce. Capricci o sintomi di follia? In questi momenti, la fobia di essere internato e, allo stesso tempo, il proitettarsi al futuro e avere paura di dire addio al suo speciale vicinato: meglio la camicia di forza della normalità; meglio la compagnia dei folli che dei falsi sani. Mentre la realtà si rovescia, con la testolina riccioluta del protagonista che si piega a destra e a sinistra in cerca della visuale migliore, ci si accorge a malincuore di crescere. E di come tutto, che tu lo voglia o meno, cambi. Nel corso della lettura, ammetto che il mio interesse è stato altalenante. Trovavo alcuni passaggi superflui, i primi capitoli eccessivamente slegati tra loro, l'andamento piatto. Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato era – ed è – scritto benissimo, con grazia, schiettezza e un pizzichino di poesia, ma mancava di un collante. Mi spiego: una prosa personale al servizio di pagine in cui è facile risconoscere sé stessi da bambini, ma sprovvista di una certa organicità. I capitoli iniziali, veri ma sconnessi, come racconti autoconclusivi e non parte di un unicum davvero appagante. E' un mio limite: io non amo i film ad episodi, le raccolte di racconti – mi sembrano una scappatoia dall'impegnarsi, non so - e Meyerhoff viaggiava su quei binari. Quindi dicevo peccato. Leggevo senza grossi stimoli. Ma quando ci si fa grandi e i genitori – e il cane, nostro fratello di sangue – invecchiano, sopraggiunge una malinconia profonda e emozionantissima. L'autore ha l'invidiabile capacita di farti viaggiare sulle sue spalle; di prenderti bambino e di lasciarti adulto. Lassù, in cima al mondo, dalla tua postazione elevata, senti per primo la pioggia arrivare e vedi per primo andare tutto alla deriva. Fai un gioco di ruolo, e provi cose che hai già provato – il primo amore, la morte staziante di un animale domestico, i litigi tra fratelli, gli imbrogli per non andare a scuola e guardare tutto il giorno la tivù, servito e riverito – e cose che non sai, ma che arriveranno: stanne certo. Il passo di un padre che si fa trascinato; la geometria, nella stanza da letto dei tuoi, che cambia; una mamma che, dopo tanti sacrifici, ha il coraggio di tornare a sognare la sua amata Italia. I pazienti che si fingono ancora pazzi, come in un thriller di Scorsese, e non vogliono andarsene. Tu che ti fingi ancora piccolo, bisognoso, e non vuoi andartene. Qual è la differenza? Ho capito quel che mi era piaciuto e quel che non mi era piaciuto nell'attimo in cui l'ho chiuso; e ho detto che i critici, per una volta, hanno ragione, anche se non ne hanno contemplato le poche note stonate qui e lì. Mi aspettavo qualcosa a metà tra Correndo con le forbici in mano e It's a Kind of Funny Story: il grottesco e l'adolescenziale. Ho trovato, invece, in Josse il fratello minore della Allegra di Chiara Gamberale, voce di Arrivano i pagliacci: gli iniziali “ma a me che frega delle vite degli altri?”, poi solo tanta, toccante universalità. Con le chiacchierate padre figlio finché non ci si addormenta, i papà che dicono e le mamme che fanno, la curiosità infantile e gli esperimenti che faceva fare, i fratelli che sembrano gli orfani Baudelaire di Lemony Snicket, la solitudine di chi vorrebbe tornarsene a casa proprio adesso per essere riempito di tutto il bene che c'è. Un Boyhood di carta – anche se quello al cinema non ha difetti e questo qualcuno sì – da leggere, per sentirsi magicamente protagonisti delle invenzioni di un altro. Il mio voto: ★★★½ Il mio consiglio musicale: Family of the year – Hero
“I don't wanna be your big man. I just wanna fight like everyone else...”
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